In quattro edizioni il Medimex, il salone barese promosso da Puglia Sounds, ha mutato la sua fisionomia alla ricerca di un’identità autonoma nel panorama fieristico musicale. Partito con una proiezione mediterranea, mirante a riportare nel sud Italia l’esempio virtuoso dell’imprenditorialità culturale catalana, si è ritrovato in un certo senso schiacciato tra il colosso world music Womex, che si svolge ad ottobre, e la radicata ed effervescente esperienza primaverile della kermesse marsigliese Babel Med. Cosicché è stato gioco forza ri-orientare le sue ragioni verso una più ampia “innovazione musicale”, puntando sulla felice idea di far incontrare chi lavora con la musica e chi vorrebbe farlo, chi la musica la produce e chi l’ascolta,coinvolgendo il pubblico giovane, le scuole (proprio quelle in cui la musica è la grande assente tra le materie di insegnamento). Tutto questo smarrendo la proposta primigenia e diventando vetrina quasi onnivora e nel contempo mettendo felicemente al centro il prodotto culturale pugliese da esportazione. Certo ci si è messa di traverso la crisi economica che attanaglia sempre di più il Paese e che è andata a sommarsi ai cambiamenti nella fruizione della musica, tra musica de materializzata, piattaforme e servizi musicali digitali (pensate che quest’anno di CD negli stand, ridotti di numero rispetto al passato, ce n’erano davvero pochi).
Una quarta edizione con tanti delegati ma meno espositori e spazi espositivi (le cifre ufficiali parlano di un totale di circa 800 operatori tra italiani e stranieri).
Assenti molti festival italiani, testate musicali storiche (ma comunque numerosi i giornalisti accreditati) ed etichette discografiche provenienti da altre parti d’Italia, silente o quasi l’universo trad/folk italiano (a parte qualche eccezione). Insomma, se il Medimex intende fotografare il sistema musica in Italia, restituisce un’immagine forzatamente parziale. Nonostante ciò, si è assistito ad un buon afflusso di pubblico: le cifre ufficiali parlano di oltre 16.000 presenze, che rappresentano il 40% in più dello scorso anno. Numerosi sono stati i workshop, i “case study”, i “face-to-face” tra operatori (rappresentanti di festival, agenzie di promozione musicale, artisti, ecc. ecc.). Una grossa fetta di eventi è stata occupata dai “panel” e dagli incontri con gli autori, la cui direzione artistica è stata affidata a due giornalisti mainstream come Ernesto Assante e Gino Castaldo (anche questo segno dei tempi), e che ha portato nei padiglioni della Fiera del Levante, tra gli altri, personaggi come Vasco Rossi, Cremonini, Fabi, Gazzè e Silvestri, Rocco Hunt, Fossati, Paoli, Fresu, Malika Ayane. Muovendosi tra i panel e le presentazioni, che hanno messo a confronti giornalisti, operatori e direttori di festival, si scoprono sempre cose interessanti: festival di grande spessore culturale in Algeria, quali Diwane International Music Festival e il Dimajazz Festival di Costantina o l’ormai consolidata Fiera catalana di Manresa, che sono stati tra i protagonisti dell’incontro “Il Mediterraneo che Risuona”.
Registriamo come si faccia spazio la forza imprenditoriale musicale della Corea del Sud, accogliamo la nascita dell’archivio multimediale e laboratorio permanente sulla musica e la danza popolare salentina; si riconferma il ruolo centrale del parigino IRCAM come ente di sperimentazione sonora. Tra le altre occasioni, da menzionare le presentazioni dei libri “Le stelle del folk italiano” di Felice Liperi, “Lavorare con lentezza. Enzo Del Re. Il corpofonista” di Timisoara Pinto e “Il dizionario del pop-rock 2015” di Enzo Gentile e Alberto Tonti. E la musica suonata? Qui vogliamo ricordare i Radicanto, che hanno presentato “Oltremare”, il loro tributo alla città di Bari, il piano preparato di Amir Shkurtaj con “Feksìn”, il duo Folksongs di ispirazione beriana, con un album in uscita per Digressione Music, il progetto electro-world il Bric (“Nuovo Ordine Mondiale”), i Bari Jungle Brothers di “Rime, Patate e Cozze”, l’elettronica-dance di Andrea ‘Populous’ Mangia, ma soprattutto il potente live act della coppia Redi Hasa (violoncello, loop) e Maria Mazzotta (voce), il cui “Ura” è stato nostro disco del mese tempo fa. Altro segno di passaggio, che ha contraddistinto l’evoluzione del Medimex, è l’apertura al pubblico degli show-case serali. Se il primo anno erano stati riservati solo agli operatori, dal secondo in poi sono stati aperti al pubblico pagante: da qui la necessità di puntare su nomi che “acchiappano”. Così si spiegano le presenze di Brunori SAS, Diodato, ma soprattutto Mannarino.
Certo non aspettavamo il Medimex per avere conferma della validità del progetto dell’Orchestra di Piazza Vittorio, a Bari rimpolpata dalle ugole di Ginevra di Marco e Mama Marjas, o della vibrante poetica rock di Cristina Donà. Non enormi le novità pugliesi offerte dall’ elettro-dub-folk dei Nidi d’Arac, featuring Anna Cinzia Villani, reduce dai trionfi del festival Womad. Da ascoltare il progetto spagnolo Lenacay, suono mobile tra flamenco, rumba, beat elettronici, rock e funky e il patinato tango a tinte rock di Plaza Francia (Catherine Ringer dei Les Rita Mitsouko che affiancano Christoph H. Müller e Eduardo Makaroff del Gotan Project). Parole in più da spendere per il quartetto ucraino DakhaBrakha, formato dal barbuto Marko Halanevych e da tre fanciulle di bianco vestite e munite di altissimi copricapi in pelliccia (Nina Garenetska, Olena Tsibulska e Iryna Kovalenko). La band di Kiev è stata protagonista di un set irresistibile, che ha conquistato pubblico e critica con un mix di impronta teatrale che combina voci, tamburi, violoncello e fisarmonica. Le polifonie tradizionali si fondono con ipnotici bordoni, ritmica incalzante, istanze pop-rock à la Bjork, effetti ambientali e perfino innesti rap. Da conoscere assolutamente!
Quale il futuro del Medimex? Non facile fare previsioni tra la riduzione dei finanziamenti europei (ma gli organizzatori ribadiscono che nel 2015 ci saranno i fondi per una nuova edizione) e le elezioni amministrative, che potrebbero modificare l’assetto politico regionale. Ma pur tra luci e ombre di questa edizione, nessuno si auspica lo svuotamento di questo importante investimento (lo slogan che campeggia all’ingresso della Fiera è sempre “La musica è lavoro”), in controtendenza nell’Italia degli scempi culturali perpetrati dalla politica, locale e nazionale.
Ciro De Rosa
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