Rinaldo Vacca, i musicisti, i materiali, il laboratorio (parte seconda)

È indispensabile ascoltare i chitarristi 
Negli anni ho imparato a capire che da soli nella liuteria non si va da nessuna parte, servono degli “alleati” che, per un liutaio, sono i musicisti. Sono coloro che suonano tutti i giorni, i quali hanno le giuste conoscenze per prendere in mano strumento e spiegarti subito dopo pregi e difetti. È indispensabile imparare ad ascoltare i chitarristi. Nel mio caso, è stato fondamentale l’incontro con il Maestro di Conservatorio Luigi Mazzullo. Mi portava sei corde di tutti i tipi, permettendomi di capire i pregi delle chitarre di qualità come, ad esempio, quelle spagnole, i cui liutai possono contare su una tradizione centenaria, spesso tramandata di padre in figlio. Per me, non è stato facile. Qui non c’era una tradizione di liuteria. In paese costruire chitarre non era visto come lavoro “serio”. Lavoro significava soprattutto zappare, sporcarsi le mani, avere il cemento in faccia a fine giornata. Io sono andato avanti per la mia strada. Luigi Mazzullo mi ha dato un forte stimolo a proseguire, a ricercare accuratezza anche nei dettagli. Ad esempio, il disegno attuale della paletta delle mie chitarre è anche merito suo e di Nanni Pes (di Quartu). È frutto di un lavoro di ricerca e di comparazione con quanto già esistente. Le chitarre si personalizzano pure nei dettagli, come quelli della “rosetta”, dell’etichetta, dei “filetti” o delle “chiavette” (le meccaniche), queste ultime per me realizzate da “Alessi” su un modello originale. Sandro Vargiu non ha proseguito sulla mia stessa strada, ma continua a essere un valido collaboratore, sempre prodigo di suggerimenti. 

Quale chitarra costruire? 
Ci sono vari modi per realizzare chitarre da concerto. A volte devono essere personalizzate in base a richieste specifiche. In questo caso è importante dialogare con il chitarrista, per capire, ad esempio, che tipo di sonorità ricerca, conoscere la conformazione della sua mano etc. Se posso costruisco due o tre modelli simili, in modo da permettere all’acquirente concertista di poter scegliere il modello più consono. E quando ho l’occasione chiedo ad altri chitarristi di provare tali strumenti, per sentire un parere, per capire su quale chitarra andrebbe la propria scelta che è sempre molto personale. Da mie statistiche posso dire che, mediamente, su due chitarre simili provate da sei chitarristi, tre scelgono un modello, tre l’altro. Certo si tratta solo di una statistica, ma il dato è che ogni chitarrista punta la propria attenzione su specifici particolari della chitarra. Non esiste un modello di chitarra in grado di accontentare tutti. Inoltre, sono sempre più i chitarristi attenti al design, alla cura dei dettagli, all’originalità delle forme. E personalmente vedo questa attenzione con piacere, perché nelle soluzioni creative e nei dettagli spendo il tempo necessario. È un’esigenza mia, ma le chitarre che realizzo devono piacermi, devono darmi gusto durante la lavorazione. Naturalmente molta attenzione riguarda la scelta dei materiali. Io di solito utilizzo cedro o abete per la cassa armonica, per le “fasce-fondo” il palissandro indiano, ma il discorso sui materiali è un capitolo specifico della liuteria. Le mie chitarre desidero abbiano un buon “volume” (anche perché nella società moderna stiamo diventando tutti un po’ sordi a causa del troppo rumore), una buona qualità di suono, tra cui un buon “substain”. Inoltre, lavoro molto sulla “leggerezza”, trovando equilibrio con le scelte di tipo ergonomico e di design. 

Il laboratorio 
Essendo riservato di carattere, Rinaldo Vacca tende a non vantare i pregi dei propri strumenti. Non è abituato alle interviste (“parlo poco e ascolto molto”). All’inizio del nostro incontro, dava tutto per scontato. Tuttavia, una volta “carburato” e capito il mio interesse tecnico, Vacca è divenuto un fiume in piena tanto che, se dovessi addentrarmi nei particolari di costruzione, lo spazio di scrittura dovrebbe dilatarsi oltremisura. Di certo le sue chitarre sono decisamente leggere ed ergonomiche, grazie a un’originale tecnica di lavoro “multistrato” (a “sandwich”, l’ha definita), sia nelle fasce, sia nell’anima del manico, sia nella “catena”. Sentir raccontare dal vivo sembra tutto semplice e alla portata di tutti. Prendi questo, afferri quello, sposti l’altro, incolli, limi, pigli le giuste misure, fai combaciare perfettamente i bordi, usi l’attrezzo “x”, risistemi con quello “y”, fai l’impasto con questi materiali, li stendi per benino, fai asciugare il giusto tempo, intanto lavori l’osso bovino, lo inclini per quanto serve, fai i fori secondo il modello di tizio, lavori la rosetta usando la tecnica “z”, prepari i disegni per i filetti, usi le decorazioni usando gli scassi, con un aggeggio senza nome appositamente inventato. «Sì, certo, tutto facile», dico io sorridendo, prendendo respiro tra una spiegazione e l’altra, impugnando e suonando una sua chitarra. Poi riprendo ad ascoltare con attenzione il liutaio sardo, che spiega una serie di congegni da lui ideati per ottimizzare il lavoro, compresi i banchi di lavorazione. Da diversi anni si è sbarazzato del tavolo da lavoro tradizionale. Non lo trovava comodo. Da un fabbro si è fatto costruire una struttura metallica, con in testa una piattaforma girevole, grazie alla quale riesce a lavorare in modo funzionale, avendo maggiore stabilità. Secondo l’uso, la piattaforma può ruotare di 360 gradi (sarebbe da brevettare). Quando Vacca passa a parlare dei legni da liuteria, la mente inizia a viaggiare senza sosta, poiché si passa dall’abete della Val di Fiemme, al cedro dell’Honduras, al kaviuna brasiliano, al palissandro indiano, fino al cipresso, in uso soprattutto nelle chitarre spagnole secondo lo stile flamenco. La liuteria è un’arte: quando un artigiano la possiede, tutto probabilmente risulta “semplice”, tuttavia costruire chitarre di qualità non lo è. Come non è facile vivere solo di questo mestiere. Da un punto di vista comportamentale, ciò che mi colpito di Vacca è la tenacia. Da ragazzo ha voluto diventare liutaio, realizzando un sogno che deve essergli costato parecchio sacrificio, passando momenti di seria riflessione per la coraggiosa scelta professionale effettuata. 
Come artigiano ispira simpatia anche per quel disincantato modo di osservare il mondo con gli occhi di fanciullo, capace di lasciarsi condurre da un “suono ascoltato in sogno”, che insegue da decenni per perfezionare i propri strumenti. Eppure Vacca, nonostante questa corazza “giovanile”, è una persona concreta e scrupolosa. Operativamente e concettualmente potrebbe essere paragonato a “unu mastru ’e muru” (un maestro del muro), come una volta venivano denominati in Sardegna quei “bioarchitetti” che costruivano ad arte senza possedere titoli di studio, basandosi su consolidata esperienza e utilizzando i materiali che la natura metteva loro a disposizione. La qualità, nel tempo, paga. Oggi sono diversi i concertisti (o aspiranti tali) che si orientano verso la scelta di chitarre firmate Rinaldo Vacca. Personalmente sono rimasto attratto dalla leggerezza, dalla maneggevolezza e dalle sonorità. Tuttavia per apprezzare certe chitarre bisogna suonarle o ascoltarle dal vivo grazie a mani esperte. Le parole, in questo caso, esprimono poco. Con il contributo odierno, nostro obiettivo primario è stato di far conoscere ai lettori la “storia” di un liutaio di valore ancora troppo poco noto, che opera con passione a beneficio della musica. Nel tempo, a mio avviso, sarebbe auspicabile che Rinaldo Vacca riuscisse a comunicare la propria arte, operando di preferenza all’interno di una “Schola” pubblica, capace di promuovere il valore della liuteria almeno in tutta la Sardegna, dove Vacca ha aumentato la popolarità tra i chitarristi soprattutto a seguito dei successi professionali ottenuti in Italia e all’estero. 



Paolo Mercurio

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