Richard Thompsom - Acoustic Classics (Proper Records, I.R.D., 2014)

Per gli interessati alle classifiche da rivista rock, in affanno di idee, la prima cosa di dire è che Richard Thompson, a pieno titolo, è considerato uno dei migliori chitarristi della storia del rock mondiale, e questo non solo per i suoi dischi, ma anche per le sue incendiarie performance live, in cui spesso regala vere e proprie magie alla chitarra elettrica. Chi ben conosce la discografia dell’ex Fairport Convention, sa bene che per nulla trascurabile è anche la sua anima acustica, alla quale ha dedicato lo splendido “Small Town Romance” del 1984, e così non ci sorprende ritrovarlo alle prese con “Acoustic Classics”, album per soli voce e chitarra, realizzato con lo scopo di riattualizzare il suo repertorio e per fotografare idealmente le sue performance in solitario. Sin dal primo ascolto si ha la sensazione che questo sia il disco che ogni musicista sogna, ma che ben pochi, se non pochissimi, sono in grado di fare. Voce e chitarra. Una voce in grado di far vibrare le corde dell’anima, e una chitarra capace di titillare e far danzare la fantasia, e questo grazie alla pertinenza conquistata con la dedizione, ma anche alla sua sorprendente predisposizione naturale. Basta ascoltare il suo timing eccezionale gonfiarsi ed allargarsi, per perdersi nei mari dell’ispirazione. Spaziando attraverso brani vecchi e composizioni più recenti, “Acoustic Classics” ci offre un viaggio attraverso le pagina più importanti del songwriting di Thompson da “Dimming Of The Day” a “Walking On A Wire” passando per una superba “I Want To See The Bright Lights Tonight” fino a toccare “Shoot Out The Lights”, per giungere alle perle della maturità come “Beeswing” o “I Misunderstood” con il quale nel 1991 provò a scalare anche le classifiche di MTV. Dalla prima all’ultima canzone si apprezza a pieno il rapporto preferenziale tra chitarra e voce che si esplica, attraverso cavalcate che sottendono un senso più ampio e recondito, ma non meno radicato nella sensibilità di ognuno di noi, qualcosa di trascendentale e spirituale. Questo disco è insomma il lasciapassare per un mondo tutto da scoprire, un mondo pieno di rimandi ora al folk, ora al rock, ora ancora alla canzone d’autore, ma è anche l’occasione per comprendere quale sia la reale difficoltà alla base di un progetto come questo, di fronte al quale scompare nel nulla l’ondata di dischi acustici che sembra aver preso corpo negli ultimi anni. Che altro aggettivo usare per questo disco, se non essenziale e splendido? Inebriante, forse questo è il termine che lo descrive a pieno.


Antonio "Rigo" Righetti
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