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Il titolo è subito chiaro “Tzinni”, che nella variante hassania dell’arabo tipica delle tribù beduine della Mauritania e del Sahara Occidentale significa letteralmente roteare, girare, circolare, evoca la danza che accompagna la musica dei griot dell’Africa Settentrionale, una forma coreutica che rimanda allegoricamente alla rappresentazione dell’alternarsi di giorno e notte, delle maree e delle fasi lunari, in un intreccio di simbolismi archetipali che si perdono nella notte dei tempi. Solo questo basterebbe a descrivere in modo profondo e dettagliato l’atmosfera e la forza della musica di Noura Mint Seymali, cantante originaria della Mauritania, il cui timbro vocale spazia da melismi intensi e delicati, a toni ruvidi e combattivi, sposandosi in modo superbo con le alchimie sonore messe in piedi dalla sua band. Forte di una formazione musicale cominciata sin da piccola al fianco dei genitori, entrambi musicisti, che l’hanno avviata allo studio dell’ardine, uno strumento a nove corde tradizionalmente riservato alle donne, e proseguita con l’approfondimento della tradizione musicale della sua terra e una lunga serie di concerti ed esibizioni nei contesti più disparati, Noura Mint Seymali ha già all’attivo due dischi, “Tarabe” del 2006 e “El Howl” del 2010, pubblicati solo in patria, ma che sono bastati a destare l’attenzione di Chris Eckman. Da qualche anno, infatti, il leader dei Walkabouts ci regala, grazie alla lungimiranza della Glitterbeat, una sorpresa dietro proseguendo in modo rigoroso la propria opera di valorizzazione della world music in generale, e più in particolare delle tradizioni dell’Africa Subsahariana, focalizzando la propria attenzione sul dialogo tra sonorità dell’Africa con il blues e il funk d’oltreoceano, piuttosto che sul concetto ormai superato ed improprio di discendenza. Per molto tempo in modo miope ci siamo cullati sull’idea che il blues affondasse le sue radici in Africa, senza accorgerci invece di un interscambio continuo. L’esempio lampante di tutto questo è proprio nuovo album di Noura Mint Seymali nel quale la tradizione musicale dell’area Subsahariana si mescola con influenze musicali che spaziano dal funk al rock, dal reggae al blues fino a toccare il pop, imprimendo a quei brani imparati sin da piccola, una dimensione del tutto nuova pronta a catturare l’attenzione anche del grande pubblico. Accompagnata dal marito, l’eccellente ed eclettico chitarrista Jeiche Ould Chigaly, e dalla spumeggiante sezione ritmica composta da Ousmane Touré al basso e Matthew Tinari alla batteria, la cantante della Mauritania ha riletto dieci brani tradizionali che nel loro insieme compongono un affascinante viaggio tra le dune del deserto e luoghi immaginifici, mettendo in contatto mondi sonori solo in apparenza diversi e distanti. Gli arrangiamenti essenziali e allo stesso tempo ricchi di groove, si basano su architetture e geometrie sonore semplici in cui la chitarra aggressiva ed incandescente di Jeiche Ould Chigaly con i suoi arpeggi ricalca i melismi creati dalla voce Noura Mint Seymali, mentre la sezione ritmica scandisce il tempo con una travolgente andatura funky. Rispetto agli stilemi del desert rock che abbiamo imparato a conoscere, l’influenza islamica qui si sente in maniera più incisiva, soprattutto negli arditi equilibrismi vocali, ora gutturali, ora cantilenati che caratterizzano alcuni brani. Allo stesso modo sorprende l’interplay tra la chitarra e l’ardine, che durante l’ascolto avvolge e cattura l’ascoltatore svelando l’ancestralità della tradizione, ma anche la forza accattivante del blues, del rock e del funk. Durante l’ascolto spiccano così brani come la drammatica “Soub Hanallah”, l’ipnotica ed evocativa “Tikifite” in cui brilla la chitarra di Jeiche Ould Chigaly, che si ripete in chiave hendrixiana nel vertice del disco ovvero la conclusiva “Emineima Chouweyné”. Noura Mint Seymali con il suo originale approccio alla musica tradizionale della sua terra, ci ha regalato un gioiello che contribuisce ad accrescere la curiosità verso la scena musicale Subsahariana.
Il titolo è subito chiaro “Tzinni”, che nella variante hassania dell’arabo tipica delle tribù beduine della Mauritania e del Sahara Occidentale significa letteralmente roteare, girare, circolare, evoca la danza che accompagna la musica dei griot dell’Africa Settentrionale, una forma coreutica che rimanda allegoricamente alla rappresentazione dell’alternarsi di giorno e notte, delle maree e delle fasi lunari, in un intreccio di simbolismi archetipali che si perdono nella notte dei tempi. Solo questo basterebbe a descrivere in modo profondo e dettagliato l’atmosfera e la forza della musica di Noura Mint Seymali, cantante originaria della Mauritania, il cui timbro vocale spazia da melismi intensi e delicati, a toni ruvidi e combattivi, sposandosi in modo superbo con le alchimie sonore messe in piedi dalla sua band. Forte di una formazione musicale cominciata sin da piccola al fianco dei genitori, entrambi musicisti, che l’hanno avviata allo studio dell’ardine, uno strumento a nove corde tradizionalmente riservato alle donne, e proseguita con l’approfondimento della tradizione musicale della sua terra e una lunga serie di concerti ed esibizioni nei contesti più disparati, Noura Mint Seymali ha già all’attivo due dischi, “Tarabe” del 2006 e “El Howl” del 2010, pubblicati solo in patria, ma che sono bastati a destare l’attenzione di Chris Eckman. Da qualche anno, infatti, il leader dei Walkabouts ci regala, grazie alla lungimiranza della Glitterbeat, una sorpresa dietro proseguendo in modo rigoroso la propria opera di valorizzazione della world music in generale, e più in particolare delle tradizioni dell’Africa Subsahariana, focalizzando la propria attenzione sul dialogo tra sonorità dell’Africa con il blues e il funk d’oltreoceano, piuttosto che sul concetto ormai superato ed improprio di discendenza. Per molto tempo in modo miope ci siamo cullati sull’idea che il blues affondasse le sue radici in Africa, senza accorgerci invece di un interscambio continuo. L’esempio lampante di tutto questo è proprio nuovo album di Noura Mint Seymali nel quale la tradizione musicale dell’area Subsahariana si mescola con influenze musicali che spaziano dal funk al rock, dal reggae al blues fino a toccare il pop, imprimendo a quei brani imparati sin da piccola, una dimensione del tutto nuova pronta a catturare l’attenzione anche del grande pubblico. Accompagnata dal marito, l’eccellente ed eclettico chitarrista Jeiche Ould Chigaly, e dalla spumeggiante sezione ritmica composta da Ousmane Touré al basso e Matthew Tinari alla batteria, la cantante della Mauritania ha riletto dieci brani tradizionali che nel loro insieme compongono un affascinante viaggio tra le dune del deserto e luoghi immaginifici, mettendo in contatto mondi sonori solo in apparenza diversi e distanti. Gli arrangiamenti essenziali e allo stesso tempo ricchi di groove, si basano su architetture e geometrie sonore semplici in cui la chitarra aggressiva ed incandescente di Jeiche Ould Chigaly con i suoi arpeggi ricalca i melismi creati dalla voce Noura Mint Seymali, mentre la sezione ritmica scandisce il tempo con una travolgente andatura funky. Rispetto agli stilemi del desert rock che abbiamo imparato a conoscere, l’influenza islamica qui si sente in maniera più incisiva, soprattutto negli arditi equilibrismi vocali, ora gutturali, ora cantilenati che caratterizzano alcuni brani. Allo stesso modo sorprende l’interplay tra la chitarra e l’ardine, che durante l’ascolto avvolge e cattura l’ascoltatore svelando l’ancestralità della tradizione, ma anche la forza accattivante del blues, del rock e del funk. Durante l’ascolto spiccano così brani come la drammatica “Soub Hanallah”, l’ipnotica ed evocativa “Tikifite” in cui brilla la chitarra di Jeiche Ould Chigaly, che si ripete in chiave hendrixiana nel vertice del disco ovvero la conclusiva “Emineima Chouweyné”. Noura Mint Seymali con il suo originale approccio alla musica tradizionale della sua terra, ci ha regalato un gioiello che contribuisce ad accrescere la curiosità verso la scena musicale Subsahariana.
Salvatore Esposito
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Africa