Da sempre l’artista marocchino trascende i mondi musicali: in passato, lo ricordiamo accanto ad Archie Shepp, Louis Sclavis, Benat Achiary e Joachim Kühn, solo per citare alcune delle sue numerose collaborazioni. “Al qantara”, che in arabo significa ponte, è un titolo emblematico del sincretismo perseguito da un artista che, a soli quindici anni, nei primi anni ‘70 del secolo scorso, imbracciava il banjo nei Jil Jilala, insieme ai Nass El Ghiwane, band seminali della corrente libertaria nella musica popolare maghrebina. Anche nel nome, Afro Oriental Jazz Trio, il gruppo di Bekkas rivela la propensione alla ricerca di confluenze sonore. È un sodalizio di lunga e provata esperienza quello del trio che, oltre a Majid (guembri, oud, kalimba, voce), annovera il suo conterraneo Khalid Kouhen (percussioni) e il belga Manuel Hermia (bansuri, sax soprano, clarinetto). Se il poderoso timbro del liuto basso guembri e il canto responsoriale del tradizionale di apertura, “Bania”, ci portano di getto dentro il portamento ritmico gnaoua, il flauto indiano di Hermia ricama erratico e libero, rivelando spunti prog. Con il dialogo serrato tra percussioni, oud e sax, la title-track evoca i fasti di Al-Andalus, laddove la fusion afro-arab-jazz prende il sopravvento in “Bled el ghourba” e “Bouregreb”. La lunga “Choroq”, con il suo virtuosistico preludio solistico all’oud, incede verso il subcontinente indiano, a mano a mano che entrano gli altri strumenti. Nel segno delle vie commerciali che dal mondo arabo conducevano verso l’Oriente si sviluppa anche la memorabile "Sidi Ali Ben Hamdouch". Nella scia della storia della diaspora africana, ecco arrivare la programmatica e indovinata rilettura di “Guinea” di Don Cherry. Ancora tratti d’Africa nel canto accompagnato dalla kalimba di “Ana bouhali”. Invece, sono le coordinate nord africane a prevalere in “Lettre à “Aabla”.
Ciro De Rosa
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