“Head In The Dirt” è uscito qualche tempo fa nel 2013, ma voi cari lettori di “Taglio Basso” sapete che la nostra concezione è squisitamente atemporale. Il disco è quello di un musicista giovane, dalla genesi personale orgogliosamente extra-americana ma cresciuto rigorosamente a San Francisco. Hanni El Khatib è uno skater, un rocker, che qui si fa aiutare per il suo secondo lavoro dal prode Dan Auerbach dei Black Keys, che compare pure nei credits di diverse canzoni. La mano di Dan la si sente eccome, e confeziona un “pastiche” che va dal punk a-là Clash fino a Bo Diddley, passando per inni da skater urbano croccanti di chitarre, impreziositi di organetti sbilenchi ed ostinati di batterie con suoni attuali e interessanti. Niente di travolgente, ma sicuramente qualcosa che rock in senso ampio si può certamente definire, con la leggerezza tipica del rock statunitense, e qualche debito con la concezione rollingstoniana sana. Che vi devo dire? E’ il disco che amerei piacesse a mio figlio Angelo, per liberarlo dal virus One Direction, e partire verso un percorso sano e robusto. Anzi, adesso che ci penso, vado a metterglielo nell’iPod a tradimento! A chi non piacesse Dan Auerbach, l’invito è di andare in studio oggi, e fare coi suoni e coi concetti quello che viene così facile a parole. Rendere giustizia al rock, alle chitarre al tiro come Dan riesce a fare. Se dovessi scegliere un brano, credo che “Penny”, col suo incedere dritto, dominato da un bassone che pompa sia il miglior esempio di cosa si può fare con due accordi e un poco di testa.
Antonio "Rigo" Righetti
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