Nato a Bari nel 1993, il progetto Terrae vanta una intensa attività dal vivo in Italia e all’estero, e ben sette dischi all’attivo, nonché prestigiose collaborazioni con artisti del calibro di Eugenio Bennato, Riccardo Caporossi, Riccardo Cucciolla, Arnoldo Foà, Giovanna Marini, Antonello Salis e scrittori come Pino Aprile, Maxence Fermine, Valerio Massimo Manfredi e Luis Sepúlveda. In occasione della pubblicazione del loro nuovo progetto discografico, “Figliadorré. Vita Immaginaria Di Una Brigantessa”, abbiamo intervistato Paolo Mastronardi, chitarrista ed anima del gruppo insieme a Rocco Capri Chiumarulo, con lui abbiamo ripercorso le principali tappe del loro percorso artistico, le influenze, le ispirazioni, per soffermarci infine sul loro nuovo album.
Come nasce il progetto Terrae?
Nell’autunno del 1992 si scioglieva l’ensemble con cui io e Rocco Capri Chiumarulo avevamo portato in giro un po’ dappertutto (compresa un’indimenticabile trasferta a New York) uno spettacolo sulla tradizione musico-teatrale del Sud Italia. Qualche mese dopo conoscemmo Stefano di Lauro, percependo immediatamente di poter/dover condividere un progetto artistico con lui. Cominciare ad incontrarsi tutti e tre per incrociare idee, ascolti e visioni fu infatti solo questione di giorni…
Siamo partiti dalla geografia più vicina, dal nostro Sud, per poi spingerci ovunque ci portassero gusti ed emozioni, senza preclusioni ma con una prerogativa ben precisa: mettere più distanza possibile fra noi ed il folk. Filtrare, asciugare, sottrarre. Pensiamo che solo così si possano aggirare le trappole della retorica (passato non è sempre sinonimo di prezioso...) e contemporaneamente si può “muovere” la tradizione, che non è qualcosa di immoto.
Quali sono le vostre principali influenze?
È davvero molto difficile rispondere a questa domanda, perché siamo realmente “onnivori” e quindi l’humus musicale dal quale muoviamo include formazioni ed artisti diversissimi: si va dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare agli Oregon, da Musicanova a Vince Mendoza, solo per fare i primi nomi che mi vengono in mente.
Quanto è stato determinante nel vostro percorso la vostra attività di ricerca nella musica popolare pugliese?
Fondamentale, perché, come ho detto prima, abbiamo cominciato da qui. Prova ne sia che il nostro primo recital si chiamava “Le terre del rimorso” (titolo “pluralizzato” del celeberrimo libro di Ernesto De Martino, sorta di bibbia sul tarantismo salentino) ed il primo cd “Puglia Canti e Disincanti”.
La ricerca non è però limitata solo alla musica ma si estende anche ad altri ambiti...
Certo. Ad esempio in campo teatrale abbiamo prodotto diversi lavori (fra cui “Chisciotte Finzioni E Passione Di Un Hidalgo”, “La Crociata Dei Bambini”, “Catàbasi”, “Verso Itaca”, “Cantata Para Un Niño”, “Prima della Poesia”), che spaziano dalle riletture dei capolavori di Cervantes e Schwob alle ricognizioni nei miti dell’antichità (primo fra tutti l’Ulisse omerico), sino all’approfondimento dell’opera di Federico García Lorca, autore per il quale non abbiamo mai nascosto di nutrire una passione particolare. In ambito audiovisivo poi, abbiamo coprodotto cortometraggi quali “Paesaggi” (del fotografo Nicola Amato, anch’egli componente stabile di Terrae) e “Pretexto Andaluso” (della film-maker Letizia Lamartire), selezionato in diverse importanti rassegne internazionali.
Uno dei vostri lavori più recenti è il libro con cd “Bari sole e Cerase”. Puoi parlarci di questo progetto?
Si tratta di una straordinaria raccolta di racconti originali in lingua barese, che oltre trent’anni fa venne registrata su vinile dal grande Riccardo Cucciolla (indimenticabile attore e doppiatore barese, vincitore tra l’altro della “Palma d’oro” a Cannes per “Sacco e Vanzetti”). Il disco non ebbe grande diffusione e quindi di questo lavoro se ne persero le tracce per decenni. Essendo cresciuti letteralmente consumando le audiocassette con quell’autentica perla, abbiamo quindi pensato di recuperarla, facendo restaurare le basi orchestrali dell’epoca su cui Rocco ha poi ri-registrato i racconti. Nel libro, molto curato graficamente, oltre ai testi in barese abbiamo aggiunto le relative traduzioni in italiano per facilitarne la fruizione.
Recentissimo è invece il disco “Figliadorrè”. Ci puoi raccontare la genesi di questo disco e le sue fasi di lavorazione concettuale?
Parliamo di oltre quindici anni fa. Avevamo da poco terminato di musicare “La favola di Bellafronte” (un cunto marinaro raccolto nel nord-barese, che tempo dopo sarebbe diventato il nostro secondo cd, dal sapore etno-jazz), quando Stefano mi propose di lavorare ad un altro concept album, questa volta musicando un suo racconto in versi ambientato nel Risorgimento. Nacque così “Figliadorrè vita immaginaria di una brigantessa”, vicenda ispirata alle biografie vere di tutte quelle donne che giocarono un ruolo fondamentale in quel periodo controverso quanto cruciale per il nostro Paese. Come riportato fra le dediche del cd, attraverso la nostra eroina, abbiamo perciò voluto omaggiare “Michelina, Arcangela, Giovannella, Generosa, Giocondina e le brigantesse d’ogni tempo”.
Pino Aprile nelle note di copertina scrive: “Il Sud d’Italia sta guarendo dalla peggiore malattia che possa menomare un popolo, l’amnesia”. Quanto è importante riscoprire le vicende legate all’Unità d’Italia, delle quali spesso si conosce solo la storia scritta dai vincitori?
Se “Terroni”, il libro di Pino, è diventato un caso editoriale, lo si deve proprio alla voglia di conoscere la verità che si sta facendo sempre più strada fra i meridionali e non solo. Ormai non è più possibile continuare a sostenere che il brigantaggio postunitario sia stato solo un fenomeno criminale (una forma di banditismo più o meno organizzato) e non piuttosto l’inevitabile risposta alla colonizzazione “manu militari” subita dal Regno delle Due Sicilie. Sotto i Borboni, il Sud primeggiava in diversi campi (artistico, tecnologico, commerciale...) e non versava in condizioni poi così catastrofiche, se è vero che il processo di “unificazione” incontrò da subito una straordinaria resistenza, scatenando una vera e propria guerra civile con migliaia di vittime in entrambi gli schieramenti. Garibaldi definì addirittura “incommensurabile” quanto subìto in quegli anni dalle popolazioni meridionali.
Dal punto di vista compositivo quali sono state le vostre ispirazioni per questo disco?
Il gusto compositivo è inevitabilmente influenzato da tutti gli ascolti che si accumulano col passare del tempo. Nonostante gli oltre quindici anni trascorsi dalla loro scrittura è stato perciò davvero sorprendente verificare quanto la maggior parte dei pezzi fosse ancora molto valida. Come già nei dischi passati, alcuni ritmi tradizionali (tra cui la tarantella, la tammurriata e la villanella) hanno costituito una sorta di “pretesto stilistico” sul quale sono stati costruiti i vari brani, sempre con grande libertà espressiva.
Anche in questo caso abbiamo messo estrema cura sia nella scrittura contrappuntistica che nella meticolosa scelta dei suoni, resa possibile anche grazie all’esperienza del sound engineer Tommy Cavalieri, che ha condiviso il progetto registrando/missando il cd e co-producendolo attraverso la sua nuova label Verterecords.
Il disco si conclude con un cameo di Eugenio Bennato che accenna “Brigante se more”, brano simbolo del brigantaggio contro l’invasore Piemontese. Quanto è stata importate la sua presenza nel disco e la presenza di questo brano in scaletta?
Ero preadolescente, quando Eugenio compose “Brigante se more” per uno sceneggiato Rai che, ancor prima dei libri di scuola, mi avvicinò al fenomeno del brigantaggio. È stato quindi naturale chiedergli di suggellare “Figliadorrè” proprio con uno stralcio di quella canzone, cosa che ha fatto mantenendo fede ad una promessa “antica”.
Concludendo, essendo il disco un concept album, come lo proporrete dal vivo?
Oltre a me ed a Rocco, in concerto si esibiranno gli stessi componenti della “formazione base” che ha suonato nel cd (Salvatore Ancora, Nico Berardi, Pippo D’Ambrosio, Loredana Savino e Giuseppe Volpe), mentre la scaletta sarà necessariamente arricchita da altri brani, per scegliere i quali attingeremo sia dalla tradizione che dal repertorio originale di Terrae.
Terrae - Figliadorrè. Vita Immaginaria Di Una Brigantessa (Verterecords, 2013)
CONSIGLIATO BLOGFOOLK!!
Terrae è un collettivo di Bari che si occupa di cultura popolare e che scrive, suona e racconta storie senza subordinare la narrazione alla filologia, ma piuttosto inquadrandola in una forma di recupero “creativo”, legato cioè a un’interpretazione libera degli elementi musicali di tradizione orale. Terrae ha all’attivo diversi dischi e spettacoli (sui quali varrebbe la pena soffermarsi, perché nel loro insieme definiscono la dinamicità di questo ensemble, ma che qui posso solo citare: Canti e disincanti, La favola di Bellafronte e altre storie, EspaGNa, Bari Sole & Cerase), ai quali si aggiunge Figliadorrè. Vita immaginaria di una brigantessa, il disco di cui si parla in queste righe, uscito per l'etichetta Verterecords, che racconta - attraverso quattordici brani tra originali e tradizionali - le imprese e le lotte di una donna, proposte come il riflesso della guerra tra i Savoia e i Borboni nella seconda metà dell’Ottocento, della politica di governo dei Borboni e della fine della loro parabola nel sud Italia. Quello che mi sembra interessante non è tanto l’aspetto musicale, quanto narrativo. Se infatti sul piano sonoro non si ravvedono scelte particolarmente innovative - sebbene le esecuzioni siano molto accurate e la scelta degli strumenti, così come le costruzioni armoniche e gli arrangiamenti, denotino un’ottima competenza tecnica, grazie soprattutto alla presenza degli animatori del progetto Terrae: Salvatore Ancora (contrabbasso), Nico Berardi (flauti andini), Rocco Capri Chiumarulo (voce), Pippo D’Ambrosio (arrangiamenti ritmici, percussioni), Paolo Mastronardi (chitarre, mandoloncello, piano pizzicato), Loredana Savino (voce), Giuseppe Volpe (fisarmonica, pianoforte), ai quali si sono aggiunti in questo disco Massimo Carrieri (pianoforte), Tommy Cavalieri (virtual instruments), Giorgio Distante(tromba), Vincenzo Gagliani (tamburello), Gentian Haxhiademi (clarinetto), Alessandro Pipino (organetto) ed Eugenio Bennato - sul piano stilistico, descrittivo ed evocativo Figliadorrè dimostra un’attenzione straordinaria proprio a quei dati contraddittori che nei libri di storia non possiamo incontrare (o che non abbiamo potuto leggere fino ad oggi). In questo quadro, la linearità del racconto storico si frantuma a favore di una polivocalità inedita. Che assume, ovviamente, anche un valore politico. E dalla quale prende forma una narrazione trasversale e informale (popolare, si potrebbe sinteticamente dire, perché ricalca le storie tramandate a voce, e a volte cantate, nei paesi e nelle campagne non solo dell’ex regno borbonico) che lascia emergere una nuova prospettiva: antagonista, perché storicamente subordinata e contraddittoria alla versione della storia egemone, e perché racconta (oltre alla violenza truce della guerra) il sentimento popolare, cioè i tratti di un immaginario collettivo in cui spesso la versione dei fatti emerge addirittura come opposta a quella che conoscono i bambini fin dai primi anni di scuola. In termini generali, il progetto narrativo di Terrae si inserisce in un percorso difficile non solo sul piano artistico ma, direi, anche storico e culturale. Difatti, prima di tutto vi è la difficoltà di selezionare i dati più significativi e, allo stesso tempo, rappresentativi di un periodo storico articolato e che, soprattutto, è stato storicizzato senza sbavature e contraddizioni. Solo sulle contrapposizioni non si è esitato: da un lato il nascituro e luminescente Stato italiano, trascinato dall’avanguardia piemontese e dal (paradossalmente) rosso delle camice dei garibaldini. Dall’altro lato il cancrenino e oscuro Regno delle Due Sicilie, ancorato in un’irrisolvibile anacronismo dalla corruzione dei costumi e dal fenomeno (dalla devianza) del brigantaggio. In secondo luogo vi è, invece, la difficoltà di raccontare aspetti così complessi attraverso la musica, costringendo giocoforza il flusso della rappresentazione dentro un necessario figurativismo, i cui esiti (in musica) non sono sempre interessanti. Soprattutto perché l’equilibrio è molto incerto, in quanto alla ricerca e alla conoscenza storica, così come all’entusiasmo politico, deve corrispondere un’adeguata competenza musicale. La mancanza di questa corrispondenza può generare una debolezza strutturale dell’impianto del “concept” e, di conseguenza, della rappresentazione musicale della storia. Se mancano i giusti elementi l’intera narrazione può flettersi sotto il peso di una rappresentazione sfocata dei riferimenti storico-culturali e delle musiche di tradizione orale, dando luogo così a un’interpretazione noiosa e piatta e, nel peggiore dei casi, satura di citazioni non appropriate. Tutto questo in Figliadorrè è ampiamente superato: il discorso è scorrevole, la cadenza delle strofe asseconda un ritmo che evoca il carattere determinato della protagonista e, allo stesso tempo la gravità e l’epica degli eventi in cui si inquadra la sua parabola, la complessità degli argomenti è articolata in un andamento regolare, che dentro lo sviluppo della storia emerge come un marcatore chiaro e necessario. Il cameo di Eugenio Bennato che accenna una quarantina di secondi di “Brigante se more” - la canzone certamente più famosa sul brigantaggio - chiude l’album e, con esso, il cerchio dei riferimenti, rappresentando allo stesso tempo il tratto nascosto e incombente verso cui indirizzano tutti gli altri brani, a partire dal primo: “Figliadorrè, come un gioco già sudato di destino”.
Terrae è un collettivo di Bari che si occupa di cultura popolare e che scrive, suona e racconta storie senza subordinare la narrazione alla filologia, ma piuttosto inquadrandola in una forma di recupero “creativo”, legato cioè a un’interpretazione libera degli elementi musicali di tradizione orale. Terrae ha all’attivo diversi dischi e spettacoli (sui quali varrebbe la pena soffermarsi, perché nel loro insieme definiscono la dinamicità di questo ensemble, ma che qui posso solo citare: Canti e disincanti, La favola di Bellafronte e altre storie, EspaGNa, Bari Sole & Cerase), ai quali si aggiunge Figliadorrè. Vita immaginaria di una brigantessa, il disco di cui si parla in queste righe, uscito per l'etichetta Verterecords, che racconta - attraverso quattordici brani tra originali e tradizionali - le imprese e le lotte di una donna, proposte come il riflesso della guerra tra i Savoia e i Borboni nella seconda metà dell’Ottocento, della politica di governo dei Borboni e della fine della loro parabola nel sud Italia. Quello che mi sembra interessante non è tanto l’aspetto musicale, quanto narrativo. Se infatti sul piano sonoro non si ravvedono scelte particolarmente innovative - sebbene le esecuzioni siano molto accurate e la scelta degli strumenti, così come le costruzioni armoniche e gli arrangiamenti, denotino un’ottima competenza tecnica, grazie soprattutto alla presenza degli animatori del progetto Terrae: Salvatore Ancora (contrabbasso), Nico Berardi (flauti andini), Rocco Capri Chiumarulo (voce), Pippo D’Ambrosio (arrangiamenti ritmici, percussioni), Paolo Mastronardi (chitarre, mandoloncello, piano pizzicato), Loredana Savino (voce), Giuseppe Volpe (fisarmonica, pianoforte), ai quali si sono aggiunti in questo disco Massimo Carrieri (pianoforte), Tommy Cavalieri (virtual instruments), Giorgio Distante(tromba), Vincenzo Gagliani (tamburello), Gentian Haxhiademi (clarinetto), Alessandro Pipino (organetto) ed Eugenio Bennato - sul piano stilistico, descrittivo ed evocativo Figliadorrè dimostra un’attenzione straordinaria proprio a quei dati contraddittori che nei libri di storia non possiamo incontrare (o che non abbiamo potuto leggere fino ad oggi). In questo quadro, la linearità del racconto storico si frantuma a favore di una polivocalità inedita. Che assume, ovviamente, anche un valore politico. E dalla quale prende forma una narrazione trasversale e informale (popolare, si potrebbe sinteticamente dire, perché ricalca le storie tramandate a voce, e a volte cantate, nei paesi e nelle campagne non solo dell’ex regno borbonico) che lascia emergere una nuova prospettiva: antagonista, perché storicamente subordinata e contraddittoria alla versione della storia egemone, e perché racconta (oltre alla violenza truce della guerra) il sentimento popolare, cioè i tratti di un immaginario collettivo in cui spesso la versione dei fatti emerge addirittura come opposta a quella che conoscono i bambini fin dai primi anni di scuola. In termini generali, il progetto narrativo di Terrae si inserisce in un percorso difficile non solo sul piano artistico ma, direi, anche storico e culturale. Difatti, prima di tutto vi è la difficoltà di selezionare i dati più significativi e, allo stesso tempo, rappresentativi di un periodo storico articolato e che, soprattutto, è stato storicizzato senza sbavature e contraddizioni. Solo sulle contrapposizioni non si è esitato: da un lato il nascituro e luminescente Stato italiano, trascinato dall’avanguardia piemontese e dal (paradossalmente) rosso delle camice dei garibaldini. Dall’altro lato il cancrenino e oscuro Regno delle Due Sicilie, ancorato in un’irrisolvibile anacronismo dalla corruzione dei costumi e dal fenomeno (dalla devianza) del brigantaggio. In secondo luogo vi è, invece, la difficoltà di raccontare aspetti così complessi attraverso la musica, costringendo giocoforza il flusso della rappresentazione dentro un necessario figurativismo, i cui esiti (in musica) non sono sempre interessanti. Soprattutto perché l’equilibrio è molto incerto, in quanto alla ricerca e alla conoscenza storica, così come all’entusiasmo politico, deve corrispondere un’adeguata competenza musicale. La mancanza di questa corrispondenza può generare una debolezza strutturale dell’impianto del “concept” e, di conseguenza, della rappresentazione musicale della storia. Se mancano i giusti elementi l’intera narrazione può flettersi sotto il peso di una rappresentazione sfocata dei riferimenti storico-culturali e delle musiche di tradizione orale, dando luogo così a un’interpretazione noiosa e piatta e, nel peggiore dei casi, satura di citazioni non appropriate. Tutto questo in Figliadorrè è ampiamente superato: il discorso è scorrevole, la cadenza delle strofe asseconda un ritmo che evoca il carattere determinato della protagonista e, allo stesso tempo la gravità e l’epica degli eventi in cui si inquadra la sua parabola, la complessità degli argomenti è articolata in un andamento regolare, che dentro lo sviluppo della storia emerge come un marcatore chiaro e necessario. Il cameo di Eugenio Bennato che accenna una quarantina di secondi di “Brigante se more” - la canzone certamente più famosa sul brigantaggio - chiude l’album e, con esso, il cerchio dei riferimenti, rappresentando allo stesso tempo il tratto nascosto e incombente verso cui indirizzano tutti gli altri brani, a partire dal primo: “Figliadorrè, come un gioco già sudato di destino”.
Daniele Cestellini
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Puglia