Restiamo sulla scia dello scorso numero in cui abbiamo parlato di “Dream River” di Bill Challahan, per raccontarvi di un altro disco inutile, ovvero “Imitation” di Mark Lanegan.
L’ex Screaming Trees, infatti, ha pensato bene di confezionare le sue imitazioni andando a saccheggiare il repertorio che i suoi genitori gli hanno imposto. Un repertorio nobilissimo, tra crooner e Bobby Darin e altre amenità. Lui, il sogno proibito di ogni indie che popola il pianeta, è stato abbastanza drogato da apparire affascinante, ha un voce baritonale che fa tanto Johnny Cash, e il look finto trasandato. E noi qui in Italia, la lontana Italia, la piccola Italia dove si mangia così bene, e dove ci sono così belle donne, dobbiamo muoverci e martoriarci i maroni ad ascoltare un disco di covers in silenzio, che vale esattamente come quel “Old Sock” di Eric Clapton, con la differenza che Slowhand l’indie non lo frequenta e anzi, lo aborrisce e ne viene aborrito. Perché questo “Imitations” sembra proprio quello, un disco creato a immagine e somiglianza degli snob la cui mammina è sempre incinta, anche all’estero. Provare per credere. E allora giù di chitarre twang, e una allure fornita da una industria discografica, che fa il suo dovere.
Sapere che in Italia qualche Mark Lanegan è a spasso non aiuta, anzi fa male, malissimo.
Sapere che i dischi dei nostri Mark Lanegan non hanno proprio speranza, fa ancora peggio.
Certo, Mark ha una voce di quelle che potrebbe cantare le pagine gialle di Poggiorusco e sembrare credibile, siamo d’accordo, ma non basta, anche se il lavoro di produzione artistica è ineccepibile, i suoni belli e le idee non mancano. Roll On Marc.
Antonio "Rigo" Righetti