Le Ricerche Sulla Musica Tradizionale In Salento

Dalla ricerca come memoria alla ricerca come affermazione del sé. 
Il principio la ricerca dei canti popolari salentini servì a organizzare la colonna sonora di qualche rappresentazione teatrale (le Scimmie di Kafka), oppure a qualche insegnante di buona volontà che voleva illustrare agli alunni la “vita bucolica” dei contadini che trascorrevano il “tempo libero(?)” cantando. Poi per qualcuno di noi scattò la molla della curiosità e della conoscenza per un patrimonio che racchiudeva in sé non solo la sonorità di un territorio, ma anche una precisa visione del mondo e della vita. Intellettuali come Rina Durante, Bucci Caldarulo, Luigi Lezzi e tanti altri dettero vita a un gruppo di giovani volenterosi che già nel 1973 costituirono un gruppo di riproposta (Gruppo folk del Salento) con il quale, sfruttando i soli circuiti spettacolari del tempo, feste dei circoli Arci e feste de L’Unità, portavano in giro per il Salento la musica del territorio. L’idea iniziale era quella di “restituire al popolo la propria cultura e la propria creatività” Con la nascita nel 1975 del Canzoniere Grecanico Salentino la ricerca diventa una priorità politica e culturale che serviva sia a cerare un repertorio per gli spettacoli sia per dare risposte ad una conoscenza spezzata della cultura orale e al suo immaginario collettivo.. 

Ricerca e riproposta: l’attività del Canzoniere Grecanico Salentino 
Particolare impulso fu dato alla ricerca sia perché il Canzoniere Grecanico Salentino aveva bisogno di rimpolpare il repertorio allargando a tutti generi della musica di tradizione sia perché si aveva la sensazione che si fosse davanti a una vera e propria perdita della memoria. I primi tempi furono utilizzati strumenti di fortuna come piccoli registratori a cassette Successivamente quando i risparmi messi da parte con i soldi degli spettacoli lo permisero mi dotai di un registratore a bobine. ‘l’UHR 4400 che mi permetteva di registrare con una professionalità fino a quel momento sconosciuta. I luoghi privilegiati della ricerca furono le botteghe di vino “putee” dove negli anni Settanta era possibile incontrare molte persone “anziane” che molto spesso si rivelavano delle vere e proprie Biblioteche della Memoria. Sulla spinta anche di mia madre e di mio padre, abilissimi cantori di Martano, cominciò una vastissima ricerca di documentazione che si spostava di paese in paese affinando tecnica e conoscenze sempre maggiori. A Corigliano ho conosciuto i fratelli Costa e tanti altri cantori, a Aradeo gli Zimba, a Cutrofiano gli Ucci, e via via andando in giro per quasi tutto il Salento: Maglie, Castrignano del Capo, Presicce, Lecce, Otranto, Castro, Calimera, Martano. La ricerca non si limitava solo alle registrazione dei canti ma cercava, sotto la spinta anche delle ricerche e indicazioni di Gianni Bosio e del suo “Elogio del magnetofono”, di fissare biografie, storie, giochi leggende, racconti fatti della vita quotidiana. Dal 1984 inizia una vasta ricerca di documentazione della storia orale della nascita del movimento contadino e operaio in Salento per conto dell’Istituto Gramsci di Bari. Nel giro di qualche decennio possiamo affermare che la gran parte della memoria orale era stata registrata e “salvata” dalla dimenticanza, a volte dovuta al tempo altre volete a una scelta precisa da parte dei cantori. Questa particolare resistenza da arte dei canori a “donare” leproprie conoscenze e laloro visione della vita era legata a avvenimenti che avevano segnato profondamente il Salento negli anni Cinquanta. Subito dopo gli anni Cinquanta cinquantuno dopo il fallimento delle occupazioni delle terre a cui i salentini avevano affidato la possibilità di una nuova umanità che il tessuto sociale, culturale politico era stato devastato dai fenomeni dell’emigrazione di massa. Numeri consistenti di persone con percentuali anche del 20- 25% erano andati via lontano dalla miseria materiale e morale verso la speranza di una nuova umanità a cercare fortuna nei paesi dell’Europa: Francia, Svizzera, Germania, Belgio nelle grandi città del Nord. Qui hanno assunto stimoli e idee di una umanità altra. Più dignitosa e umana. La conseguenza di questo fu un abbandono progressivo della memoria dei luoghi di origine. Rimossi come segno di un cattivo destino. Quando negli anni Settanta si comincia a formare un flusso di emigrati di ritorno la memoria è devastata. Accantonata, rimossa. Ritornare sia pure con il solo ricordo al passato era un esercizio doloroso e considerato poco importante. Entrare in contatto con i cantori Alberi di Canto e di Cultura era un esercizio che richiedeva pazienza, e amore verso la cultura orale del territorio. Quando questo accadeva si spalancavano le porte di un mondo affascinante e variegato sia per l’offerta canora specifica sia per tutto ciò che concerneva la cultura più vasta di un territorio. In questo periodo si sono compiute vaste ricerche sul tarantismo e sul movimento contadino e operaio in Salento che hanno svelato al grande pubblico sia i rituali più significativi del tarantismo attraverso le testimonianze dirette delle tarantate e dei suonatori del fenomeno che i tantissimi tentativi di riscatto sociale politico delle genti salentine. Tutto questo senza essere in grado di consultare le grandi ricerche realizzate negli anni precedenti da alcuni fra i più importati antropologi e etnomusicologi d’Italia e stranieri.
Nel 1954 Lomax e Carpitella, nel 1963 Giovanna Marini, nel 1965 Luigi Di Gianni realizza un reportage sul “Male di san Donato”, nel 1968 Gianni Bosio, nel 1960 di Carpitella e Cecilia Mangini che ci ha lasciato l’unico documento filmico sulle prefiche di Martano. Si procedeva nella ricerca in maniera empirica e si affinavano le conoscenze attraverso i dati che di volta in volta si raccoglievano sul campo e si mettevano a disposizione del Canzoniere Grecanico Salentino per la costruzione del repertorio. Negli anni 78-79 Rina Durante, animatrice culturale del Canzoniere Grecanico Salentino insieme a Bucci Caldarulo espose al gruppo la possibilità di realizzare due dischi per conto della collana musicale Albatros sulla musica popolare del Salento e della Grecìa salentina curati da Brizio Montinaro originario di Calimera ma che da molti anni vibea a Roma. Per questa collaborazione fui incaricato dal Canzoniere Grecanico Salentino e da Rina stessa per fornire i materiali necessari a alla realizzazione del progetto.   Il Canzoniere Grecanico Salentino agiva in sintonia con il movimento più ampio e variegato che in quegli stessi anni si era generato in Italia sotto la spinta del Nuovo Canzoniere Italiano Il dibattito sulla cultura popolare in Italia si consolida e si arricchisce a partire dal dopoguerra e via via negli anni Sessanta e Settanta, irrobustito dalle problematiche meridionaliste, dall’affacciarsi nella società italiana delle classi contadine e operaie con la loro storia e cultura.  Il dibattito, ricco e variegato, trova due momenti di grande sintesi culturale e spettacolare con "Sentite  Buona Gente"1 di Dario Fo e "Pietà L’è Morta" 2. Lo spettacolo è organizzato dal Nuovo Canzoniere Italiano che raccoglieva intorno a sé una serie di intellettuali, ricercatori e uomini di spettacolo che diedero vita nel 1966 all’Istituto Ernesto de Martino per la ricerca e la documentazione della cultura popolare e operaia . Intorno alla seconda metà degli anni Ottanta il dibattito sulla cultura popolare diminuisce sino quasi ad esaurirsi nella seconda metà degli stessi anni. In questo periodo solo pochi suoni e sonorità legate alla cultura del territorio e qualche timido scritto sulla memoria orale. Bisogna aspettare gli inizi degli anni Novanta per riscoprire un rinnovato interesse verso la cultura del territorio. Nel 1989 si verificano almeno due avvenimenti che hanno posto in essere un nuovo modo di intendere la cultura popolare (una volta subalterna), orale di un territorio (una volta di classe). Cade il muro di Berlino e con esso gli steccati ideologici e culturali che avevano indirizzato idee, modi di intendere, di vedere, sentire e interpretare il concetto di cultura altra e egemone. Il pensiero, svincolato da pastoie ideologiche precostituite o legate solo alle categorie economicistiche di strutture e sovrastrutture, può spaziare a trecentosessanta gradi, libero di accettare o rifiutare riti, miti, superstizioni, o meglio visioni del mondo differenti che non necessariamente sono stati fondanti di una civiltà o di una comunità. Concetti di classe e quindi cultura di una classe si allargano a dismisura e difficilmente tutte le idee che avevano animato l’acceso dibattito intorno alla cultura egemone e subalterna assumono confini e visioni facilmente riportabili in parametri predefiniti. In contemporanea alla caduta del Muro si verificano grandi fenomeni di immigrazioni di massa. Popolazioni intere si mettono in movimento da est verso ovest del mondo, portando con sé non solo aneliti di democrazia e libertà e nuova dignità alla vita, ma anche innumerevoli varianti e concezioni filosofiche della vita stessa, che entrano in contatto con una visione del mondo europa-centristica, e chiedono di essere protagoniste della storia e non solo “soggetti da studiare e comparare”. La ridefinizione dei confini geo-politici dell’umanità, la rivoluzione dei mezzi di comunicazione e della tecnologia, l’accesso a un sapere non più solo appannaggio di una classe ci impongono nuovi strumenti di analisi della società e dei miti, riti (nuovi e antichi), che permeano la nostra esistenza nella sua globalità. 

In Salento 
Anche il Salento, già terra elettiva dell’etnomusicologia italiana, ha seguito questo percorso e dopo qualche decennio di quasi silenzio si è svegliata pressata dalle nuove emergenze e necessità. Il movimento della riscoperta e della riproposta ha assunto dimensioni ampie e variegate tanto da affermare che il fenomeno della cultura popolare oggi possa essere una moda, visto il proliferare anche caotico di iniziative, ricerche, manifestazioni più o meno valide esposte attraverso i mezzi mediatici all’occhio del grande fratello.. L'interesse suscitato dall’argomento merita una ampia riflessione partendo proprio dalla ricerca sul campo e dal fenomeno musicale della riproposta. In questi ultimi anni si sta vivendo una grande stagione di ricerca e riorganizzazione della propria memoria orale facilitata anche da un processo di globalizzazione che interessa l’universo delle popolazioni. Oggi siamo chiamati a discutere e prendere posizione su temi che riguardano la cultura del territorio che diventa bene immateriale da salvare forse da una nuova forma di ghettizzazione. All’interno delle pieghe di questo processo ogni singolo territorio ha riscoperto l’alterità e la diversità. Elementi che non sono usati in contrapposizione, ma che il più delle volte assumono caratteri mistificanti di una cultura e di una classe. La ricerca non ha più l’ambito o l’ambizione di esplorare e consegnare al grande pubblico riti e miti di cui quasi tutto si sa nel bene e nel male, ma si muove verso l’affermazione di una cultura che sia gratificante prima di tutto verso chi la possiede e successivamente per coloro che ne vengono a conoscenza. Negli ultimi tempi si è prodotta una banalizzazione della microstoria e della storia di appartenenza a un territorio. Il più delle volte si assiste solo alla spettacolarizzazione della sua cultura, alla totale de-contestualizzazione. Si ha assoluto bisogno di grandi apparati scenici per ritrovarsi: esteticità che servono solo a nascondere la pochezza di questo grande movimento che ha investito in maniera indistinta tutte le classi e le categorie espressive, illudendoci il più delle volte di partecipare a un movimento globale, ma perdendo di vista alla fine le radici e la storia. Si ha come l’impressione di non essere più in “ri-cerca” ma perennemente su palchi luccicanti, alti, distanti dalla realtà, amplificati, sofisticati, da dove si racconta una nuova “meta-realtà”. Gli auspicati centri di documentazione aperti a tutti non sono mai stati realizzati e anche la cultura altra diventa conoscenza di pochi, ricadendo in una lotta di classe intestina. 

La ricerca pubblicata 
Oggi, grazie soprattutto al grande vantaggio di poter usare una tecnologia domestica di buon livello e molto diffusa, la produzione di monografie dedicate a cantori o a gruppi di cantori, che hanno messo a disposizione di tutti le proprie conoscenze e hanno condiviso la propria filosofia di vita, si sono moltiplicate. Monografie che hanno visto protagonisti quelli che oggi, forse con un termine riduttivo, vengono indicati come “alberi di canto”, ma sarebbe più giusto chiamare alberi di cultura in quanto la ricerca e la conoscenza non si limita a una sola delle loro categorie espressive, quella del canto, ma fa riferimento a tutta la loro esperienza di vita spirituale, filosofica ma anche manuale. Narrano e condividono momenti di vita comune, modi di dire e di essere, racconti di guerra, di emigrazione, componenti tecniche del loro lavoro… Assistiamo a un processo che vede questi alberi di cultura cercare gli scriventi (coloro che sono in grado di mettere in bella grafia o su un supporto digitale audio-video) la loro testimonianza; organizzare gli incontri per essere protagonisti e ribaltare l’idea che essere cafoni, scarufaterra, possa significare solo essere incolti e rozzi. Memorie specifiche che da una parte ridefiniscono i confini magico-rituali di una comunità, dall’altra mettono al centro della stessa, facendoli diventare protagonisti positivi, quelli che fino agli anni Novanta per molti erano solo depositari di una cultura minore o gli scemi del villaggio. Al più coccolati dagli “illuminati” della borghesia, trattati da giullari buoni per versificare in qualche cena con gli amici, ma mai degni di assurgere al ruolo di facitori di storia e di idee. A questo ultimo tema affidiamo alcune riflessioni sulla ricerca sul campo. 

La ricerca sul campo: 1954- 2011 
Un primo periodo che parte dal 1954 e arriva sino ai primi anni Settanta: Alan Lomax nel 1954 ci lascia importanti e numerosi documenti sonori che interessano non solo il Salento (170 canti) ma tutta la Puglia con particolare riferimento all’alto Salento e ai dintorni di Carpino; Carpitella e de Martino nel ’59-’60, Giovanna Marini nel ’63, Gianni Bosio nel ’68. Vere e proprie macchine da guerra che in pochi giorni, quasi mai più di dieci, riescono a documentare una mole enorme di materiali. La grande messe di materiali sonori raccolti va collegata anche al momento sociale che le comunità salentine vivevano. Nella stragrande maggioranza il tessuto sociale era costituito da donne e anziani in quanto già in quegli anni il fenomeno dell’emigrazione aveva toccato punte del 32-35% e le persone erano ancora disponibili a raccontarsi. Possiamo indicare questa prima fase come una ricerca di tipo documentale che cataloga e salva i materiali dall’oblio. Una seconda fase che va dal 1972-3 ai primi anni Ottanta con al centro alcuni intellettuali locali come Rina Durante, Bucci Caldarulo, Luigi Lezzi e altri che danno vita a un vasto movimento di documentazione che possiamo chiamare politico-sociale e che dura per tutti gli anni Ottanta. È l’inizio di un movimento di riproposta della stessa che vede nascere in Salento, ma nel Sud in generale e in tutta Italia, i Canzonieri sulla scia del ben noto Nuovo Canzoniere Italiano. In questo periodo fare ricerca risulta difficoltoso e quasi pioneristico. Si ha come l’impressione che la gente non ha più voglia di raccontarsi, di mettersi in gioco. Negli anni Settanta comincia un lento movimento di emigrazione di ritorno. Coloro che sono stati emigranti per quasi venti anni hanno assaporato e vissuto una nuova umanità, hanno assimilato nuovi aneliti alla dignità umana e niente vogliono avere a che fare con un ritorno, anche se con il solo ricordo, agli anni che li hanno visti alla stregua dei muli e delle bestie da soma. I ricercatori non possono fruire nemmeno delle ricerche realizzate negli anni precedenti 4  e depositate presso istituzioni nazionali di difficile accesso. In questo periodo vengono realizzati con la cura di Brizio Montinaro e la collaborazione del CGS e di Luigi Chiriatti due dischi in vinile per l’etichetta Vedette Albatros sui canti del Salento e della Grecìa salentina. Un terzo momento che va dall’Ottantanove fino ai nostri giorni che possiamo definire una documentazione culturale musicale con attenzione ai beni immateriali. In cui si pone molta attenzione alla riproposta e si continua una ricerca che vede nuovi materiali ma soprattutto rende fruibili al grande pubblico le ricerche degli anni Cinquanta-Sessanta 5. Questo periodo inizia intorno al 1989 sotto la spinta di alcuni avvenimenti che non riguardano solo il Salento, come la caduta del muro di Berlino che permette una conoscenza e uno sguardo a trecentosessanta gradi senza steccati ideologici, le grandi immigrazioni di massa che interessano il Salento e la Puglia in generale e che ci fanno riflettere sulla nostra appartenenza a un luogo e una terra e la spinta del movimento Hip Hop italiano che proprio nel Salento ha uno dei gruppi più attivi e importanti, i Sud Sound System. La musica di riproposta, che negli anni Ottanta era quasi scomparsa dalle scene, prende nuova linfa, nuove energie che scaturiscono anche dalla valorizzazione del diverso in un mondo globalizzato e porta alla ribalta la cultura del territorio, arricchendola di nuovi sguardi e nuovi fermenti culturali. Questi anni, fra il 1990 e il 2000, sono animati da un grande movimento che vede coinvolti ricercatori vecchi e nuovi, musicisti e musicanti, intellettuali italiani, salentini e stranieri che percorrono in lungo e in largo il Salento, dibattendo non solo della musica popolare ma su tutto ciò che al territorio può fare riferimento. Cominciano a formarsi diversi gruppi di riproposta e il fenomeno del tarantismo viene indagato in lungo e largo e lo stesso sostanzia di sé ricerche musicali, antropologiche e movimenti che si occupano degli stati modificati di coscienza. La musica della taranta, inizialmente terapeutica, viene svincolata dalla terapia di guarigione, e dalle pastoie che la Chiesa le aveva cucito addosso fino ad assumere connotati ludici e di aggregazione giovanile. Tale fermento, a volte caotico e polemico, porta alla pubblicazione delle ricerche etnomusicali degli anni passati e alcuni gruppi di riproposta cominciano a varcare i confini nazionali e a far conoscere la musica popolare salentina al mondo. Possiamo dire in sintesi che si ha un passaggio da una cultura della sofferenza a una cultura per l’affermazione del sé. Si elabora un’idea di cultura del territorio non più minoritaria e subalterna ma capace di proporsi come cultura di primo piano e volano di attenzione verso un territorio che nei secoli era stato indicato come le “Indie di quaggiù”.
Nel 1998 le istituzioni, o meglio qualche istituzione si fa promotrice di festival e kermesse di musica popolare che si sintetizzano nella Notte della Taranta di Melpignano. Comincia con questa manifestazione il lento declino del movimento culturale che aveva sostanziato il dibattito spontaneo che sin dai primi anni Novanta aveva arricchito e animato la cultura del territorio. Si viaggia speditamente verso la formazione di un pensiero unico in cui tutto viene omologato e piegato a una logica dell’apparire. Il territorio e la sua cultura sono sotto le lenti dei riflettori e dei mass media che prediligono la parte più folklorica e spettacolare a scapito della ricerca, della riflessione e della ricostruzione storica. I gruppi si moltiplicano in maniera esponenziale, oggi se ne contano quasi duecento; i vari maestri concertatori che si avvicendano sul palco rincorrono, secondo una loro logica precostituita, sonorità che il più delle volte sono estranee alla cultura musicale del territorio. La quasi totalità dei musicisti professionisti e non, che si alternano sul palcoscenico della Notte della Taranta, non conosce i temi originali delle musiche che eseguono per i grandi pubblici che frequentano il Salento. Nonostante l’attenzione che gli eventi spettacolari hanno catalizzato intorno al Salento, la specificità della musica popolare lamenta diverse deficienze primo fra tutte la mancanza di archivi o di un archivio centralizzato 6 che raccolga la storia della musica popolare salentina, le sue ricerche e i suoi protagonisti sia del passato che del presente. Un archivio da considerare non come museo della musica o del folklore ma come catalizzatore di conoscenze della musica e dei suoi protagonisti e dei progetti che si sono realizzati negli anni, da cui naturalmente trarre profitto per un armonico sviluppo territoriale non solo nel campo della musicalità. L’Università non ha una vera e propria cattedra di etnomusicologia e il conservatorio musicale di Lecce dopo un pallido tentativo di istituire un corso di musica popolare rinuncia; non vengono istituite borse di studio per musicisti meritevoli di approfondire gli studi sulla musica popolare del territorio e cercare una diversità nella tradizione; non c’è una programmazione ragionata sulla necessità di continuare la ricerca sulla musica popolare e sui suoi protagonisti che pur cantano e cercano in essa un loro modo di marcare il presente.

Luigi Chiriatti
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1 La parte pugliese della “prima rappresentazione di canti, balli e spettacoli popolari italiani” a cura di Roberto Leydi, “con la consulenza di Diego Carpitella” e “la messa in scena di Alberto Negrin”: una memorabile esperienza di studio e ricerca culminata nell’offerta, a un pubblico urbano e in uno dei luoghi più emblematici della cultura europea come il Piccolo Teatro, di una panoramica su alcune delle tradizioni musicali italiane attraverso interpreti al massimo del loro vigore espressivo e performativo. Nel programma di sala si leggeva che “le voci vive e vere dei contadini, dei pastori, dei montanari, degli operai di Carpino (Foggia), Ceriana (Imperia), Crema (Cremona), Maracalagonis (Cagliari), Nardò (Lecce), Orgosolo (Nuoro), San Giorgio di Resia (Udine) e Venaus (Torino), i loro balli, i loro strumenti, le manifestazioni della loro civiltà testimoniano della presenza attiva della cultura popolare nel mondo moderno”, cosa che si estrinseca in un ricchissimo repertorio che si articolava in “ballate storiche, canzoni narrative, canti di lavoro, mutettus, stornelli, sos tenores, sunetti, la terapia musicale del tarantismo pugliese, la danza delle spade, il ballo tondo, la tarantella, la Resiana” affidati a strumenti come “launeddas, solittu, organetto, tamburello, violino, violoncello, chitarra, chitarra battente, triangolo”. 

2 La resistenza nelle canzoni a cura di Filippo Crivelli, Roberto Leydi, Giovanni Pirelli cantano Sandra Mantovani, Giovanna Daffini, Carpi, Ivan Della Mea, Franco Mereu, il Gruppo Padano di Piadena, alla chitarra Paolo Ciarchi, Gaspare De Lama, Sergio Lodi, al violino Vittorio Carpi. 

3 Il Nuovo Canzoniere Italiano è il nome di un gruppo di artisti e studiosi che a partire dal 1962 a Milano diedero vita a una rivista e a un gruppo musicale, raccogliendo in parte l'eredità del gruppo torinese di Cantacronache dalla cui esperienza provenivano Fausto Amodei e Michele L. Straniero. I diversi ricercatori, musicisti e intellettuali, sia attraverso la stessa rivista che con numerosi spettacoli e pubblicazioni discografiche, si proponevano l'obiettivo di riscoprire e riproporre la ricca tradizione del canto sociale italiano, che negli anni del boom economico stava rischiando di scomparire. Con Roberto Leydi, Sandra Mantovani e i due artisti già citati viene quindi avviato dapprima un gruppo più strettamente musicale (denominato appunto Gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano) a reinterpretare i repertori legati alla protesta sociale, al lavoro, alla Resistenza, ecc. Molto presto l’iniziativa si allarga, annoverando in breve tempo diverse figure destinate a divenire fondamentali per il N.C.I., la cui discografia si accresce con la collana dei Dischi del Sole (emanazione fonografica delle Edizioni Avanti!), dedicata in gran parte alle documentazioni dirette dei diversi canti, con registrazioni effettuate sul campo, in continuità con il lavoro precedentemente svolto da Gianni Bosio e da Ernesto de Martino). 

4 Le prime pubblicazioni di musiche salentine furono due canti sui vinili di Lomax per la Columbia Records, eseguite dagli spaccapietre di Martano; successivamente fu pubblicato il vinile allegato alla terra del rimorso (1961) con le pizziche tarantate di Stifani e le grida delle tarantate nella cappella di San Paolo a Galatina. Sempre la pizzica tarantata è presente nella raccolta di musiche delle varie regioni d’Italia, a cura di Roberto Leydi. 

5 Alan Lomax, Giovanna Marini, Gianni Bosio, Diego Carpitella, Ernesto de Martino. 

6 È di recente costituzione l’Archivio sonoro di Bari che raccoglie quasi cinquemila documenti sonori sulle testimonianze orali della Puglia. Consultabile via internet.
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