Messi insieme uno sopra l’altro fanno una discreta piletta di cd. Ad ascoltarli senza soluzione di continuità ci impieghi sedici ore e spiccioli, più di mezza giornata, ma è tempo speso benissimo, trattandosi di dischi in cui canta Fabrizio De Andrè. Davanti a questo cofanetto de luxe (libro di 192 pagine + 16 cd) conviene pre-disporsi all’ascolto (no tv né cellulari né amici e/o congiunti tra i piedi), annullare gli impegni, fare scorta di birrette e giusto un paio di sandwich per non saltare il pasto, e il più è fatto. Al resto ci pensano “voce” e parole del sommo Faber, parole e voce che sanno ciò che fanno, e sanno farlo bene, oggi come ieri. Credetemi sulla parola, non ve ne pentirete. Anche se potreste citare passo passo l’intero canzoniere deandreiano, le “chicche” sparpagliate tra le scalette live di questi nuovi cd sono diverse e da non mancare. Alla traccia n. 17 del disco della “Bussola”, per esempio, vi imbatterete nella versione censurata di La canzone di Marinella (contraltare sconcio a quella edulcorata - a partire dall’interpretazione - di Mina!), con De Andrè che canta senza battere ciglio “prima fu una carezza ed un bacino/ poi si passò decisi sul pompino/ e sotto la minaccia del rasoio/ fossi costretta al biascico e all’ingoio”, tra gli “ohhh”, e persino qualche applauso, del pubblico pagante. Poco prima, nello stesso cd (traccia 11), il Nostro introduce La guerra di Piero spiegando come e perché non fosse il caso di inserirne il testo (senza la sua componente musicale) nelle antologie scolastiche. Parafrasando: se avessi voluto fare il poeta avrei scritto poesie invece di canzoni. Negli storici album con la PFM (gli unici editati in precedenza), si sente Faber che canta Rimini sommerso da una selva di fischi e dal coro scemo scemo di sottofondo. Si suonava al Palalido, e si usava, allora, contestare. Anche le star. Soprattutto le star. Ancora: il disco del tour Anime salve registra un’articolata disamina sulla solitudine (meglio: sul senso di solitudine) secondo De Andrè; quindi (traccia 14) una dissertazione sulla differenza tra lingua e idioma, più contigua di ciò che appare a prima vista a quella sul rubare degli zingari piuttosto che tramite banche. E a questo punto vi sarete fatti un’idea di quello che vi aspetta come valore aggiunto alle canzoni, che peraltro saprete già a memoria. Aldilà del valore filologico dell’operazione, ciò che rende indispensabile (necessario?) l’ascolto di questo cofanetto sono i “parlato”, restituzione del Faber-pensiero su vita, morte, miracoli e molto altro di più. Le tante anime in una sola del più grande cantautore (intellettuale) di tutti i tempi: anarchico, generoso, sobrio, bevuto, caustico, timido, spiritoso, indignato, poetico, controverso, carismatico. Per accennare di volata al cuore tecnico della scatola dei segreti (?): trattasi della summa dei bootleg documentari - spesso low fi, come ne “La Bussola” in cui la voce sembra venire fuori da un antro cavernoso) - dei concerti deandreiani compresi fra il 1975 e il 1998. Roba buona (succulenta) per filologi, neofiti e/o seguaci della primissima ora. Il raccolto live della Fondazione De André, riveduto e corretto, ampliato/completato/arricchito - col tempo e nel tempo - di registrazioni ufficiali (direttamente dal mixer), anni luce più professionali. Un documentario on the road stracarico di musica, discorsi, topoi, hit di De Andrè; la ri-proposizione fedele del suo percorso artistico e - perché no - anche umano. Ribadisco: dal concerto di Viareggio del 1975, quando Faber se la faceva ancora sotto per la paura che gli metteva il pubblico (alla faccia dei sette album già alle spalle), agli ultimi fuochi del tour “Mi innamoravo di tutto” (il lavoro di ripulitura delle registrazioni è affidato a Stefano Barzan e Giancarlo Pierozzi, quest’ultimo fonico di sala di De André fin dal lontano 1984). Circa duecento canzoni (negato come sono per la tassonomia mi sfugge il conto esatto, pardon), con diverse versioni di Amico fragile, Giugno ’73, La guerra di Piero, Marinella, Andrea; rivisitazioni d’antàn (Le passanti, Oceano, Via della povertà), il “dal vivo” di un album-capolavoro come Storia di un impiegato. Sotto l’egida di tre impronte dominanti sugli arrangiamenti. Nell’ordine: quella di Nicola Piovani (ai tempi dell’Impiegato), della Premiata Forneria Marconi (da La buona novella in sù) e di Mauro Pagani (nei pezzi di impronta etnica). Sui contenuti non occorre portarla per le lunghe: le canzoni di De Andrè si raccontano da sole, colonna sonora e culturale di una Nazione. Di più: cartina di tornasole e metro di misura di una Nazione. In ultimo, come direbbero quelli bravi in faccende di marketing: chi avesse modo e voglia di spendere in patrimonio intellettuale, “I concerti di De Andrè” costituiscono un investimento sicuro. Costano meno del solito iPhone (100 euro) e Natale è alle porte, no?
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Storie di Cantautori