Nipote di Giuseppe Anedda, Buzi ha intrapreso lo studio del mandolino con il nonno, per poi passare a perfezionarsi con Dorina Frati. Diplomato al Conservatorio di Musica “A.Casella” de L’Aquila, collabora stabilmente con enti lirici di prima grandezza, come La Scala, La Fenice, la Fondazione Toscanini di Parma, il Teatro Massimo di Palermo, ed è stato diretto, tra gli altri, da Muti, Rostropovich, Prêtre, Marshall. Per molti anni ha fatto parte del gruppo di musica popolare Almalatina. In seguito, ha fondato il quintetto a plettro Giuseppe Anedda. Dal 2008 è docente di mandolino presso il Conservatorio di Musica “V. Bellini” di Palermo.
Come è nata la passione che ti ha portato a cominciare a suonare il mandolino?
A casa mia la musica è sempre stata una presenza costante. Anche i miei due fratelli sono musicisti: Valdimiro è mandolinista e pianista, con lui collaboro nella maggior parte dei miei progetti musicali; Costantino è un valentissimo chitarrista. Ogni volta che i nonni venivano a farci visita era una vera e propria festa. La nonna, Benita Fanciulli, fu una popolarissima cantante dell’EIAR negli anni ’30 nonché la nostra prima insegnante di pianoforte. Gli strumenti musicali sono stati i nostri primi “giocattoli” e il mandolino era fra quelli. L’ho sempre ritenuto uno strumento “normale” e non mi sono mai posto il problema che fosse considerato minore. La passione per questo strumento è nata, ovviamente, dall’amore per nostro nonno ma anche grazie alla frequentazione con l’Orchestra Claudio e Mauro Terroni di Brescia e la sua direttrice, Dorina Frati, che anni dopo sarebbe divenuta la mia insegnante. Questa orchestra veniva spesso a Roma per esibirsi assieme a nostro nonno. Vedere la stima e l’affetto di questi giovanissimi musicisti per il mandolino e per il loro idolo, accese in noi la stessa passione e determinazione.
Come è nato il tuo amore per la musica classica?
Mio nonno mi ha insegnato ad ascoltare la musica con un orecchio più attento e a lasciarmi incuriosire, senza pregiudizi, da tutti i generi musicali. Amava l’opera, la musica barocca, Bach e Vivaldi su tutti, i grandi autori romantici ma anche i classici della canzone napoletana ed italiana. Negli anni la curiosità è stata alimentata grazie alle persone che ho avuto il privilegio di incontrare durante il mio percorso artistico. Il Conservatorio de L’Aquila, in particolare, mi ha permesso di confrontarmi con studenti di altri strumenti e con degli illuminati insegnanti.
E quello per la musica popolare, viste le frequenti incursioni che si incontrano nel repertorio del tuo quintetto e dell’orchestra a plettro che dirigi?
Ho sempre avuto grande rispetto per la musica popolare in quanto forma di espressione culturale, ma non mi sono mai dedicato, come avrei dovuto, a conoscerla. Le incursioni popolari nei nostri repertori ci permettono sempre di sfruttare appieno le potenzialità tecniche ed espressive degli strumenti a plettro. Ho sempre amato anche la canzone napoletana: un repertorio che considero, senza timore di smentita, colto e nobilissimo. Fanno parte con orgoglio del mio bagaglio artistico. Per anni ho suonato nell’ensemble Almalatina, specializzato nel repertorio della canzone classica partenopea. Questa formazione mi ha arricchito enormemente, permettendomi di approfondire questo vastissimo genere musicale.
Le esperienze all’estero sono sempre state ricche di incontri e sorprese emozionanti anche, e soprattutto, nei paesi più differenti dal nostro. In Albania, ad esempio, eseguii, nelle maggiori città, il concerto di Vivaldi per due mandolini e archi, a fianco di Dorina Frati. Il Paese veniva da una crisi politica ed economica spaventosa, e stava faticosamente cercando di rialzarsi in piedi. Il Direttore dell’orchestra si scusò anticipatamente con noi per la poca educazione del pubblico che avrebbe sicuramente applaudito tra un tempo e l’altro del concerto, in quanto non abituato all’ascolto della musica classica. Avrei dovuto dirgli per tranquillizzarlo che in Italia avviene anche di peggio… Ormai non mi sorprende più scoprire l’amore ed il rispetto che c’è per il mandolino all’estero. Paesi come la Germania, l’Austria, la Spagna, la Francia fino al Giappone hanno una notevole e consolidata tradizione mandolinistica. In Giappone effettuo regolarmente tournèe ogni due anni dal 2005. È un paese che amo profondamente, per le sue persone, la sua cultura, le bellissime città e, cosa che non sottovaluto mai, la sua cucina!
Tuo nonno, il maestro Giuseppe Anedda, è stato l’artefice del “rinascimento” del mandolino in Italia, ci descrivi la sua figura e la sua esperienza musicale?
Giuseppe Anedda è stato il fondatore della scuola mandolinistica moderna. Con il suo mandolino, il suo talento ed una tecnica innovativa ha calcato i palcoscenici più prestigiosi del mondo, restituendo a questo piccolo strumento nobiltà e prestigio. A lui si devono numerose scoperte di manoscritti originali del ‘700 nelle biblioteche europee (Parigi, Londra, Vienna, Uppsåla ecc.), che oggi costituiscono gran parte del repertorio del programma ministeriale dei Conservatori italiani. Nel ’75 fu titolare della prima cattedra italiana di mandolino presso il Conservatorio di Padova.
Durante la sua fantastica carriera concertistica ricevette il plauso di illustri esponenti del mondo della musica colta del Novecento quali Stravinsky, Casals, Segovia, Stern, Menhuin e Oistrakh, solo per citarne alcuni.
Il tuo quintetto prende il nome di tuo nonno. Ci parli di questa esperienza e dei momenti significativi della vita artistica del gruppo, fino alle celebrazioni, quest’anno, per la ricorrenza del centenario della nascita di tuo nonno e della collaborazione avuta col maestro Morricone?
Il quintetto Anedda è nato dall’esigenza di ricordare la figura di questo artista, il cui nome rischiava di essere dimenticato troppo presto. Fondamentale è stato l’incontro con Norberto Gonçalves da Cruz, mio compagno di studi presso il Conservatorio de L’Aquila. Norberto è un virtuoso portoghese dotato di un talento straordinario, oltre ad essere un fraterno amico. Fu lui a proporre a me e mio fratello di formare un ensemble in ricordo di Anedda. Da subito questa formazione, cui si sono aggiunti il chitarrista Andrea Pace ed il contrabbassista Emiliano Piccolini, si è esibita ad altissimi livelli. Tra le esperienze più significative il concerto tenuto presso la Cappella Paolina del Quirinale, ma anche le numerose tournèe estere, le incisioni e la realizzazione del DVD live presso l’Oratorio del Gonfalone a Roma, che ci sta dando tantissime soddisfazioni. Ennio Morricone ci ha ascoltati, ci ha invitato più volte a prendere parte alle registrazioni di sue colonne sonore e ci ha autorizzati, cosa che fa molto di rado, a trascrivere, per quintetto a plettro, alcune dei suoi più celebri temi.
Quanto ti hanno arricchito collaborazioni con artisti del calibro di Muti, Rostropovich, Prêtre, e con enti lirici come La Scala, La Fenice, il Teatro Massimo.
Sono state esperienze molto significative che hanno il potere di sconvolgere totalmente una carriera artistica. Non si limitano a dei nomi illustri sul proprio curriculum, ma sono incontri che formano profondamente la tua identità ed il tuo essere artista. Non sono state sempre esperienze positive, ad esempio Rostropovich, di cui ricordo il carattere severo e burbero, ci riprese molto animatamente una volta che sbagliammo un attacco (eravamo 4 mandolinisti, tutti giovanissimi e con poca esperienza alle spalle). Poi però ci riscattammo alla grande… Questi giganti della musica riescono ad ottenere il massimo dai musicisti con un semplice gesto della bacchetta. Conoscerli di persona ed in contesti magici come i teatri citati, ti regala emozioni fortissime.
Quali sono finora le pubblicazioni che puoi annoverare nella tua carriera?
Ho al mio attivo numerose incisioni con formazioni diverse e, grazie alla versatilità del mandolino, di natura diverse. La mia discografia è composta da musica da camera, opera, colonne sonore da film (quella più divertente assieme ad Elio e le storie tese, quella più emozionante, per il film The Tourist, registrata a Londra presso gli studi Abbey Road), partecipazioni a dischi di musica leggera (Claudio Baglioni, Sal da Vinci, Luis Bacalov) e prime incisioni assolute. Ultimamente mi sono dedicato alla revisione e pubblicazione di partiture per mandolino e di articoli sulla storia dello strumento.
Quali sono i tuoi metodi di ricerca nel campo della musica per mandolino?
Cerco di stimolare i compositori con cui entro in contatto a scrivere per mandolino, fornendogli tutte le informazioni necessarie affinché le potenzialità degli strumenti a plettro vengano valorizzate. L’arricchimento del repertorio è fondamentale per il lavoro di rivalutazione intrapreso da mio nonno.
Da alcuni anni ti stai sperimentando anche con l'insegnamento presso il Conservatorio “Bellini” di Palermo. Ci racconti i contenuti di questa esperienza?
Sono molto orgoglioso di essere docente a Palermo. In tutta Italia i Conservatori che vantano una cattedra di mandolino sono solo sei. La cosa che mi inorgoglisce maggiormente è il fatto che la carriera di mio nonno ebbe inizio proprio a Palermo a seguito dei concorsi nazionali del dopolavoro nel ’38 e nel ’39, vinti dal suo quartetto (il quartetto Karalis). Dal punto di vista didattico cerco di tenermi in continuo aggiornamento avvalendomi della preziosissima collaborazione della mia insegnante, Dorina Frati, sempre prodiga di consigli e suggerimenti. Questa città ha enormi potenzialità, che devono solo essere sfruttate al meglio. Spero pertanto di poter gettare le basi per una nuova generazione di mandolinisti qualificati ed apprezzati. Sono molto felice, ho la fortuna di insegnare a ragazzi eccezionali che mi danno continue soddisfazioni.
Attraverso la permanenza in Sicilia dovuta alla docenza in Conservatorio hai avuto occasione di conoscere realtà musicali siciliane?
Il panorama musicale siciliano è molto ricco e pertanto altrettanto stimolante. Lavorare in Conservatorio ti fa conoscere più facilmente queste realtà, il corpo docente è molto qualificato e collaborazioni con colleghi e studenti sono nate spontaneamente. Ho registrato un disco di canzoni della tradizione siciliana arrangiate dall’eccellente Mauro Schiavone con la cantante Miriam Palma. Miriam è una cantante sorprendente con una tecnica vocale unica nel suo genere, è stata davvero una fortuna conoscerla e poterci lavorare.
L’incontro più importante è stato con Giovanni Paolo Di Stefano eminente organologo, apprezzato in tutta Italia. Oltre ad essere diventato un caro amico è nata con lui una proficua collaborazione nella ricerca musicologica sulla storia del mandolino di cui è un profondo conoscitore.
Come è nata l'idea di costituire un’ orchestra a plettro, con quale repertorio e con quale riscontro in termini di critica e di pubblico?
L’orchestra a plettro del Conservatorio è nata con una finalità prettamente didattica. Anche nel mio percorso formativo (ho suonato per anni nell’Orchestra Mandolinistica Romana) l’orchestra a plettro ha costituito la palestra in cui misurarmi. Si impara moltissimo suonando a contatto con altri musicisti, ascoltando chi ti sta intorno, seguendo una bacchetta (anche se nell’orchestra del conservatorio non c’è direttore), misurandosi con brani più difficili, che mettono alla prova le proprie capacità. In un contesto orchestrale si apprende a comportarsi in maniera disciplinata, ognuno mette a disposizione il proprio contributo senza presunzione ed esibizionismi sterili. Questi insegnamenti mi sono tornati molto utili nella mia attività artistica e credo quindi possano essere altrettanto utili ai ragazzi. Ovviamente l’esibizione in pubblico rappresenta poi un ulteriore banco di prova. Abbiamo avuto la fortuna di esibirci molto spesso, sempre con successo e sempre in contesti affascinanti, come il tempio di Giunone ad Agrigento o Palazzo Bellomo a Siracusa o ancora il Castello Ursino di Catania. Per quanto riguarda il repertorio cerco di scegliere brani originali o trascritti che siano accattivanti e piacevoli per il pubblico ma soprattutto “utili” alla crescita musicale dell’orchestra e di presentare sempre programmi diversi.
Quale progettualità futura persegui nella direzione della orchestra?
Non sarebbe male l’inserimento in organico di un contrabbasso, utilissimo ad ampliare lo spettro sonoro orchestrale, qualche altro strumento solistico e soprattutto collaborare con un direttore d’orchestra, anche giovane, che voglia cimentarsi con questo particolare ensemble. Mi piacerebbe che un giorno l’esperienza di ascoltare un’orchestra a plettro non fosse così “nuova”. Significherebbe che il mandolino è entrato a pieno titolo nel panorama concertistico, che ha riacquistato considerazione e rispetto.
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