FOCUS: La Taranta Nera di Officina Zoè. Il Salento Incontra l’Africa

Tra i più apprezzati live act dell’estate, il progetto Taranta Nera, è anche uno splendido disco dal vivo nel quale Officina Zoè incontra Baba Sissoko, Mamani Keita, Sourakhata Dioubate, tre eccellenti musicisti subsahariani, con i quali ha sviluppato un dialogo che parte dal Salento e arriva nel Mali facendo emergere sorprendenti convergenze tra queste due mondi musicali solo in apparenza differenti. Abbiamo incontrato Donatello Pisanello, Lamberto Probo e Cinzia Marzo per approfondire questo progetto, ripercorrendo i primi passi della collaborazione con Baba Sissoko, fino a toccare le tematiche e il valore più profondo. 

Come nasce il progetto Taranta Nera? 
Donatello Pisanello – Questo progetto ha radici lontane nel tempo, risale infatti al periodo dell’11 settembre. Ricordo che eravamo a Lecce per le prove con Baba Sissoko e Don Moye, fondatore dell’Art Ensemble Of Chicago, quando sentimmo la notizia che gli Stati Uniti erano stati attaccati. 

Lamberto Probo – Dieci anni fa quando incontrammo, Don Moye, lui era alla ricerca delle origini del blues, delle radici della musica afro-americana, e con lui c’era Baba Sissoko. Vollero venire nel Salento per incontrarci. 

Cinzia Marzo – Quello era un po’ il periodo in cui diversi artisti americani avevano cominciato questo tipo di ricerca, penso ad esempio a Dee Dee Bridgewater che era andata nel Mali. 

Lamberto Probo - Certamente Don Moye, avrà trovato qualcosa anche nella nostra musica, nei canti di lavoro, che per certi versi rimandano ai canti dei neri d’America… 

Cinzia Marzo – I nostri canti di lavoro, nascono con lo stesso sentimento con lo stesso ritmo, con lo stesso travaglio del blues, e come questo tipo di musica hanno l’obiettivo di esorcizzare la fatica. 

Lamberto Probo – Abbiamo incontrato questi musicisti e con loro abbiamo poi fatto anche un tour, Officina Zoè e Art Ensemble Of Chicago. In una stagione facemmo sei, sette concerti tra la Puglia e il resto dell’Italia. Quando Don Moye ripartì per l’America, rinsaldammo ancora di più il nostro rapporto con Baba Sissoko, che viveva in Calabria e si definisce afro-calabrese, e ha tre splendidi bambini, anche loro afro-calabresi. Con lui abbiamo continuato ad incontrarci, perché avevamo scoperto una grande affinità tra la nostra musica e quella del Mali. Sono due tradizioni ricchissime. 

Cinzia Marzo – Rispetto all’esperienza insieme all’Art Ensemble Of Chicago, che suonava jazz con strumenti amplificati, tra noi e Baba Sissoko si è sviluppato un tratto d’unione più profondo. Tra noi c’era un affinità diversa perché le nostre tradizioni sono entrambe legate alla terra. 

Da questa comune visione della musica è poi nata l’idea di realizzare anche il disco dal vivo… 
Lamberto Probo - Quello che ci accomuna è questo approccio molto particolare, che non è fatto di testi, ma è fatto di stomaco, di cuore. Sono due tradizioni, che si incontrano partendo dall’istinto. Noi siamo dei musicisti istintivi, non ragioniamo, non contiamo i numeri. Questa è una maniera di vivere e sentire la musica, che è molto più intima. Dopo dieci anni di incontri, almeno due o tre volte ogni anno, il nostro management, Sabino Martiradonna, ci ha chiesto di realizzare questo disco con Baba Sissoko. 

Donatello Pisanello – È nato così questo progetto di commistione, di unione, di fusione di queste due culture apparentemente così lontane quali sono quelle del Mali di Baba Sissoko e del Salento di Officina Zoè. Si è trattato di un incontro con l’Africa, uno sguardo verso il sud, quel su che da sempre è stato educato a guardare verso il nord, come punto di riferimento. Noi abbiamo voluto fare un inversione di tendenza, ritornare ad uno sguardo più antico che è stato sempre per noi il Mediterraneo e quindi l’Africa… 

Lamberto Probo – Abbiamo cominciato a lavorare ma, ad certo punto, questo lavoro che facevamo insieme sembrava un po’ squilibrato. Forse noi Zoè eravamo troppi e Baba Sissoko, si sentiva solo ad essere l’unico musicista di colore della formazione. Così lui ci ha proposto Mamadi Keita, una cantante maliana dalla voce bellissima che porta con sé la tradizione vera e sanguigna della propria terra. Lei attualmente vive a Parigi e ha avuto modo di collaborare con i più grandi musicisti del mondo. E poi Sourakhata Dioubate, un virtuoso del djambè che viene della Guinea. È nato questo incontro bellissimo tra due culture, due tradizioni che non sono confini, ma che ad un certo punto si incontrano. La cosa bellissima è che, ad esempio, un nostro canto tradizionale come può essere “Lu Rusciu De Lu Mare”, trova una corrispondenza in un canto maliano della loro tradizione, che sulla stessa melodia racconta le stesse cose. È in questi casi che emerge il concetto di terra come madre, così come lo abbiamo sempre raccontato nella nostra musica. E riconoscere la terra come nostra madre, non posso che riconoscere nel mondo solo fratelli.

Avete definito Taranta Nera come un disco di incontro, qualcuno parlerà certamente anche di contaminazione… 
Donatello Pisanello - Non sono molto d’accordo con il termine contaminazione, perché prevede sempre che qualcuno rinunci a qualcosa di imposto. Preferisco, invece, il termine incontro perché quello che è accaduto tra Officina Zoè e Baba Sissoko, questo polistrumentista del Mali, che ci ha dato tantissimo. La nostra collaborazione rimanda a quegli incontri, che avvenivano nell’antichità nel Mediterraneo, quando navigando sul mare i popoli si scambiavano merci e cultura, e ognuno dava qualcosa all’altro e viceversa. È stato un incontro molto interessante, molto spontaneo e sincero. Non è stato solo qualcosa di musicale, ma è anche un incontro di vedute politiche e sociali. Il discorso è andato pianificandosi spontaneamente e con grande entusiasmo, e la cosa più importante è che questo è avvenuto senza che nessuna delle due parti rinunciasse a qualcosa. 

Lamberto Probo - Noi siamo molto istintivi, non è un progetto che nasce a tavolino pensando di fare contaminazione, che è un termine bruttissimo. Noi abbiamo raccontato la nostra terra, il Salento, loro l’Africa, il Mali… 

Cinzia Marzo - È un dialogo in cui ognuno ha raccontato la propria terra. 

Lamberto Probo - Contaminare è una parola bruttissima, mi sa tanto di radiazioni, di atomica. Cantare lo stesso brano, è esprimere un sentimento che vale per tutti noi. È soprattutto raccontare che i confini rappresentano solo gli interessi di quattro coglioni. La tradizione è la natura, la cultura è ciò che differenzia me da Baba, il Salento dal Mali. Queste differenze sono dettate solo dalla natura, dal territorio. Io vivo una terra piccolissima che è il Salento, siamo più mare che terra e parlo con Baba, che viene dal Mali che è una terra grandissima, che è sette volte l’Italia. Per non parlare dell’Africa, che è grandissima. Questo piccolo spicchio di terra che è il Salento, che è il mare, va a fecondare ed incontrare questa grande terra che è l’Africa. 

Quanto vi ha arricchito questa esperienza dal punto di vista umano? 

Cinzia Marzo - Ho sempre amato la musica africana, ho ascoltato tanti dischi. Tutta l’africa la conosco bene e ciò che ci ha arricchito di più è stato il piacere di incontrare persone come queste, che hanno una maniera di intendere la vita, che è completamente diversa da quella occidentale. Le famiglie sono un clan si aiutano, la madre è la madre di tutti gli altri bambini non solo dei suoi figli. 

Lamberto Probo - Solo una madre può scoprire un senso così profondo, noi maschi siamo più egoisti… 

Cinzia Marzo - Noi siamo portati a vedere solo ciò che di negativo accade in Africa. Per me, invece, questo incontro ha significato anche dare forza a ciò che c’è di bello e di farlo conoscere sempre di più, perché l’Africa è una terra grandissima meravigliosa, e bisogna ricordarsi sempre di questo e preservarlo. 
Come avete lavorato dal punto di vista delle timbriche e degli arrangiamenti dei vari brani? 
Donatello Pisanello - La cosa più bella di questa collaborazione, è stato che ognuno ha dato spontaneamente quello che riusciva a dare, senza imporre niente, senza a sua volta pretendere niente dagli altri. Nessuno ha diretto, nessuno ha subito imposizioni, è stato tutto molto spontaneo. Questo ci ha meravigliato moltissimo, perché ci ha portato tanto entusiasmo. C’era questo savoir-faire così diretto, così amichevole, ognuno ha fatto quello che riusciva a fare… 

Come avete scelto i vari brani? 
Donatello Pisanello - C’è stata una selezione su una serie lunghissima di brani, da cui abbiamo scelto quelli che meglio rappresentavano le culture e le realtà di entrambe le provenienze. Fondamentalmente abbiamo tenuto come punto di riferimento le voci e le percussioni, che sono in un certo senso gli elementi più caratterizzanti di questo progetto. Poi gli arrangiamenti musicali, strumentali solistici sono stati molto spontanei, sono venuti fuori da se, ognuno ha saputo intromettersi nei brani degli altri, e ognuno ha accettato senza condizioni. Tutto è stato così meravigliosamente spontaneo… 

Strumenti della tradizione africana e ritmiche salentine come convivono? 
Donatello Pisanello - Convivono benissimo, l’Africa in questo progetto è emersa, come ha detto Lamberto come quella che è nella storia dell’Occidente, ovvero la Mamma. Quella Madre che abbiamo avuto modo di incontrare ripercorrendo certi ritmi primordiali, certe sonorità quasi archetipali. Baba che è un virtuoso del tamani, questo talkin’ drum, tamburo parlante, ha saputo inserirsi benissimo nella pizzica, e anche noi con i nostri strumenti solistici, siamo riusciti ad introdurci nella musica del Mali, che poi è la radice del blues. 

Tornando al rapporto tra il Blues del Mali e i canti di lavoro della tradizione salentina, qual è il punto di contatto a livello musicale? 
Donatello Pisanello - Nel nostro repertorio ci sono molti canti di lavoro, penso ad esempio a “Ferma Zitella” che è una sorta di blues in cui sia Baba che Mamani Keita hanno saputo interpretarlo così bene, che sembrava un canto di matrice maliana. Allo stesso modo, la pizzica con il tamburello si è introdotta benissimo in alcuni brani di Baba penso a “Tele” o “Kele”. 

Taranta Nera è un progetto nato sul palco, qual è stata la risposta del pubblico? 
Donatello Pisanello – È un progetto relativamente giovane almeno sul palco, e quei pochi concerti che abbiamo fatto hanno avuto un grande riscontro, tanto è vero che è uscito subito questo disco. Abbiamo avuto l’onore di poter presentare questo progetto al Festival di Ravenna, diretto da Riccardo Muti, dal quale abbiamo avuto i complimenti per l’originalità della nostra idea. 

Se Taranta Nera è un disco di incontri, nel vostro precedente disco in studio, avete proposto dei brani inediti nati ed ispirati dal solco della tradizione… 
Lamberto Probo – “Maledetti Guai” è un disco che non è mai stato finito, in realtà però è molto importante. Era un disco che esprimeva il momento. Il pubblico che ci segue ama molto quello che abbiamo fatto sulla tradizione, ma a volte è necessario che anche prendere direzioni diverse, sebbene la gente ci chieda la pizzica. Non abbiamo fatto altro che continuare a raccontare e a portare avanti la nostra tradizione, anche aprendo strade nuove sonorità nuove, senza però perdere di vista il ritmo della nostra pizzica e soprattutto rispettando quelle che sono le nostre radici. La musica serve a raccontare, e come i nostri avi raccontavano, cantando “Santu Paulu”, le loro gioie e i loro dolori allo stesso modo noi abbiamo cercato di vedere la tradizione come una biblioteca vivente, che continua ad accumulare e a raccontare, la tradizione è per noi un giornale che viene sempre stampato, giorno dopo giorno, e che racconta e racconterà storie sempre nuove ed attuali. E’ la vita. La tradizione deve rimanere viva, non deve essere legata agli scaffali di un museo, perché deve raccontare quello che siamo noi oggi. Le nostre esperienze di oggi, la nostra sensibilità di oggi, il nostro gioire di oggi, il nostro soffrire. “Maledetti guai” è un esempio eclatante di questo concetto, è una strada aperta. 

Cinzia Marzo - Sicuramente, non è un lavoro studiato a tavolino. “Maledetti Guai” è quello che in maniera naturale noi assorbiamo giorno per giorno, e allo stesso modo naturalmente esprimiamo. 

Lamberto Probo - Noi diciamo no al nucleare, no alle opere faraoniche che rubano i soldi agli italiani, no alla classe politica becera che si è saziata del nostro sangue e che continua ad usurpare. Noi crediamo nell’essere delle persone, e dovunque andiamo sul palco raccontiamo di persone che non vogliono più seguire il Dio profitto e vogliono rinunciare alla maggior parte dei soldi, però ci teniamo a vivere una vita che sia rispettosa della dignità delle persone. 

Salvatore Esposito

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Salvatore Esposito



Officina Zoè. Baba Sissoko, Mamani Keita, Sourakhata Dioubate - Taranta Nera (Italian World Music) 
CONSIGLIATO BLOGFOOLK!! 

Se è vero che la collaborazione con artisti maliani è una tendenza à la page per rockettari, produttori world-oriented e musicisti provenienti dagli angoli più disparati del globo, questo incontro tra Zoè e il maliano-calabrese Baba Sissoko ha un senso profondo. Non è né l’afro-taranta di cui di certo qualcuno a corto di idee avrà già parlato e scritto, né l’esplorazione di ancestrali comunanze afro-mediterranee, che sicuramente esistono, ma restano difficili da provare. Piuttosto la chiave di lettura di un bell’album registrato dal vivo al Teatro Giacosa di Aosta è l’empatia tra spiriti affini, sintonizzati sul canto della terra e del cuore. Sin dagli esordi negli anni ’90, Officina Zoè si è espressa nel battito vitale delle pelli dei tamburelli, nella potenza salvifica del ritmo, rimettendo al centro dell’attenzione delle nuove generazioni salentine la pizzica-pizzica. Zoè è stata la principale band ponte tra la memoria della cultura delle campagne salentine e la contemporaneità, attraverso l’elaborazione creativa del patrimonio musicale locale con le sue sonorizzazioni teatrali e cinematografiche. Proveniente da una schiatta di djeli, anche Baba è musicista avvolto nei ritmi tradizionali dei popoli del Mali, ma nel corso della sua lunga carriera, costruita anche attraverso prestigiose collaborazioni, ha integrato nel suo suono linguaggi musicali urbani dell’Africa Occidentale, rock e jazz. Qui il polistrumentista (voce, tamani, n’goni) con la vedette maliano-parigina Mamani Keita e il percussionista guineano – anch’egli da anni residente in Italia – Sourakhata Dioubate (percussioni). Il tradizionale “Santu Paulo” è costruito sul ritmo implacabile di tamburi a cornice, cui si aggiunge il tama di Baba. “Masaya” , firmata da Sissoko, è uno degli episodi in cui la progressiva mescolanza di ritmi sub-sahariani e salentini trova sfavillante compimento. Nel classico “Lu Rusciu de lu Mare”, invece, si alternano linee vocali salentine e maliane, così pure avviene in “Ferma Ferma”, giustapposizione delle voci potenti e penetranti di Cinzia Marzo e Mamani Keita, che cercano comuni vie melodiche. “Yala” è un altro brano di felice integrazione di ritmi sincopati africani e di indomabili tamburi (Lamberto Probo e Silvia Gallone), violino (Giorgio Doveri), organetto (Donatello Pisanello), armonica a bocca (Luigi Panico). Altrove sono i rispettivi stili a predominare (“Kele”, “Tele”, “Pizzica Tarantata”). Chiude il disco il vorticoso “Cu lli suspiri”, testo tradizionale salentino su musica di Pisanello, inarrestabile vis travolgente, accentuata dal muro del suono dei tamburi. 


Ciro De Rosa
Nuova Vecchia