Speciale Crammed Discs & Materiali Sonori

Balkan Beat Box - Blue Eyed Black Boy (Crammed Discs/Materiali Sonori) 
Nati sulla scia del successo dei Gogol Bordello, i Balkan Beat Box, ne rappresentano una sorta di side-project di due dei componenti ovvero gli israeliani Tamir Muskat (batteria e programming) e Ori Kaplan (sassofono), che insieme a Tamer Yosef hanno inteso dare vita ad un percorso meno improntato alla squinternata spensieratezza del loro gruppo madre e maggiormente attento alla ricerca attraverso le sonorità balcaniche e klezmer. Blue Eyed Black Boy, è il quarto disco in cinque anni di vita del gruppo, e rispetto al precedente Nu-Med, allarga il raggio d'azione alla ricerca di quel suono che rappresenta il ponte tra Oriente ed Occidente, e in questo senso non appare casuale anche la scelta di voler incidere i vari brani in località diverse dell'Europa fino a toccare Tel Aviv, città natale del gruppo. Il gruppo israelinano ha cercato, dunque, di testimoniare con la musica come sia possibile un'integrazione tra le culture dell'area mediorientale, come dimostra l'inziale Move It, che lanciata da un riuscito intro di una trentina di secondi, ci guida nel confronto tra hip-hop made in usa e i fiati che rimandano a sonorità klezmer. L'ascolto è così una sorta di diario che raccoglie viaggi su rotte immaginarie che vanno da Israele all'Afganistan con Kabulectro o dall'Africa all'America Latina con brani come Balcumbia o Smartron, fino a raggiungere i Balcani con la travolgente Dancing With The Moon. Blue Eyed Black Boy rappresenta così la sintesi di una ricerca nella quale i Balkan Beat Box hanno fatto confluire i suoni dell'est europeo e quelli del Medio Oriente facendoli dialogare con le sonorità urbane dell'adottiva New York, il risultato è un concentrato di energia, di ritmi e sonorità che pescando da reggae, elettronica e funk danno vita ad un linguaggio sonoro universalizzante e pieno di fascino. 



Autori Vari - Roots of O.K Jazz, Congo Classics 1955-56 (Crammed Discs/Materiali Sonori)
Pubblicato originariamente nel 1993, Roots of O.K. Jazz è il secondo album della serie Congo Classics e segue il precedente Roots Of Rumba Rock, e come il precedente è stato curato e realizzato dall'esperto Vincent Kenis, il quale ha intrapreso un lungo percorso di ricerca e restauro attraverso l'opera di L'Okanga La Ndju Pene Luambo Luazo Makiadi, meglio conosciuto nel mondo della musica africana come Franco, il cui cui merito principale è stato quello di aver reso celebre la rumba congolese negli anni in cui diresse la Tout-Pouissant Orchestre Kinois de Jazz, conosciuta soprattutto con il suo nome abbreviato: O.K. Jazz.Lo stesso Kenis nelle note di copertina, sottolinea come ci sia un enorme patrimonio musicale ancora inesplorato, in quanto Franco, prima di morire nel 1989 a cinquantuno anni a Bruxelles, registrò oltre cento dischi in formato 78 rmp, componendo per l'occasione oltre mille canzoni, che spaziavano da son al rhytm & blues. Questa splendida antologia non è limitata però al solo Franco, ma include anche altri artisti che con lui condivisero palcoscenico e studi di registrazione come Roitelet, Nganga, De Wayon, Pholidor, De La Lune e Vicky. Viene così tracciato la storia di un genere, la rumba congolese, che sbocciò a Kinshasa nei primi anni Quaranta grazie alla commistione di suoni provenienti dalla tradizione locale con il son cubano, il tutto con l'aggiunta della sperimentazione di nuovi strumenti giunti dall'occidente come la chitarra elettrica. Negli anni cinquanta la rumba divenne un vero e proprio fenomeno sociale dell'Africa Centrale e lentamente grazie all'opera di Franco con l'O.K. Jazz, Papa Noel con Les Bantous de la Capitale, i Grand Kallé e l'African Jazz, ebbe un fenomeno di evoluzione incredibile incorporando altri stili musicali e sonorità come chachachà, mambo, pachanga e salsa. Attraverso i venti brani in scaletta è, duque, possibile assistere alla crescita di questo particolare genere musicale, la cui importanza non investe solo il jazz ma si estende anche alla world music.



Konono N.1 - Assume Crash Position (Crammed Discs/Materiali Sonori) 
Nati tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta da un'idea del musicista congolese Mawangu Migiendi, i Konono N.1 hanno speso larga parte del loro percorso musicale esibendosi in strada o nei locali di Kinshasa, proponendo particolari rielaborazioni i canti rituali della loro etnia di origine, gli Zombo, finchè nel 2005, grazie alla lungimiranza del belga Vincent Kenis patron della Crammed Discs, finalmente riescono a pubblicare il loro disco di debutto, Congotronics, che sin da subito raccoglie successo e grande ammirazione tra gli appassionati di world music per la particolarità della loro proposta musicale. A sei anni dal debutto discografico, i Konono N.1, tornano con un nuovo album, Assume Crash Position, che segna una importante evoluzione della loro formazione con l'ingresso nella line up del basso e della chitarra elettrica. Questo nuovo album raccoglie otto brani, che quasi fossero delle piccole suite mescolano suggestioni e sonorità spaziando da ipnotici mantra a danze travolgenti fino a toccare echi di musica trance, il tutto partendo dal suono del likembe (o m'bira), strumento tradizionale degli Shona, una tribù dello Zimbawe, costituito da una serie di linguette metalliche di forma diversa fissate su un pezzo di legno, le quali pizzicate emettono un suono caldo e melodioso, e che Migiendi ha accuratamente modernizzato amplificandolo fino ad ottenere un vero e proprio likembe elettrico. Ad aprire il disco è Wumbanzanga, introdotta da uno spaccato strumentale delicatissimo, ma è con Mama na bana, con la chitarra elettrica di Nzila Mabasukisa e dal basso di Duku Mukumbu in bella evidenza, che si entra nel vivo del disco. Si passa poi a Makembe e Konono Wa Wa, con quest'ultima che rimanda al repertorio della rumba congolese, fino a toccare Nakobala Lisusu Te, che chiude il disco con la sua colorata varietà di suoni. Assume Crash Position, ci svela tutto il talento di Migendi e dei suoi Konono N.1, gruppo di musicisti che partendo da strumenti di fortuna e dividendosi tra talento, genio e casualità è riuscito a raggiungere la notorietà solo grazie alla passione e alla voglia di fare musica. 



Shantel - Planet Paprika (Essay/Crammed Discs/Materiali Sonori) 
Stefan Hantel, alias Shantel, è un produttore, cantante e dj tedesco con alle spalle un'interessantissimo percorso artistico che lo ha visto partire da qualche esperimento durante i suoi set nei quali mixava i dischi di Kočani Orkestar e di Taraf de Haidouks fino a diventare lui stesso un musicista. Infatti, complice un viaggio in Bucovina, piccola regione dei Carpazi dalla quale è tornato con tanto di banda al seguito, qualche anno fa pubblico il suo disco di debutto Disko Partizani, che gli ha fruttato numerosi apprezzamenti, che si sono andati ad aggiungere al ben noto titolo di King of the Balkan dancefloor. A distanza di qualche anno, Shantel ha dato alle stampe il suo secondo disco Planet Paprika, che mescola l'elettronica con ritmi gitani e twist il tutto condito da influenze che spaziano dalla musica balcanica alla klezmer passando per la musica greca. Il risultato è un disco divertente, nel quale convivono sonorità che farebbero a pugni ovunque, ma che qui suonano perfettamente amalgamate come nel caso delle fisarmoniche campagnole che si sposano al reggae in Wandering Stars o la voce dei muezzin che dialoga con la fanfara balcanica in Binaz In Dub, ma non è tutto perchè a soprenderci arrivano le sghembe divagazioni ora nella musica greca con Good Morning Athina, ora in quella balcanica con il tradizionale Usti, Usti Baba fino a toccare il rap che di tanto in tanto irrompe sulla spinta dei beat da discoteca. A caratterizzare ancor di più il tutto è la voce irriverente e quasi stonata di Shantel, che urla sguaiata mentre i cori femminili rimandano all’approccio vocale delle cantrici bulgare. Sebbene a tratti dia la sensazione di essere la versione musicale in chiave tamarra di Borat, Shantel con Planet Paprika, prende in giro un po’ tutti quelli che hanno preso sul serio il fenomeno della riscoperta della musica balcanica, per lui, in fondo suonare significa solo divertirsi. 



Kasbah Rockers with Bill Laswell – Kasbah Rockers (Barraka El Farnatshi Prod./Materiali Sonori) 
Il progetto Kasbah Rockers nasce da un idea di Pat Jabbar, storico pioneriere della sperimentazione elettronica in chiave arab sound con Aisha Kandisha’a Jarring Effects, che contando sul supporto dell’etichetta svizzero-marocchina El Barraka, ha dato vita ad un super gruppo che pesca tra le migliori proposte del suo roste, spaziando da Youssef El Mejjad dei pluridecorati Amira Saqati alla crew di repper turchi Makale. Ad impreziosire il disco ci sono numerosi ospitio come B-Net Marrakech, Maghrebika, Amira Saqati, Cheb Mourad, Oezlem Ylmaz, Makale ed altri che alternano il cantato in arabo, turco e francese, ma soprattutto Bill Laswell che vestendo i panni dell’ospite d’onore caratterizza con il suo basso ogni brano aggiungendovi la propria cifra stilistica, che da sempre guarda con attenzione al dialogo tra Nord e Sud del Mondo. Durante i settantotto minuti del disco brillano brani come Bred Atay nella quale si apprezza il dialogo tra gli archi e le strutture tipiche del rep, o Falludjah Car il cui testo militante sembra presagire alla primavera araba ma allo stesso tempo critica l’occidente invasore, ma soprattutto la title track che brilla per la travolgente commistione sonora tra house, trip hop, raï e rap. Eccellenti sono poi Bledstyle and Shta, entrambe provenienti dalla colonna Sonora di Body Of Lies di Ridley Scott, e caratterizzate da splendidi arrangiamenti a metà strada tra sperimentazione sonora e world music. Ripercorrendo le orme del progetto Maghrebika, Kasbah Rockers si pone come la nuova frontiera del meltin’ pot sonoro tra i suoni del Nord Africa e quelli dell’elettronica, e rappresenta senza dubbio uno dei dischi più affascinanti e coinvolgenti della scena world africana. 


Salvatore Esposito
Nuova Vecchia