Celebrare la cultura del vino attraverso nove composizioni che abbracciano parola poetica recitata e note che guardano al vasto orizzonte jazz contemporaneo e al cosiddetto folklore immaginario? Ci è riuscito, con gusto davvero inebriante e piacevolezza d’ascolto, Antonio Dambrosio, compositore e percussionista altamurano, che conferma la sua singolarità di autore propenso a far dialogare musica e letteratura, come già fatto nel precedente, pregevole lavoro Sempre Nuova è l’Alba (2007, Squilibri), dedicato a Rocco Scotellaro. Introducono i brani Maria Luisa Bigai e Rocco Capri Chiumarulo, le cui voci recitano versi consacrati al vino, da pagine di, Orazio, Ovidio, Carmina Burana, Baudelaire, Dickinson, Carducci, Neruda, De Filippo, Merini. Dambrosio si avvale dell’apporto di degni e fidati comprimari: Nico Berardi (zampogna, flauto, charango), Nicola Pisani (sax soprano), Vincenzo Presta (clarinetto), Vincenzo Abbracciante (fisarmonica), Davide Giove (flauto), Camillo Pace (contrabbasso). I versi carducciani di “San Martino” conducono ad una composizione festosa, sospesa tra richiami popolari e motore ritmico jazz. Il timbro terso del charango accompagna un estratto da I Fiori del Male, che sfocia in un brano di impronta jazz: qui si staglia il sax soprano di Pisani. “Vite”, il cui incipit è tratto dalle Odi oraziane, si sviluppa tra tradizione jazz e calore mediterraneo. Non poteva mancare “In taberna”, caratterizzata dall’intreccio tra canto e recitato in latino, su un impianto di marcata impronta jazz improvvisativa, che incontra armonie medievaleggianti e sequenze in cui la voce dialoga con la zampogna di Berardi. Allure musicale di segno tango-jazz per “A butteglia” con la fisarmonica di Abbracciante che domina spavalda, accompagnando i versi di Eduardo, adagiati sulle note di “Te voglio bene assaje”. Dopo Neruda, recitato su un bel sottofondo d’improvvisazione, arriva Alda Merini ad aprire “Turbiloquio”, episodio tra i più intensi del programma, composizione di ossatura di stampo jazz, in cui il musicista pugliese infila anche un omaggio coltraniano. Dopo gli squisiti aforismi di “P’assaggi”, si è pervasi dalla solare coralità della conclusiva “Festa”.
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