Nati come una busker’s band e con una intensa esperienza da musicisti da strada, gli Ochtopus sono una interessantissima band di Ravenna nata nel 1996 e con alle spalle un articolato percorso artistico fatto di ricerca in studio e continua attività live. Niente è apparente, il loro terzo album, arriva a sei anni di distanza da Calamari da Passeggio e presenta tredici brani in scaletta che partendo dalla loro marchio di fabbrica, ovvero la musica tentacolare, svelano un originalissimo impianto sonoro dove a farla da padrone sono l’eclettismo e la contaminazione. Rispetto al passato il suono degli Ochtopus sembra aver acquisito maggiore spesso e per certi versi anche autoironia, cosa incredibilmente difficile da riuscire a trasmettere quando si suona prevalentemente musica strumentale. Il viaggio degli Ochtopus si dipana tra sonorità folk e il jazz, passando attraverso influenze che spaziano dal tango alla rumba fino a toccare la musica balcanica, sonorità africane e suggestioni gypsy. L’ascolto di Niente è Apparente è intenso, affascinante e mai privo di originalità, e questo grazie alla particolare struttura della band che vede la presenza di due chitarre, una versatile sezione di fiati composta da fagotto, oboe, corno e sax e un set di percussioni molto coinvolgente. L’ascolto regala continue sorprese, e senza cedere alla tentazione di imitare ora Bregovic ora la Penguin Cafè Orchestra, si spazia dal rhythm and blues di Cric e Turchetto all’introspettiva ed intensa Optional,fino a toccare per il soul acustico di Rumori di Sottomarino e la cartolina dall’Africa di La Val Dla Câna. Le sorprese però non finiscono qua perché a sorprenderci ci sono alcune cover come A Quai di Yann Tiersen dalla colonna sonora de Il Mondo di Amélie, il brano tradizionale colombiano Galeron, e Pop Corno una divagazione sul tema di Pop Porno de Il Genio. Insomma gli Ochtopus hanno giocato molto bene le loro carte e la scommessa di Niente è Apparente può dirsi certamente vinta. Per il futuro ci attendiamo ovviamente altre sorprese, senza magari aspettare altri sei anni.
Salvatore Esposito
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