Intervista a James Talley

Di recente James Talley ha dato alle stampe un disco dal vivo e uno in studio lo abbiamo incontrato per parlare con lui della sua carriera, delle sue canzone e della sua vision degli States. Ci ha concesso un po’ del suo tempo mentre era nel bel mezzo di un trasloco, infatti con sua moglie si trasferirà molto presto nel New Mexico….

Com’è cambiato il tuo cantautorato rispetto a quando hai debuttato?
Sai, non penso che il mio cantautorato sia cambiato. Spero di essere un cantautore migliore dopo tutti questi anni, e spero che musicalmente riesca a mettere insieme accordi e melodie per rendere le mie storie più affascinanti, ma questo è quello che dovrebbe sempre essere uno storyteller. Raccontare una storia è ciò che è importante per me e penso che la gente voglia sentire qualcosa sulla vita reale che possa colpirli, con cui si possano confrontare in qualche modo. La musica è il velicolo che porta le storie, ma la musica da sola non basta, forse solo nella musica classica, dove c’è una dinamica incredibile. Io sono solo uno storyteller.

Ci puoi parlare delle ispirazioni che sono dietro ai tuoi brani?
Le mie ispirazioni arrivano dalla vita di tutti i giorni, dalla vite della gente del mondo. Anni fa ho imparato che io non sono molto differente da altri uomini che sono nel mondo, e se io scrivo ciò che so, quello che ho visto o sentito, io posso toccare anche gli altri. Quello che è nel mio cuore è nel cuore di tutta la gente del mondo. Noi tutti abbiamo emozioni e bisogni simili.

Come questa “new depression” sta influenzando le tue canzone?
Sono stato vicino a coloro che non hanno avuto molto dalla vita per lungo tempo, così la “New Depression”come la chiami tu c’è stata per tanta gente e per molto tempo. Ho scritto Are They Gonna Make Us Outlaws Again? nel 1976. Da allora non è cambiato molto. La maggior parte delle persone si sforza di sopravvivere, per mantenere un tetto sopra la testa, per pagare la propria auto, e per tenere un po’ di cibo sul tavolo. I banchieri qui negli Stati Uniti hanno saccheggiato il paese. Noi non siamo solo in crisi, ma siamo in debito con i cinesi, giapponesi, coreani, e gli arabi che non ci odiano (forse ci sono anche alcuni che lo fanno). Come si ci può definire una potenza mondiale quando si è in crisi e si hanno dei debiti?

Hai pubblicato due dischi negl’ultimi anni, The Second Voyage, il disco dal vivo è stato registrato in Italia, che ormai possiamo definire come la tua seconda patria…
Hai ragione l’Italia è un po’ la mia seconda nazione. The Second Voyage è il secondo disco tratto dai miei concerti del 2002 che furono registrati in tre differenti concerti in Italia. Sono molto contento di entrambi questi due dischi, Journey e Journey: The Secondo Voyage. Ho sempre voluto realizzare un disco dal vivo che fosse veramente buono e che testimoniasse bene quello che sono i miei concerti. Le emozioni sono più grandi durante un concerto. Questi concerti furono registrati con un registratore digitale multi traccia della Mackie una società Italiana. Io ho portato queste registrazioni in Texas e le ho editate con Tommy Detamore nel suo studio vicino San Antonio. C’era materiale per un doppio disco, ma era molto costoso all’epoca così abbiamo deciso di dividere il materiale. Originariamente le registrazioni di Journey prevedevano la mia band in una formazione ridotta a quattro membri, semplicemente perché era troppo costoso portare tutti in Italia. Quando abbiamo editato e mixato The Second Voyage, ho deciso di aggiungere la pedal steel suonata da Tommy Detamore e il violino suonato da Bobby Flores. Ho chiesto ad entrambi di suonare come se fossero ad un concerto, come se fossero stati là sin dall’inizio. Il risultato mi sembra davvero molto buono.

Parliamo di Heartsong, il tuo ultimo album in studio?
Anche se ci sono cinque nuove canzoni in entrambi i volumi di Journey, non facevo un disco di canzoni nuove in studio da Nashville City Blues che è del 1998. Avevo scritto molti brani nuovi in questi anni e così ho deciso di raccoglierli in Heartsongs. Alcuni di essi sono stati incisi inizialmente a Nashville con Dave Pomeroy al basso, Mike Noble alla chitarra elettrica, e John Gardner alla batteria. Mi sono spostato poi in Texas e con Tommy Detamore al Cherry's Studio Ridge, ho registrato altri brani nuovi e ho completato gli altri. Nel disco ci sono dunque Tommy alla steel, l’incredibile Flores Bobby al violino e alle chitarre acustiche, Dan Dreeben alla batteria, David Carroll al basso, e Jaymie Graves ai cori. Una delle cose più importanti di questo disco è che nella band c’èFloyd Domino alle tastiere. Floyd e io siamo diventati amici, quando ero incidevo per la Capitol Records nel 1970. E’ stato il pianista degli Asleep At The Wheel in quegli anni. Abbiamo desiderato a lungo lavorare insieme in un disco ma solo adesso ci siamo riusciti. E’ stato molto bello lavorare con tutti questi musicisti di talento. Tutti i brani di Heartsongs sono inediti eccetto She’s The One, una canzone d’amore scritta per mia moglie Jan alla fine del 1960 e che era uscita sul mio secondo album per la Capitol, Tryin's Like The Devil. Questo brano è stato poi registrato anche da Moby per il film Daredevil, con protagonista Ben Affleck. Moby ha chiamato la sua versione Rain Night ispirandosi ad una strofa della canzone. Penso che il brano così com’è adesso sia venuto molto bene.

Ci puoi parlare di Give My Love To Marie, raccontandoci la storia che ha ispirato questo brano?
Mio padre ha lavorato per un certo tempo nelle miniere di piombo e di zinco a Pitcher, OK, quindi ho sempre avuto una simpatia per i minatori. "Give My Love To Marie" è stata scritta in circa quindici minuti una notte, intorno al 1969. Stavo leggendo una storia sul TIME Magazine sulle miniere del Kentucky e del Tennessee orientale e vi era citata la storia di un minatore, che stava morendo di una malattia ai polmoni. Mi colpì una sua frase: "Ci sono milioni nel terreno, ma non un soldo per me". Quelle parole mi colpirono come una tonnellata di mattoni, e sono andato alla mia scrivania e presa in mano la chitarra, ho cominciato a scrivere e a cercare una melodia. Nel corso degli anni è diventato un brano molto popolare. Quando andai in tour in California con Gene Clark intorno alla metà degl’anni settanta, lui mi sentì cantare questa canzone e mi disse che voleva registrarla anche lui. Ne registrò una versione meravigliosa con l’orchestra per la RSO. Stavo suonando in concerto con Townes Van Zandt ad Atlanta, erano gli anni settanta, e lui mentre eravamo sul balcone, una mattina, a sorseggiare il caffè mi disse: “Sai quella tua canzone Give My Love To Marie, mi ha colpito molto, mi ha portato attraverso l’ultimo inverno”. La canzone è stata anche tradotta in Italiano da Sergio Sacchi con un testo differente, ma con un arrangiamento orchestrale molto bello. Il brano inciso poi da Andrea Mingardi è stato poi pubblicato da Ala Bianca Group. Insomma è una bella canzone che continua a colpire il cuore della gente.

Nel 2005 hai ripubblicato Got No Bread, No Milk, No Money, but We Sure Got a Lot of Love, l’album migliore della tua carrier, ce ne puoi parlare?
In molti dicono che è il disco migliore della mia carreria. E’ un disco di cui sono orgoglioso ma spero che la mia carriera sono sia andata a picco dopo questo disco. Ci sono dischi buoni e dischi meno tra i quattordici che ho registrato. Io ho provato a fare del mio meglio in ognuno di essi. Got No Bread è il disco che io definisco delle mie radici. Tryin’ Like The Devil era il disco che mi rappresentava meglio. The Road To Torreon era un tributo alla gente ispanica del New Mexico, dove sono cresciuto. Ogni disco ha storie speciali alle spalle. Got No Bread è la mia sinfonia pastorale.

Nel primo volume di Journey c’era I Saw The Builidings uno dei tuoi brani migliori di sempre. Volevo chiederti di raccontarci la storia di questa canzone…
E’ un brano che ricorda la tragedia dell’11 settembre 2001. Ho provato a capire con tutte le mie forze quello che era successo e ho cercato di immaginare perché questa gente ci odia tanto. Ho letto una mezza dozzina di libri, tre di Thomas Friedman il corrispondente internazionale del New York Times. Ho lottato con questi pensieri per un anno prima di riuscire a scrivere questo brano. Gli Stati Uniti fanno cose meravigliose, ma anche a volte cose terribili. Non siamo perfetti. Un buon esempio è il nostro sistema sanitario. Perché la nostra gente non può avere l’assistenza sanitaria per diritto. E’ una cosa così fuori dal tempo questa. Il capitalismo è il nostro tallone di Achille. Produce innovazione e ricchezza incredibile, ma lascia anche una lunga scia di distruzione. Se non viene regolato correttamente, può diventare distruttivo. C’è una distanza troppo ampia tra progressisti e conservatori negli Stati Uniti e dunque non c’è da stupirsi che ci sia un divario così ampio tra il nostro mondo materialista e quello mussulmano. Il fanatismo però non è mai una cosa giusta in qualsiasi ambito. Il fanatismo religioso è distruttivo per l’umanità. E’ una vergogna. In molte cose l’uomo non si è evoluto, siamo ancora accampati nel deserto. Noi viviamo nel XXI secolo e ci sono ancora persone che si uccidono a vicenda per una vita dopo la morte.

Quando tornerai in tour in Italia?
Mi piacerebbe molto tornare. Tutto ciò di cui ho bisogno è un promoter che mi dia una possibilità e che mi inviti. Ma promuovere concerti è un business pieno di rischi, lo so. Sarò in Germania il 15 maggio 2010 per un concerto a Buhl. Se c’è qualche promoter Italiano che vuole organizzare un concerto nello stesso periodo sarei ben lieto di tornare in Italia. Una terra incredibile con gente fantastica. Per non parlare poi del vino e del cibo…


Salvatore Esposito
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