Speciale Riserva Moac


Come nasce la Riserva Moac?

La Riserva Moac nasce dall’incontro di sette ragazzi, alcuni di noi eravamo già amici da qualche tempo. Essendo Bojano una piccola cittadina di provincia non ci si può meravigliare se subito abbiamo deciso di mettere in pratica quello che per alcuni è stato studio, per altri pura passione: la musica e tutto il linguaggio che da lei scaturisce. Un po’ per voglia di comunicare, un po’ per combattere il tedio del paese abbiamo cominciato a scrivere canzoni e musiche per cercare di evadere e comunicare la nostra situazione. E così è stato.


Come mai avete scelto il dialetto molisano per le vostre canzoni?

La scelta del dialetto per alcune delle nostre canzoni fa parte di quella operazione di recupero-rilancio-riqualificazione del nostro bagaglio di storia, memoria e tradizioni. Qualcuno ha detto: "Dobbiamo essere più aderenti al presente, che noi stessi abbiamo contribuito a creare, avendo coscienza del passato e del suo continuarsi (e rivivere)."


Parlando sempre di Molise, come siete riusciti a far confluire la musica tradizionale del Molise nello stile che avevate in mente?

Semplicemente pensando che non tutto era stato espresso e non tutto era stato tentato nel campo delle nostre sonorità. Non avevamo in mente uno stile preciso e univoco da perseguire, ma sapevamo solo di avere a disposizione un enorme, a tratti inutilizzato, bagaglio musicale e culturale dal quale attingere e per il quale tessere un vestito più favorevole al nostro tempo e alle nostre abitudini musicali.


Parallelamente all’uso del dialetto avete scelto di affiancare ai classici strumenti moderni anche strumenti tradizionali. Come mai questa commistione?

Credo che Roberto "Zanna" Napoletano, autore delle musiche e di gran parte degli arrangiamenti del gruppo, soffrisse molto nel vedere strumenti dalle enormi potenzialità come zampogna, ciaramella e fisarmonica relegati soltanto ad un uso arcaico e pastorale, che li consegnava soltanto ad un pubblico di nicchia. Un uso poco accattivante per quelli che, come noi, sono abituati ad altri generi e che, quindi, tendono a non conoscere, per questioni di abitudini diverse, queste sonorità e tutto il mondo che si portano dietro.


Il vostro Etno-Folk, lo vedo come un meltin’ pot in cui confluisce rock, folk, dub, ska, jazz, musica e tradizioni popolari…quando avete cominciato quali erano i vostri riferimenti?

Essendo sette persone molto diverse fra noi, ognuna con il proprio bagaglio musicale, sarebbe troppo lungo dirti i riferimenti di ognuno. Essendo tanti, comunque, nella Riserva si stemperano, perdono i loro connotati precisi e si amalgamano in un unico grande melting pot, questa bella immagine che ci hai regalato.


Quali sono le vostre principali ispirazioni a livello compositivo?

Di tutto, ti basti pensare che suoniamo anche strumenti provenienti dalle parti del mondo più disparate, e che riprendiamo ritmiche e stili delle culture altre allo stesso modo come ci facciamo prendere dal rock, dalle musiche popolari, dalla classica, da tutto il mondo dell’alternativo e dell’indipendente.


Avete partecipato a diverse rassegne importati come Mantova Festival e Arezzo Wave, come cambia la vostra musica sul palco rispetto al disco?

Sul palco siamo molto più istintivi e sanguigni mentre sul disco siamo più precisi e rigorosi. Il live è il nostro habitat naturale, in cui parliamo, soffriamo e sudiamo con tutte le persone presenti. E’ il live il momento in cui si crea con impulsività il villaggio globale della Riserva Moac.


Come nasce il vostro nuovo lavoro Bienvenido?

"Bienvenido" è praticamente il risultato della nostra esigenza di fare il punto della situazione, nell’Aprile del 2005. Già dal titolo del disco abbiamo cercato di evidenziale la fisicità, l’effettiva realtà della Riserva che vogliamo costruire e nella quale tutti sono i benvenuti. Sono 13 tracce che raccontano di noi, del nostro modo di vedere e interpretare ciò che ci sta attorno e che ci sta a cuore, e nelle quali abbiamo cercato di evidenziare tutte le anime del gruppo e della nostra musica. La realizzazione è stata davvero massacrante, trovare la forma giusta e più comunicativa per le proprie canzoni non è affatto semplice, ma alla fine il risultato ci ha ripagato di tutti gli sforzi e le tensioni accumulate.


Nelle vostre canzoni non è raro trovare tematiche sociali o di protesta. Come vivete questa dimensione combat?

Semplicemente siamo consapevoli che con il nostro sforzo e con tutte le occasioni che abbiamo per presentarci e parlare a gente sempre nuova e diversa, possiamo anche noi contribuire alla costruzione del cambiamento, di una società più giusta, attenta e responsabile. Forse è solo una lontana speranza, ma ci piace crederci lo stesso.


In Poli (S) tica vi soffermate su tematiche più sofferte come la guerra, la musica secondo voi può ancora cambiare il mondo o è solo un grido di rabbia per una situazione che non cambierà mai?

Ti faccio un esempio: quando abbiamo suonato sul palco di Piazza San Giovanni a Roma, lo scorso I° Maggio, abbiamo davvero avuto la conferma che la musica racchiude in se stessa una potenza enorme. La musica può essere davvero una sorta di "potere buono": se riesce ad unire un milione di persone sotto il senso del I° Maggio, e se riesce a portare alla nostra attenzione ciò che questa data rappresenta, anche con un evento mediatico come il concertone, può fare anche altro. La musica è, in questo caso, un tramite, un diffusore partecipato di istanze e di sollecitazioni. E noi crediamo a tutto questo…


L’Oceanico, è secondo me il brano più intenso del disco, citate Dylan, vi ispirate a Orwell, ora dovete raccontarci tutto ma proprio tutto di questo brano…

Mi folgorò la lettura di "1984". Mi ha colpito la capacità dell’autore di rendere reale quel mondo e quell’ipotesi. La sensazione di sentirsi controllati e sorvegliati anche nelle parti più intime e nascoste del proprio essere mi ha fatto pensare a quanto la televisione di oggi, con i suoi reality e le sue pubblicità, riesca davvero a imprigionarci la mente ed a clonarci in migliaia di esserini omologati secondo le leggi del consumo e dell’apparire. Il Dylan della canzone, in realtà, è Dylan Dog: ricordo la copertina di un numero del fumetto, che riproduceva il quadro di Magritte "Golconda" in cui migliaia di uomini vestiti tutti uguali scendono dal cielo. Ho immaginato così il controllo e la capacità clonatoria dei media moderni e degli spazi pubblicitari fatti apposta per catturarci.



Ungaretti è una fotografia di guerra, ci parlate di questo brano?

"Ungaretti" è il ripensamento e il pentimento di un uomo-soldato che ha vissuto in prima persona le insensate atrocità della guerra, dopo che l’aveva incoraggiata quando non ne era direttamente coinvolto. Quelli che sostengono la guerra senza viverla, quelli che la finanziano non subendola, che ne sanno della sua barbarie? E soprattutto, quanta indifferenza nei confronti di chi la subisce realmente? "Ungaretti" voleva essere una sveglia per quelli come noi che, apparentemente, non sono coinvolti nei conflitti che gravano sul mondo, e che pensano di potersi assolvere facilmente.


Per Ungaretti avete fatto anche un video ce ne parlate?

Il video è nato dalla collaborazione con l’Associazione "Voci per la Libertà" – Amnesty International di Villadose (RO), ed è stato girato dal regista Stefano Bertelli. Il soggetto, l’idea visualizzare la canzone in quel modo, la tematica dei bambini sono state tutte sue interpretazioni, devo dire abbastanza efficaci. E l’esperienza di attori, per noi, è stata una piacevole ed inaspettata scoperta, in cui credo ci cimenteremo ancora volentieri.


Viagge dent’ e fore… si riallaccia alle vostre radici. Io sono Molisano, come voi è so che nel nostro DNA c’è un grande senso di appartenenza. Potete dirci la vostra a riguardo alla luce di questo brano?

Questo brano dice semplicemente che per costruirsi un futuro migliore, per inventare l’altro mondo possibile rispetto a questo è importante avere anche una piena consapevolezza delle proprie radici, del proprio punto d’origine. Non possiamo essere cittadini del mondo (e cittadini della Riserva) se dimentichiamo da dove veniamo. La coscienza della propria provenienza permette di rapportarsi meglio ad altre culture, modi di vita, derivazioni diverse. Perché dalla diversità c’è sempre tanto da imparare.


Quali sono i vostri programmi per il futuro?

Uno spartiacque fondamentale è stata la nostra esibizione sul palco del I° Maggio 2006 in piazza San Giovanni. Abbiamo avuto la possibilità di presentarci ad un numero enorme di persone, sia in piazza che nella diretta tv, e credo che questo porterà sicuramente movimento per quanto riguarda il nostro tour e tutta l’attività del gruppo. Per quest’estate continueremo a presentare a chi ancora non ci conosce il nostro primo disco "Bienvenido". Contemporaneamente stiamo già pensando a nuovi brani che saranno il risultato di tutte le esperienze e le sensazioni accumulate in questi quasi tre anni di attività…e sicuramente ne verrà fuori un altro disco ed un altro viaggio.



Riserva Moac – Bienvenido (Upr/Edel)




In una terra dalle antiche tradizioni popolari come il Molise, suona sorprendente sapere che esiste una interessante realtà musicale di estrazione etno-folk-rock come la Riserva Moac, un collettivo musicale nato dall’incontro Roberto Napoletano e Oreste Sbarra con artisti provenienti da diverse estrazioni musicali e che si pone come obiettivo primario il reinventare la tradizione popolare attraverso una babele di generi sonori moderni che partendo dal combat folk, attingono a piene mani dal sound dei Balcani, dalla patchanka, dallo ska e dal jazz. Tuttavia il loro sound è fortemente legato alla tradizione come dimostra il recupero di particolari strumenti della tradizione popolare come zampogna, ciaramella e fisarmonica che ben si sposano sia all’uso del dialetto di area matesina sia ad un pizzico di elettronica. Il loro disco di esordio, Benvenido, pubblicato dalla Ultimo Piano Records, è una bella sorpresa sin dallo strumentale Introterra che guidato dal suono della cornamusa apre il disco e introduce a Bienvenido en la riserva in cui si apprezza l’ottimo duetto tra Fabrizio “Pacha Mama” Russo e Mariangela “Maya” Pavone. Prendono corpo così le tematiche del disco, ovvero il ritorno alle origini, alla propria terra ma anche la lotta politica che emerge a pieno nella velenosa Poli(s)tica. Ottime risultano tracce come Ohi Mama e Viagge dent’e fore che ripercorrono per certi versi i sentieri battuti dai 99 Posse, ma che in effetti splendono di luce propria grazie ad ottimi testi. Meno riuscite sono le incursioni nel mondo hip hop di L’Oceanico che un po’ sfigura di fronte alla bontà di Ungaretti, per la quale la Riserva Moac ha realizzato anche un video. Muoversi in territori minati come quelli dell’etno-folk-rock, è stato per il collettivo molisano una scommessa non di poco conto, vale però il risultato sicuramente positivo e al quale siamo sicuri daranno presto un seguito.

Salvatore Esposito

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