Mehmet Polat Quartet – Roots in Motion (AudioMaze, 2025)

Il quartetto formato da Mehmet Polat (oud), Franz von Chossy (pianoforte), Daniel van Huffelen (contrabbasso) e Martin Hafizi (batteria), insieme ai musicisti ospiti, Vera vander Bie (violino) e Qusai Naim (violoncello), ci propone un viaggio musicale che connette diversi linguaggi come il blues, il jazz contemporaneo, il flamenco, i raga indiani senza mai abbandonare però quello delle proprie radici identitarie dei makam turchi. Il lavoro affascina per l’uso di una grande varietà ritmica e una continua immersione nell’improvvisazione. Ad aprire l’album è “The Pistachio Tree”, introdotto da un delicato tema dall’oud che accompagnato dalla sezione ritmica, il cui ascolto ci fa pregustare sinesteticamente il profumo e il gusto del pistacchio, il cui albero è metafora e leit motiv di tutto il lavoro. A metà brano il ritmo cambia e si apre ad un’improvvisazione dell’oud e poi del pianoforte. Pervaso di ottimismo è il secondo brano, “Saludos al Mundo”, il cui titolo è già eloquente del suo messaggio simbolizzato dalle virtuosistiche parti solistiche del liuto arabo accompagnato in contrattempo dal resto delle band, alla fine delle frasi i musicisti si ritrovano insieme in unisono con tema sincopato e a salti melodici dal sapore fusion. Spazi aperti sono annunciati ancora dall’oud con lo sfondo del più classico dei giri armonici (Sol, Si-, Do, Re) in “Spacious out There”. Il giro è ripetuto due volte, quando entra una seconda parte in La minore e che conduce a Mi minore. Come nella tradizione jazz questa struttura funge da standard per dare le ali alle libere improvvisazioni. Statiche ma non stazionarie invece le armonie monoaccordali di “Roots in Motion”, che è anche il titolo dell’album. Per radici possiamo qui intendere sia quelle delle origini, sia, continuando la metafora dell’albero del pistacchio, quelle che sono nel sottosuolo e che, mentre state leggendo continuano segretamente e con grande vitalità e fermento a collaborare simbioticamente con gli altri vegetali, direbbe il biologo e scrittore Merlin Sheldrake. Quasi una rumba flamenca è “My Playground”, dove tutto diventa gioco libero anche se ben innestato su un iberico basso discendente. In “Soul’s tide” i gruppetti melodici esposti prima dall’oud e poi dal contrabbasso, seguiti da note ribattute e discendenti sempre più veloci, entrano nell’animo come nodi in gola e si dissolvono solo alla fine del brano. Con un andamento sincopato entra “Woodfire” che programmaticamente provoca sgomento e struggimento accentuato dalla melodia del violino. “Aspiration” è un brano lento ma dinamizzato dalla melodia a ritmo puntato e dalla pulsazione scandita dal contrabbasso, il senso di aspirazione è connotato da una tensione sonora continua che solo l’intervento finale riesce a sciogliere in un momento di grande resilienza. “Repose”, come dice il titolo, è un brano di assoluta distensione. “Ode a Mahzuni” è invece un omaggio in chiave jazz allo stile del poeta e cantore turco Aşık Mahzuni Şerif che spesso lottò e pagò personalmente per le sue idee di libertà e per il suo impegno civile. “Urva blues” è dedicato alla terrazzata città turca al confine con la Siria, antica e moderna allo stesso tempo. “Curious”, un semplice e orecchiabile tema melodico che riprende quello di “Spacious out There”, ma con ritmo in metro diversi, diventa l’occasione per una improvvisazione in interplay. Un album delicato il cui ascolto coinvolge tutti i cinque sensi e immerge in un mondo sonoro di assoluto fascino. 


Francesco Stumpo

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