Antonio Basile, Eugenio Imbriani, Daniela Rota, Vincenzo Santoro, Sandra Taveri, Tarantelle, santi e guaritori. Forme e figure di un culto popolare, a cura di Vincenzo Santoro, Itinerarti 2024, pp. 142, euro 15,00

“Questo nuovo volume completa il trittico di pubblicazioni edite da ItinerArti e comprendente “Il tarantismo mediterraneo. Una cartografia culturale” di cui sono autore, e la raccolta di saggi “Percorsi del tarantismo mediterraneo”, il cui obiettivo non è tanto aggiornare l’interpretazione del fenomeno quanto, piuttosto, rivedere l’immagine storica e anche geografica che ne abbiamo. Attraverso vari convegni di studio da cui hanno preso, poi, vita questi libri, abbiamo tentato di studiare il tarantismo come un fenomeno più esteso e articolato. Si tratta di una riflessione molto ampia su questo antico rituale – che trova in Puglia la propria “area elettiva”, ma si attesta in diversi contesti del bacino del Mediterraneo – approfondendone tratti comuni e distintivi, anche in ragione della copiosa messe di studi e di nuove fonti emerse negli ultimi decenni”
. Così Vincenzo Santoro, presenta “Tarantelle, santi e guaritori. Forme e figure di un culto popolare” raccolta di saggi che riprende e approfondisce gli interventi proposti nel corso del convegno tenutosi a Nardo (Le) il 26 maggio 2023. Il volume, nel suo insieme, rappresenta un vero e proprio nodo di convergenza organica fra antropologia simbolica, storia delle tradizioni popolari, etnomusicologia, filologia musicale, storia dell’arte e degli immaginari religiosi. L’intento è quello di offrire una lettura d’insieme delle molteplici forme e figure che hanno caratterizzato il culto popolare legato al tarantismo nel contesto pugliese e, più in generale, nel bacino del Mediterraneo, superando le rigidità categoriali e aprendo lo sguardo a fenomeni di traslazione culturale, ibridazione e riemersione simbolica. A riguardo, il curatore evidenzia: “Se è vero che il Salento - secondo la definizione demartiniana, che resta tra le più efficaci - è la sua patria elettiva, anche se è forse più corretto parlare della Puglia meridionale, tracce importanti si trovano anche nelle varie regioni del Sud Italia, in Sicilia, in Sardegna, in Corsica e persino in Spagna. Il tarantismo è, dunque, un fenomeno ampio, diffuso su un territorio molto vasto, e forse non andrebbe nemmeno considerato come un’entità unica. Andrebbe piuttosto chiamato al plurale: i tarantismi, perché nelle sue varie declinazioni storiche e territoriali, a parte un minimo comun denominatore, presenta caratteristiche alquanto diversificate, spesso sfuggenti, difficili da ricondurre a un unico modello. Tuttavia, il senso comune — e purtroppo anche molte pubblicazioni recenti, persino alcune autorevoli — continua a concentrarsi esclusivamente sull’immagine del tarantismo galatinese, quello di area leccese, legato alla figura di San Paolo e alla narrazione resa celebre da De Martino ne “La terra del rimorso”. Eppure, in seguito ci sono stati studi molto importanti, su contesti specifici, altri ancora più ampi e sistematici. Penso al lavoro di Clara Gallini sulla Sardegna, a quello — purtroppo rimasto incompiuto ma davvero interessante — di Annabella Rossi sulla Campania, e più di recente al saggio di Sergio Bonanzinga dedicato alla Sicilia e pubblicato in “Percorsi del Tarantismo Mediterraneo”
Ad aprire il nuovo libro è il contributo di Daniela Rota, “Tarantellario italo-ispanico (da padre Kircher al dottor Cid)”, una ricerca di raro spessore critico e documentario che ripercorre la storia delle tarantelle “colte” tra Napoli e la Spagna tra Seicento e Settecento, a partire dalle prime trascrizioni di melodie coreutico-terapeutiche da parte di Athanasius Kircher nel “Magnes” (1641). “Si tratta di composizioni che non nascono da contesti popolari diretti, ma da una rilettura intellettuale e musicale del fenomeno”, sottolinea Santoro, “Questa tradizione di tarantelle colte attraversa tutta la storia della musica degli ultimi tre secoli e mezzo, passando per Rossini, per Mozart, e per molti altri grandi nomi che hanno scritto tarantelle per il teatro musicale e non solo. Daniela Rota segue queste tarantelle tra Spagna e Italia, analizzando anche il ruolo di autori spagnoli come Gaspar Sanz, un importante musicista e teorico della chitarra spagnola. Il suo lavoro mostra come ci fosse un intenso scambio culturale tra Napoli e la Spagna. In particolare, emerge il legame tra Sanz e un compositore napoletano straordinario, Cristofaro Caresana, da cui Sanz trasse ispirazione. È un’indagine complessa, ma affascinante, che apre molte prospettive nuove”. Rota decostruisce con finezza l’idea di una tarantella iberica autoctona, mostrando come molte composizioni spagnole presentino in realtà una dipendenza diretta da moduli armonici e melodici di origine italiana, in particolare dalla celebre clausula in tono ‘hypodorio’ trascritta da Kircher. L’analisi, basata su una vasta e poco nota documentazione musicale conservata nelle biblioteche di Madrid, Barcellona e Roma, dimostra come la tarantella in ambito ispanico si affermi inizialmente non come prodotto di una tradizione musicale popolare indigena, bensì come forma “stilizzata” inserita nel repertorio amatoriale per chitarra e clavicembalo, destinata alla prassi del rasgueado e della variazione ornamentale. Solo a partire dagli anni Ottanta del XVIII secolo, con l’emergere di una vera e propria “epidemia tarantistica” nella regione de La Mancha, la tarantella assume anche in Spagna un valore terapeutico, documentato in tre fonti cruciali: “Expediente de la tarántula” del 1783, il trattato “Tarantismo observado en España” di Francisco Xavier Cid del 1787 e l’”Observación de un picado por la tarántula” di Pedro Doménech y Amaya del 1798. Rota ne analizza con attenzione le partiture, le prassi esecutive, le modalità rituali, fino a suggerire che la guaracha – danza caraibica di probabile origine afro-ispanica – abbia momentaneamente soppiantato la tarantella nell’efficacia simbolico-terapeutica presso alcuni contesti iberici. Questo excursus comparativo, sostenuto da solide fonti storiche e musicali, non solo arricchisce la cartografia culturale del tarantismo mediterraneo, ma mette in discussione i confini stessi tra “folklore” e “tradizione colta”, tra rielaborazione estetica e funzione terapeutica. 

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