Ablaye Cissoko | Cyrille Brotto – Djiyo (Ma Case, 2025)

#CONSIGLIATOBLOGFOOLK

Sono all’opera il suonatore di kora e cantante senegalese Ablaye Cissoko e l’organettista di marca occitana, ma aperto ad altri mondi sonori, Cyrille Brotto. Del loro connubio artistico iniziato cinque anni fa ci siamo già occupati in occasione della pubblicazione del primo album, “Instant” (2022).   Più recentemente, se n’è parlato per l’entusiasmante showcase alla fiera-festival Babel Music Xp di Marsiglia 2025. “Il primo album è stato, in fin dei conti, un esperimento: un tentativo (riuscito!) di mescolare la kora e la fisarmonica diatonica. Ma la nostra musica si è evoluta da allora, dopo oltre cento concerti fatti insieme, e ci sembrava naturale pubblicare un secondo album. Come una conferma!”, racconta Ablaye Cissoko, raggiunto insieme al suo partner artistico nel corso del tour europeo e statunitense. Aggiunge Cyrille: “È un processo che si inserisce in una continuità naturale. Abbiamo composto e registrato “Instant” poco dopo il Covid, ma senza aver mai suonato quei brani dal vivo! Questa volta, invece, ci tenevamo a testare le nuove composizioni sul palco prima di fissarle su un album, cosa che abbiamo potuto fare per due anni prima della registrazione. Non meno importante è il supporto del nostro fonico, Patrick Faubert, già presente in “Instant”: sa come valorizzare i due strumenti”. Due artisti di grande sensibilità, che suonano in modo eccellente, intrecciando i loro strumenti. Pur se a prima vista non sembrerebbe, kora e organetto sono complementari. “La kora ha un attacco netto, ma non può tenere il suono. L’organetto, al contrario, permette di sostenere note lunghe. Da qui nasce la loro complementarità”, rimarca Cyrille. Le delicate corde pizzicate della kora contrastano con i toni più sostenuti e lievemente malinconici del mantice. Non secondaria è la vocalità calda di Cissoko, che si muove con agevolezza tra registri elevati e gravi. Le composizioni del duo possiedono una dimensione narrativa, si sviluppano in tempi lenti o medi, con un dosaggio di note sempre misurato, mai superfluo. Osserva ancora Cyrille: “Se riusciamo a trasmettere
emozioni suonando e a toccare le persone, tanto meglio. Sicuramente si può percepire un po’ di malinconia, ma forse anche tristezza o persino gioia: dipende da chi ascolta”. Ablaye aggiunge: “Poche persone parlano il mandinka, quindi ognuno può proiettare le proprie idee, esperienze, pensieri… ascoltando la nostra musica. Alcuni sentono un po’ di tristezza, altri amore o gioia, come dice Cyrille. Pare che la mia voce suoni malinconica anche quando canto qualcosa di allegro. La leggenda dice che la kora è stata portata sulla terra per curare l’anima delle persone. È una missione che prendo molto sul serio”. Naturale chiedere come si sviluppi la fase elaborativa del duo. “Tutto è partito dallo scambio di brani tra di noi, pezzi che abbiamo lavorato insieme per ricostruirli a modo nostro. Dopo un po’ di tempo, siamo riusciti entrambi a prendere confidenza con lo strumento dell’altro, per comporre pezzi unici, che non provenissero dai nostri repertori personali”, chiosa Cissoko. Riguardo al titolo “Djiyo”, che in mandinka significa “Acqua”: “Le notizie sono piene di brutte novità riguardo al clima, all’ecologia, al futuro del pianeta. Ci tenevo a includere una canzone che parlasse di tutto questo. Avevamo anche bisogno di un titolo d’album che potesse essere pronunciato da chiunque, a prescindere dalla lingua. “Djiyo” sembrava soddisfare tutti i criteri: il messaggio, la pronuncia semplice”. La melodia avvolgente di “Meuno Ma Térée” segna l’apertura della tracklist: una canzone che si oppone a tutte le forme di ingiustizia. “Il messaggio è che molte delle nostre libertà possono esserci tolte, ma nulla potrà mai impedirci di sorridere”. La stessa fisionomia sonora caratterizza “Si Je Savais Voler”, che esprime il desiderio di libertà. È l’organetto a guidare “A l’œil nu”, che conserva quella danzabilità che pertiene al maestro francese. Svetta “Amanké Dionti” (“Non è la tua schiava”), già presente nell’omonimo album di Cissoko con il trombettista Volker Goetze: una delle composizioni più significative di Ablaye, il cui canto denuncia la condizione delle ragazze che migrano dai loro villaggi alle grandi città in cerca di lavoro, finendo per essere spesso sfruttate. Qui la kora si muove in un registro grave, mentre l’organetto disegna linee che non mancano di grande espressività ritmica. Segue “Nina”,
uno strumentale in cui i due strumenti si rincorrono tra incastri, solismi, passaggi tenui e improvvise accelerazioni. Che ruolo ha l’improvvisazione nel suono della coppia? Dice Brotto: “È una musica viva. Certo, proveniamo da due culture diverse, ma ciò che ci unisce è il fatto che entrambi suoniamo una musica di tradizione orale. Questo patrimonio lo riceviamo, lo assorbiamo, lo facciamo nostro e lo interpretiamo oggi con il nostro stile personale. Non ci impedisce di suonare brani tradizionali, ma anche di comporne di nuovi. È quindi uno spazio di libertà che ci permette di esprimerci”. E Cissoko rileva: “Per esigenze dell’album, abbiamo scritto un po’ di più la musica. Ma durante i live lasciamo ancora grande spazio all’improvvisazione. Mi diverto, ogni tanto, a tendere qualche trappola a Cyrille… che me la restituisce puntualmente!”. La scaletta prosegue con “Ni Wilita”, in cui l’organetto introduce la melodia con note accorte, ma si ritaglia anche sequenze solitarie e intimiste; il canto di Ablaye assume tratti stentorei e declamatori, sottolineando l’importanza delle relazioni umane e della gratitudine: “Una canzone rivolta in particolare a certi leader che, una volta raggiunta la vetta, dimenticano coloro che li hanno sostenuti. Schiacciano i loro subordinati, disprezzano chi li ha aiutati a salire la scala del successo”. Lascia il segno la modalità con cui i due strumentisti si scambiano i ruoli. Irresistibile “Kana Maloundi”, anch’essa già ascoltata nel disco in duo con Goetze, delicata nell’evocare un senso di dolore e nostalgia per una persona che non c’è più. Poetica la title track, che costruisce un’atmosfera riflessiva raccontando della natura duale dell’acqua, del suo potere distruttivo e della sua forza vitale. La successiva “Nulle part” si distingue per l’andamento contemplativo. Infine, in “Ni Fountita” la kora guida la melodia con linee fluide, mentre l’organetto si produce in una texture davvero efficace. Coinvolgente nella sua immediatezza espressiva, “Djiyo” disvela i suoi contenuti creativi a ogni nuovo ascolto – e sarà difficile resistere alla tentazione di riascoltarlo. 


Ciro De Rosa

Posta un commento

Nuova Vecchia