Roberto Laneri – Winterträume (Da Vinci Classics, 2023)

Poteva non essere uno che ne ha fatte tante come Roberto Laneri, non nuovo su queste pagine, a cimentarsi con l’attraversamento di secoli di letteratura musicale colta, da Dowland a Weill, passando per Schubert, Brahms, Tarrega, Schumann, Liszt, Strauss e Debussy? Il sottotitolo di “Winterträume”, “De-Compositions & Re-Compositions”, distilla con chiarezza l’intento di Laneri, che opera una scomposizione e ricomposizione delle partiture, secondo una pratica “antica quanto la musica stessa”, come ha modo di sottolineare lo stesso compositore e polistrumentista nelle note che accompagnano questo album pubblicato dalla prestigiosa Da Vinci Classics. “Quasi tutti i pezzi su cui ho lavorato appartengono alla tipologia liederistica”, spiega Lanieri. “Quelli che non vi appartengono formalmente sono il pezzo di Dowland, ma soltanto perché ai suoi tempi il genere ancora non esisteva come tale, “Rêverie” di Debussy, a cui manca soltanto un testo per essere classificato come un Lied in piena regola, e “Recuerdos” di Tarrega, la cui melodia emerge da un fitto tessuto di arpeggi chitarristici. Personalmente, ritengo che la scrittura di Lieder dia voce alla parte più intima e in molti casi più autentica di un compositore. Inoltre il Lied come genere si presta molto di più di altri al tipo di operazione di questo album, sia per la sua brevità, sia perché è meno “definitivo” nella scrittura, avendo in fondo radici popolari. Tutto questo lo rende più manipolabile, allo stesso modo delle songs americane che sono diventate veicoli per l’improvvisazione e l’arrangiamento. “Gute Nacht”, il primo Lied nel “Winterreise”, l’ultimo ciclo scritto da Schubert, mi ha sempre fatto un’impressione enorme, non soltanto di addio a quel minimo di sanità mentale che dovrebbe consentire una vita affettiva appena sufficiente. Il testo inizia così: “Straniero sono venuto, straniero me ne vado”, un profetico addio all’idea di musica largamente condivisa, nonché, col senno di poi, tonale. In questo senso “Gute Nacht” è l’ultima vera melodia “cantabile” scritta da Schubert. Il “Wiegenlied” di Strauss, il primo Lied dal “Dichterliebe” di Schumann e l’aria di Kurt Weill sono esempi di Lieder di una perfezione assoluta da parte di tre dei miei compositori preferiti. Nel caso di Weill, avrei potuto scegliere tra tante melodie giustamente famose, senonché “Das Lied vom Branntweinhändler” (dal musical “Happy End”) è sempre stato il mio pezzo preferito per il suo giro armonico veramente sorprendente e l’ineluttabilità della linea melodica, che forse lo hanno reso meno popolare di altri”. Con “Dear, if you change” di Dowland si va a ritroso nel tempo, ma il brano del compositore elisabettiano si ricollega all’unico tema composto da Lanieri in questo lavoro, “The Blossom”, “non tanto come imitazione quanto come omaggio e condivisione di una cultura musicale inglese fatta di testi poetici ricercati (in questo caso, di William Blake) e di melodie che si sviluppano su un ground bass". È una sfida, invece, la riscrittura di “Recuerdos…” di Tarrega “a risolvere il problema delle figurazioni (inimitabili) per chitarra con gli strumenti a fiato di cui dispongo”, dice ancora il compositore. “I due Minuetti di Brahms provengono dalla “Serenata op. 11”, pezzo che lui scrisse a 25 anni e che ho sempre ritenuto di una pesantezza unica, nonostante il titolo ‘leggero’, tipica di Bramhs quando vuole apparire come il compositore accademico numero uno. Tuttavia nei 45 minuti di questa sinfonia mancata, questi due minuetti appaiono come squarci di luce quasi abbacinante, appartenenti a quei brevi momenti in cui Brahms si lascia andare. “Wailing Waltz” mette insieme due Lieder di un compositore che, per usare un eufemismo, non amo particolarmente, anzi, per niente, e che tuttavia nell’oceano di arpeggi di pianoforte e orchestrazioni sguaiate in cui la sua opera affoga dissemina piccole cose di grande bellezza, come il ben più famoso “Liebestraum”. In particolare ho dato a questi due Lieder un sapore vagamente ellingtoniano”. Le possibilità di espansione e di improvvisazione offerte hanno diretto la scelta del repertorio, ma non secondario è stato “il posto speciale che questi pezzi hanno avuto nel mio universo di ascolti, come dire che mi sono sempre parsi talmente belli che avrei voluti averli scritti io, per cui ho pensato di ri-scriverli per provarne il piacere della composizione”. Si rintraccia quella visionarietà che in passato ha condotto Laneri ad esplorare tradizioni diverse, riformulandole con il proprio linguaggio sonoro. Qui, il compositore riscrive l’originale addizionando parti, lavorando su contrappunti, inserendo variazioni armoniche, un processo che inizia con l'acquisizione della musica con un software avanzato di notazione, per poi aggiungere parti al testo trascritto. Laneri suona clarinetto e clarinetto basso, sax soprano, sopranino e contralto, si avvale delle voci di Elisa Rossi, Benedetta Manfriani, Agnese Banti e Frauke Aulbert, occasionalmente sono presenti percussioni leggere, il tanpura indiano o il didjeridoo australiano. Completata la partitura, le parti sono registrate in un software di registrazione e montaggio (Pro-tools) che consente di aggiungere parti improvvisate: “credo nell'improvvisazione non come un processo assoluto, ma come qualcosa che può funzionare, se desiderato, in quasi ogni contesto, a condizione che ci sia un contesto”. L’elemento esplorativo e creativo non si esaurisce qui, perché il valore aggiunto che entra appieno nella fase compositiva è la centralità del processo di registrazione e di mixaggio. Insomma, lo studio diventa uno strumento a sé stante, “non solo per i trattamenti del suono ormai standard, ma anche per effetti digitali che aggiungono ulteriori informazioni alla partitura in modi più drastici”. Nelle note del disco Laneri spiega: “Il risultato finale, considerando che tali processi possono in teoria essere continuati all'infinito, è la creazione di strati sovrapposti, come accade nella pittura da Rembrandt a Pollock. Jon Hassell, nelle note di copertina del suo CD intitolato "Listening to Pictures", parla di "pentimento" come di un processo pittorico che può essere applicato anche alla musica, poiché la tecnologia digitale diventa un determinante dello stile”. Ma come si è adoperato il musicista nell’intervenire su questi capolavori? In maniera analoga su tutte le composizioni o è la natura, l’anima stessa della composizione a dettare delle procedure specifiche? “Da una parte questo lavoro è iniziato un po’ “come viene”, in altre parole ponendomi di fronte ai testi musicali nella loro specificità per vedere quali opportunità di sviluppo e modifica emergevano; dall’altra ho capito abbastanza presto che tali opportunità erano comunque filtrate dalle mie preferenze musicali, dalle mie modalità di ascolto e dagli strumenti a mia disposizione. Per cui credo che alla fine emerga un tessuto comune, che forse è troppo chiamare “stile” ma che comunque riconduce gli elementi del puzzle ad una matrice comune (per esempio il richiamo a certe sonorità di big band del jazz classico). È importante sottolineare che in questo lavoro non ho cercato in alcun modo di “migliorare” gli originali, che restano perfetti così come sono. Piuttosto, mi sono posto come un arrangiatore di jazz di fronte a standards di vario tipo come il lavoro di Gil Evans in “Skteches of Spain” o le riletture classiche di Duke Ellington”. La ciclicità di “Winterträume” è data dall’apertura e chiusura con “Winterreise, ma con la consapevolezza dell’ascolto non sembra configurarsi come un ritorno alla stessa condizione iniziale…” Il pezzo di Schubert è un po’ la chiave di lettura di questo CD, sia perché parla di un viaggio, sia perché questo viaggio non porta da nessuna parte”. Che esperienza di ascolto può derivare da questo disco? “Secondo me vi sono essenzialmente due condizioni di ascolto, che (sperabilmente) possono anche coincidere. Da un lato c’è l’esperienza di chi conosce i pezzi originali e ad essi si rapporta; dall’altro l’esperienza di chi si pone in una condizione di tabula rasa di fronte a qualcosa di nuovo, come potrebbe essere l’ascolto dell’ “Opera da Tre Soldi” di Brecht-Weill rispetto alla “Beggar’s Opera” di John Gay. Personalmente mi piace provare entrambe le modalità”. L’urgenza espressiva di Roberto Laneri trova un efficace equilibrio tra esplorazione, volontà di ricostruzione delle forme e rispetto per composizioni classiche in cima ai suoi affetti sonori. 


Ciro De Rosa

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