Ben Bedford - The Hermit’s Spyglass (Cavalier/I.R.D., 2018)

Da Springfield, Illinois (sì, la città dei Simpsons), un ottimo lavoro da un ottimo giovane songwriter: un disco chitarra e voce, e in parte sola chitarra, ben suonato e cantato con un’inflessione che ricorda il Bruce Cockburn degli inizi, tanto che alcuni brani, in primis la bella “Little Falcon”, potrebbero tranquillamente essere out-takes del primo disco del grande chitarrista e cantautore canadese. Avevamo incontrato Bedford nella bella compilation “When The Wind Blows” dedicata al compianto Townes Van Zandt, con una versione interessante di “Snow Don’t Fall” ed avevamo apprezzato il suo precedente album “The Pilot and the Flying Machine”, ispirato alle sculture dell’artista, suo concittadino, Michael A.Dunbar, e caratterizzato dal bel timbro vocale e da un picking pulito ed efficace. Con il nuovo “The Hermit’s Spyglass”, Bedford prosegue sulla linea del precedente, con una strumentazione ancora più ridotta all’essenziale e una manciata di belle canzoni, dove emergono in continuazione l’ispirazione del già citato Cockburn, ma anche una scrittura personale e una perizia chitarristica non comune. Visto dal vivo qualche giorno fa ad aprire il concerto di un Michael McDermott in eccellente forma e accompagnato al dobro dal bravo Paolo Ercoli, la performance ha confermato e anzi corroborato l’impressione di un artista che ancora ha notevoli margini di miglioramento ma che già mostra segni di maturità e talento. Il disco, un concept-album ispirato al proprio gatto Darwin, ha undici tracce tutte interessanti, con un plauso alla già citata “Little Falcon” e all’iniziale “Morning Rose”, forse la traccia più bella insieme ai bozzetto di “Morning Coffee” e “Morning Conversation”, dove Bedford immagina il gatto Darwin che parla con gli uccellini (”...Maybe he knows some of their words...”). Fra gli strumentali, tutti eccellenti, alcuni, segnatamente “The Mule and The Horse” e “Quiet on the Green Hill”, sembrano usciti da qualche compilation di contemporary-acoustic-guitar della Windham Hill di trent’anni fa, fra fingerstyle e atmosfere sognanti. 


Gianluca Dessì

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