Sono trascorsi dieci anni dal primo album dal vivo di GiroDiBanda, straordinario progetto artistico nato dalla vulcanica creatività di Cesare Dell’Anna, e volto a riscoprire la dimensione bandistica, profondamente legata alla tradizione musicale del Sud Italia. Da quell’opera prima, registrata sorprendentemente in occasione della prima esibizione dell’ensemble, di cose ne sono successe tante. GiroDiBanda è diventata un laboratorio musicale in continuo divenire e sempre aperto a collaborazioni ed incontri, ma soprattutto è andato man mano delineandosi una cifra stilistica che parte dal repertorio bandistico, tocca musica popolare salentina, passa attraverso i suoni e i ritmi dei Balcani ed, in fine, approda alle esplorazioni nei territori del jazz e della musica contemporanea. Non ci sorprende che Cesare Dell’Anna abbia voluto attendere un tempo lungo tra un disco e l’altro perché è il palco o meglio la cassarmonica il luogo ideale di GiroDiBanda e in questi anni di piazze e concerti ne hanno messi in fila tanti. Così li ritroviamo con “Guerra” disco che raccoglie diciotto brani, tra composizioni originali, riletture di brani della tradizione ed elaborazioni di marce sinfoniche, che nel loro insieme compongono un vero e proprio concept album, ispirato dalla presa di posizione degli Usa e del loro Presidente Trump nel voler trasferire l’ambasciata statunitense in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo in questo modo Gerusalemme come capitale di Israele.

Sono trascorsi dieci anni dal primo disco di Girodibanda. Com’è cambiato l’approccio agli arrangiamenti, alla scrittura e al palco?
E’ cambiato tutto. Tieni presente che il primo disco raccoglieva i brani tratti dalla registrazione del primo concerto in assoluto che facemmo. Avevamo fatto pochissime prove prima e c’era tanta inconsapevolezza sia su questioni tecniche ma anche su cose più prettamente musicali. Certo c’erano ospiti importanti come Esma Redzepova e fotografava un momento particolare, ma non ero sicuro della riuscita del progetto perché c’erano tante incognite. Questo nuovo album è stato più ragionato a partire dalla sequenza dei brani costruita ad hoc fino ad arrivare agli ospiti. Certamente è un balzo in avanti dal punto di vista musicale.
Il titolo del disco è molto eloquente e dalle molteplici letture…
C’è tutto il mondo che è in guerra. Le nostre spiagge sono in guerra, così come il nostro mare. Noi siamo contro la guerra sempre e comunque.

Guerra è intesa anche come la guerra quotidiana che si combatte in una realtà come la vostra…
Certo. C’è il discorso dalla TAP e di tutto ciò che politicamente sta accadendo in Puglia. C’è molta politica in questo album ma c’è anche la nostra libertà, quella di non piegarsi a nessuna idea di mercato o di moda. E’ la nostra guerra quotidiana volta, però, alla pace. C’è un continuo richiamare a varie situazioni di tensione e cercare di riportare chi ascolta al ragionamento per raggiungere la pace o quantomeno qualcosa in più di quello che c’è adesso. Non si sta capendo più niente. La gente odia gli immigrati ma non capisce e non si domanda perché tutti parlano francese o inglese. Io cerco in qualche modo di spiegare il motivo di questi flussi migratori che sono diventati così potenti. E’ necessario che si capisce che la colpa non è certo di queste povere persone o dei bambini che affrontano viaggi di fortuna in mare. E’ questa la guerra di cui parliamo. Nel disco ovviamente non potevano mancare i nostri amici immigrati, come Talla o alcuni musicisti albanesi. C’è tanto che riguarda proprio l’immigrazione e questo tipo di problematiche.

E’ una dedica a coloro che in mare trovano la morte. Il mare non è solo fare il bagno o andare in giro con la barca a prendere il sole. In mare muoiono i pescatori, i migranti e in questo c’è un richiamo forte anche alla nostra cultura. Se non erro, “Madonna Te Lu mare” lo ha scritto un ragazzo totalmente sconosciuto di San Pietro Vernotico con Maria Mazzotta che lo canta divinamente insieme a Marian Serban, il nostro amico rumeno che suona il cimbalo. E’ un brano che mi fa piangere ma dal punto di vista musicale mi fa godere.
Siete stati sempre attenti alle tematiche dei migranti a partire da quella realtà straordinaria che è Albania Hotel…
Albania Hotel esiste ancora e lavoriamo comunque ancora oggi con musicisti provenienti dai Balcani e non solo. Siamo sempre impegnati su più fronti con Opa Cupa, Zina, Tarantavirus con tutta una serie di progetti che richiamano alla potenza dei nostri amici che vengono da varie parti del mondo.
Quanto è importante oggi sensibilizzare chi ascolta la musica in un momento in cui il grande pubblico sembra refrattario a qualsiasi sollecitazione…

Uno dei brani più emblematici del disco è “Trump@ Cavallo di ritorno palestinese” che hai scritto con Claudio Cavallo...
Ci siamo veramente sbizzarriti in questo caso perché in origine il brano non era nemmeno previsto per questo album. Poi venne fuori questa stronzata di Trump che voleva spostare l’ambasciata israeliana da Tel Aviv a Gerusalemme e questo ci fece molto arrabbiare perché ci siamo subito posti l’interrogativo su quante morti avrebbe generato questa scelta scellerata. Il brano, infatti, è dedicato a quei generali che bombardano con i loro aerei i civili innocenti e ci chiedevamo perché non abbiano il coraggio di guardare in faccia quelli che loro ordinano di uccidere. Da questa questione è nato il brano. Dopo l’uscita del disco Trump ha, poi, fatto quello che aveva annunciato e come avevamo previsto ci sono stati morti, feriti e sofferenze. Tutto questo perché? Per spostare un’ambasciata! C’è una frase emblematica nel testo che dice “le fabbriche di armi a te ti hanno votato i soldi in dietro adesso ti hanno chiesto” e in questo senso facciamo riferimento al famoso cavallo di ritorno che a volte accade quando ti rubano l’auto.

In “Guerra” non manca uno sguardo verso la canzone folk urbana con la partecipazione di Enzo Petrachi…
Mi sono molto adoperato per la rivalutazione della musica folk urbana del Salento che era stata completamente dimenticata. Mi sembrava molto riduttivo che si parlasse solo della pizzica pizzica e, quindi, ho fatto ciò che in passato avevo messo in campo per il balkan. Mi piaceva dare un’idea di novità e di riscoperta della musica popolare vera rispetto a quella che viene creata attraverso il potere economico.
Enzo Petrachi era presente già nel primo album in due brani…
Certo ma devo dire che onestamente penso sia stata una delle mie intuizioni più grandi degli ultimi anni. Non hai idea di quello che è successo in seguito. Adesso ci sono i Sud Sound System che si sono avvicinati a questo tipo di musica, ma anche gli Apres La Classe con Puccia che è uscito adesso con “La Coppula” in una versione in inglese che è meraviglioso.

Ricordo l’apertura di un concertone de La Notte della Taranta con Girodibanda e la Banda di Racale con la partecipazione di Enzo Petrachi…
Tra l’altro siamo stati i primi a portare le luminarie sul palco de La Notte della Taranta. Pensa che non volevano farmele mettere e poi due anni dopo hanno addirittura fatto loro stessi la scenografia del palco in quel modo. Tutti sono andati in America dopo ma quello che ci è arrivato per primo ha fatto la storia. Purtroppo non sono ben visto dalla politica contrariamente dall’apprezzamento che ricevo dal pubblico e dall’ambiente musicale. Quando non stati ai loro giochi rischi di rimanere all’angolo. Io continuo a fare le mie cose e non ho bisogno di favoritismi vari.
Restando in tema folk, uno dei brani del disco più belli è certamente “La sigaretta elettrica”…
Anche lì tocchiamo argomenti attualissimi da Facebook al reggae. Anche in questo caso è stato carinissimo perché sono venuti tanti ragazzi, tra cui i Sud Sound System che mi hanno fatto i complimenti per affrontato argomenti che loro non hanno il coraggio di trattare. Anche lì una vittoria enorme del folk, della musica tradizionale. Abbiamo trattato con leggerezza argomenti attualissimi.

Nel disco sono presenti anche alcuni brani del repertorio classico, come “Guerra” dalla “Norma” di Vincenzo Bellini…
Io ho cominciato a cinque, sei anni a suonare la tromba nelle bande e ho sempre fatto processioni, la banda da giro, la musica classica in cassa armonica. Girodibanda è ispirata al repertorio proprio delle bande da giro. Infatti in “Nero Nero” in cui si canta di un carcerato calabrese quando racconta del fatto che è stato imprigionato ingiustamente ad un certo punto viene inserito un frammento tratto dalla “Cavalleria Rusticana” di Mascagni. Questi riferimenti mi sono sempre piaciuti anche perché essendo una banda non voglio perdere le fondamenta dell’aspetto bandistico. C’è una reinvenzione dell’organico ma certamente ci sono delle radici forti a cui siamo legati e che non abbandoniamo.

Anche in “Boris Gudonov” e “Bolero di Aradeo” c’è una connessione con la musica classica…
“Boris Gudunov” è nata in modo casuale perché da ragazzino adoravo il tennista Boris Becker e quando ho saputo di tutte le vicende che gli sono successe sia a livello economico che familiare, ho voluto mescolare il ritratto dello sportivo con la ripresa di un autore classico. Per quanto riguarda il “Bolero di Aradeo” volutamente ho voluto fare una cosa che andasse oltre, un po’ come è accaduto per Tarantavirus e con tutte le altre cose che ho fatto mescolando la taranta con il jazz con Gianluca Petrella e i vari grandi con cui ho fatto queste cose. Sono partito dal “Bolero” di Ravel che è il brano che chiude tutti i concerti in piazza delle bande e che tutti conoscono ed innestarlo nella pizzica. Questo è uno dei miei modi di rileggere la musica tradizionale. Non mi piace riprendere i brani e rifarli esattamente come sono. Ci deve essere sempre del mio. Il gioco è veramente ben riuscito.
E’ stata una cosa fantastica perché abbiamo trascorso una giornata intera insieme all’Albania Hotel. Abbiamo registrato questo brano con loro ed Irene Lungo che ha scelto il brano da suonare. Loro, poi, il conosco da una vita ed è stato bellissimo registrare insieme.
Hai citato Irene Lungo ma nel disco sono presenti altre voci femminili…
Maria Mazzotta, Rachele Andrioli, Enza Pagliara che ha fatto un lavoro eccezionale sulla “Pizzica di San Marzano” che anche in quel caso ho voluto rendere unica. Lei ha cantato il brano, poi lo ha messo in reverse e lo ha reimparato e cantato direttamente in reverse. Questa cosa mi è piaciuta moltissimo, mi ha fatto impazzire così l’ho inserita sia all’inizio che alla fine del brano. E’ una voce che non si capisce da dove arriva, c’è un riferimento alle prefiche. C’è voluto un sacco di tempo e di pazienza per registrare questo brano perché è venuto fuori un cantato in una lingua quasi ancestrale.
Nel disco avrebbe dovuto esserci anche il cantautore napoletano Alan Wurzburger…
Alan è un artista straordinario e ci avrebbe fatto piacere averlo nostro ospite perché spesso suoniamo insieme ma lui è incredibile anche quando suona da solo, voce e chitarra. Lo ascolteresti per ore. Ha pubblicato recentemente, un bellissimo disco per la Marocco Music di Napoli e, così, mi ha chiesto di non utilizzare il brano visto che lo aveva già pubblicato lui in una versione diversa.
L’amicizia, si sa, è fatta di rinunce ed imprevisti ed io adoro gli imprevisti.

Come si sono svolte le sessions di registrazione?
Gli arrangiamenti in fase di pre-produzione li ho fatti io. Ho lavorato per un annetto a casa con pochi intimi e poi ho scritto le partiture per tutti. Completato il lavoro, abbiamo preso uno studio di registrazione grandissimo a Supersano (Le) dove siamo potuti entrare con tutta la banda. Ci siamo chiusi lì per tre giorni e abbiamo registrato tutto insieme per evitare anche di perdere del tempo a discutere.
Come sono i concerti di “Guerra”…
Meravigliosi, c’è sempre più gente ed anche se non facciamo canzoni leggere ci segue con entusiasmo. E’ bello sentirli cantare “Dannatamente Bella” o “Cavallo di ritorno palestinese”. E’ un piacere vederli dal palco.
Cesare Dell’Anna e GiroDiBanda – Guerra (11-8 Records, 2018)

Salvatore Esposito