(a cura di) Sebastiano Pilosu, Associazione Tenore Supramonte di Orgosolo, Il canto a tenore di Orgosolo. Le registrazioni del CNSMP (1955-1961), SquiLibri 2017, pp. 208, Euro 25,00, libro con 2 Cd

Il canto a tenore, forma di vocalità maschile a più parti, è diffuso in una vasta area del centro della Sardegna. Inserito dall’UNESCO nell’elenco dei patrimoni immateriali dal 2005, è diventato addirittura un sinonimo dell’isola mediterranea, raggiungendo, in virtù dell’attività di numerosi gruppi vocali semi professionisti, anche i palcoscenici del folk, a partire dalle stagioni del folk revival, e, in tempi più recenti, quelli della world music. Espressione musicale viva, lungi dall’essere omogenea, questo canto polifonico di tradizione orale è molto articolato nella sua realizzazione, possedendo una notevole specificità locale, che porta con sé non poche implicazioni sul piano musicale, estetico e sociale. “Su tenore” si compone di quattro voci (“su bassu”, “sa contra”, “sa mesu boche” e “sa boche”), che realizzano le parti in maniera distinta per registro vocale, emissione, timbro, movimento e ruolo assunto dagli esecutori nell’interpretazione dei repertori. Se, poi, si parla del paese di Orgosolo, situato nel cuore dell’isola, ci si riferisce a uno dei luoghi della musica per eccellenza, a una capitale culturale della Sardegna; località che vanta un elevato numero di presenze turistiche (ma che purtroppo è ancora fatto segno di deformazioni mediatiche televisive, quando si evocano i conflitti sociali del passato). Cantare a tenore nel paese barbaricino, vuol dire dare forma a un’espressione musicale complessa per contenuti, comportamenti esecutivi e significati. Detto diversamente, il canto a tenore è un modo di fare musica fondato su un sistema di saperi e di competenze condivisi, sottoposti anche a un vibrante dibattito interno alla comunità, che implica il confronto tra i modi dei cantori del passato e quelli degli esecutori del presente, a partire soprattutto dal concetto di “su traju” che, in sintesi, è al contempo tanto lo stile esecutivo personale di un cantore quanto la manifestazione sonora realizzata da un tenore nel suo insieme. Come altrove in Sardegna, il coinvolgimento collettivo in questo fatto sociale totale che è il canto a tenore è parte delle strategie di costruzione micro-identitaria. Il volume edito dall’editore romano SquiLibri, consistente in 208 pagine, corredate da 8 foto in b/n, è il secondo contributo alla sezione sarda della collana “aEM-Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia”, ed è stato pubblicato con il contributo del comune di Orgosolo, quello della Cineteca Sarda e di Labimus, il laboratorio interdisciplinare sulla musica dell’Università di Cagliari. La discografia sul canto a tenore ha una lunga storia, risalente perlomeno alla fine degli anni Venti del secolo scorso, a tutt’oggi, inoltre, sono state prodotte, sia a livello locale che internazionale, numerose incisioni discografiche. Le rilevazioni rese ora disponibili a un pubblico vasto di cultori e studiosi, furono realizzate per il Centro Nazionale Studi di Musica Popolare tra il 1955 e il 1961 (le registrazioni sono confluite nelle raccolte 26, 31 e 56), quando studiosi come Diego Carpitella, Franco Cagnetta, Giorgio Nataletti e Antonio Santoni Rugiu portarono i microfoni nel centro barbaricino. Il corpus documenta alcuni dei grandi cantori del passato, offrendo un considerevole quadro della varietà di stili e di modalità esecutive di quegli anni. Ciò, non sembri di secondaria importanza, perché il focus sull’individualità creatrice del cantatore o della cantatrice – come sottolinea nella sua introduzione “Una grande storia locale della musica” l’etnomusicologo Ignazio Macchiarella, una delle massime autorità nella conoscenza delle procedure del canto a più parti – è ancora uno dei nervi scoperti di certa ricerca etnomusicale, ma soprattutto è il grande assente in tanti discorsi interni ed esterni alle musiche di tradizione orale, dove l’esecutore finisce per essere ancora connotato come “informatore” e “portatore”, negando quasi, o del tutto, la personalità creativa del cantore, il suo ruolo di performer. Ben venga allora questa perimetrazione del quadro sonoro orgolese in quei formidabili decenni fondanti per la ricerca etnomusicologica in Italia. La curatela dell’opera è di Sebastiano Pilosu, etnomusicologo e cantante a tenore egli stesso, già docente presso il Conservatorio di Cagliari, che ha realizzato il progetto secondo una prospettiva dialogica, lavorando con l’associazione Tenore Supramonte di Orgosolo, la quale intende raccordarsi con l’omonimo gruppo di canto attivo negli anni Sessanta del secolo scorso (ricorderete lo spettacolo “Sentite buona gente” di Roberto Leydi), prefiggendosi il fine di promuovere il canto e di rendere viva la memoria dei passati cantori presso le più giovani generazioni. Dall’ascolto degli storici materiali sonori nasce il lavoro di ricostruzione e di contestualizzazione, attuati ricorrendo anche alle testimonianze dei paesani, alcuni dei quali diretti protagonisti delle storiche registrazioni o testimoni delle stesse. Non siamo di fronte alla mera raccolta di interviste agli anziani da parte di un outsider, piuttosto a una produzione narrativa, generata dall’articolata discussione e dalla negoziazione di senso tra esecutori e appassionati locali, che elaborano un discorso sulle forme della cultura locale, con implicazioni che vanno ben oltre il campanile. Il volume include la premessa di Sebastiano Pilosu, “Il ritorno alla comunità di Orgosolo”, cui seguono gli scritti “Una comunità e le sue musiche”, “Le raccolte del CNSMP in Barbagia”, “I protagonisti”, “Il fare musica ad Orgosolo”; in questa parte del libro si individuano, infatti, le modalità della ricerca, si presenta il contesto locale, si contestualizzano le storiche ricognizioni etnomusicologiche, si presentano gli esecutori del passato e gli anziani che hanno contribuito con la loro memoria e saperi al lavoro di indagine odierno. Sono, quindi, proposte in rassegna le forme e i repertori del canto a tenore ad Orgosolo. C’è, poi, il capitolo di guida all’ascolto dei CD, con le note analitiche e i testi dei canti proposti. Il successivo saggio, “Da allora ad oggi” delinea le trasformazioni e i mutamenti nelle forme di aggregazione e nelle modalità canore, intercorse da quegli anni ad oggi. Infine, l’appendice, curato da Walter Brunetto, riporta la storia archivistica della collezione musicale Cagnetta-Carpitella. Esperienza sonora notevole ed unica, naturalmente, l’ascolto dei due magnifici CD (il primo, intitolato “Acudie a sa pratha”, ossia “Venite in piazza”, il secondo, “A sa zente orogolesa”, vale a dire “Per gli orgolesi”), contenenti 34 tracce, su per giù pari a 147 minuti di canto, che ci riportano nel mondo sonoro della metà del secolo scorso. La selezione è stata effettuata in modo da favorire l’ascolto di differenti formazioni consentendo l’ascolto di una varietà di stili interpretativi e di repertori. Una documentazione storica e musicale di grande interesse, imprescindibile per gli appassionati della cultura musicale sarda. 

Ciro De Rosa 


Il gruppo Tenore Supramonte di Orgosolo (Giuliano Corrias: boghe; Giuseppe Munari: bassu; Nazarino Patteri: contra; Salvatore Manca: mesu boghe) al “Sentite buona gente” (1967) assieme a Peppino Marotto . Parte dell'esibizione del gruppo di Orgosolo, tratto dal DVD allegato al volume di Domenico Ferraro, “Roberto Leydi e il Sentite buona gente”, SquiLibri, 2015,

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