Larry Chernicoff – Gallery Of Air (Windy Planet Music/Incidental Music, 2018)

In occasione del nuovo numero di Blogfoolk, riserviamo la sezione “Contemporanea” a “Gallery Of Air”, lo splendido album d’esordio del compositore, musicista e produttore americano Larry Chernicoff. Originariamente pubblicato nel 1984 da Muse/Art Records, “Gallery Of Air” ritorna in vinile con una ristampa realizzata dall’etichetta personale Windy Planet Music in collaborazione con Incidental Music. A più di trent’anni dall’uscita, “Gallery Of Air” rimane un lavoro davvero singolare in grado di fondere con sorprendente grazia improvvisazione jazz, minimalismo, musica da camera, folk e world music. Influenzato dalla frizzante atmosfera della New York di primi anni ottanta, dopo le esperienze come compositore per una compagnia di danza a Woodstock e insegnante presso il leggendario Creative Music Studio, Chernicoff canalizzò i suoi interessi per improvvisazione, composizione e interazione tra sonorità e organici differenti in un lp personale intitolato “Gallery Of Air” in omaggio alla sua innata curiosità per il vento. “Quando ero bambino mi sembrava che il vento volesse parlarmi. Per tutta la vita sono sempre stato affascinato dal movimento dell’aria e da come la neve ci permette di percepirne il flusso. Osservo il tempo e riesco a percepire tutti i tipi di vento: secco, caldo, fresco e persino tempestoso. Gran parte delle musiche per questo progetto, sono state composte nei primissimi anni ottanta, alcune idee però, erano già abbozzate nei miei notebooks anche prima”. Nel corso di un piacevole scambio di e-mail, Larry mi ha raccontato così alcune delle molte curiosità sulla genesi di questi sei pezzi, che in un certo senso sintetizzano i suoi interessi musicali del tempo. “Woodstock, New York” e in particolare “Wind Horses”, per esempio, tentano una curiosa contaminazione tra i raga indiani, la musica africana, il jazz di Coltrane, Don Cherry e il minimalismo di Reich, che in quegli anni con il suo “Music For 18 Musicians” mostrò nuove possibilità a generazioni di futuri compositori. La prima traccia,“Woodstock, New York”, nata come una forma di meditazione, vede Chernicoff e il collaboratore e Tom Schmidt alle prese con arpe africane e piccoli douss’n gouni, ovvero tipici strumenti a corda muniti di una zucca come cassa di risonanza che avevano visto suonare dal maestro ed “eroe” Cherry. “Wind Horses”, è quasi completamente improvvisata, non ha cambi di accordo ed è costruita su un’unica scala. Il titolo è un riferimento alle bandiere di preghiera ( “Lung Ta” in lingua originale, Wind Horse in inglese) lasciate sventolare dai monaci buddisti sulle pendici dell’Himalaya”. Anche “Western” ha uno sviluppo simile ed è costruita a partire da una figura di basso ripetuta, sulla quale i musicisti si esprimono in libertà... “Volevo che la band improvvisasse insieme e nello stesso momento, un po’ come nel Dixieland jazz invece di attendere il proprio turno per fare un assolo”, ricorda Chernicoff. Questi pezzi mostrano la particolare sensibilità jazz dell’autore che influenzato da Coltrane e dal Davis di “Kind Of Blue”, cercò di uscire dalla tradizionale progressione di accordi avvicinandosi a una concezione modale dell’armonia. Oltre a brani relativamente brevi, Chernicoff si cimentò anche nella composizione di pezzi più estesi, come “Heart Of The City”, costruita sviluppando gradualmente un piccolo riff di sintetizzatore a cui si aggiungono una sezione ritmica guidata da batteria e basso, il pianoforte e altre linee melodiche per tastiere e vibrafono costantemente sovrapposte. Il pezzo forte dell’album è probabilmente “Hexagram (The Penetrating, Wind)”, originariamente intitolato “Hexagram 57” in riferimento a una sezione del libro cinese dell’I Ching. Il brano nasce dallo studio dell’antica notazione musicale. Diversi frammenti di queste melodie sono stati ritrovati su papiri e tavole in pietra che hanno migliaia di anni, mi ha raccontato Larry. Influenzato dalla struttura dei raga indiani,“Hexagram” intreccia ed elabora queste antichissime idee; possiamo trovare per esempio, frammenti di melodia dall'inno di Oxyrhynchos una canzone paleocristiana di origine greca, c'è una melodia di 5.000 anni fa, l'inno egizio al sole e diversi altri spunti di provenienza gregoriana. Il tutto è però mescolato con le improvvisazioni dei vari musicisti, come fosse una lunga pièce jazz. Come “Western”, il brano ha caratteristiche molto interessanti. Sul piano formale rappresenta uno dei primi esperimenti del compositore nella fusione tra strumentazione tradizionale jazz e strumenti d’orchestra, su quello musicale si divide essenzialmente in due sezioni principali, un’introduzione più “lenta” e minimale, dominata dalle linee al synth di Schmidt e dal vibrafono di Chernicoff, con minimi interventi da parte dei solisti, e da una seconda più “cinetica” che inizia più o meno al quinto minuto scandita da una costante figura ritmica in 6/8 eseguita all’unisono dal pianoforte e dal sintetizzatore, sulla quale si avvicendano e si intersecano costantemente diversi temi affidati ai sassofoni, al vibrafono alla tromba, al fagotto e al flauto alto e al pianoforte in un eccellente intreccio contrappuntistico. L’album si chiude con “Gallery Of Air” un brioso “aforisma sonoro” per sintetizzatore e vibrafono. Accompagnato da: Don Davis e Tim Moran (sassofoni) , Sonam Targee (tromba, tromba di bamboo), Tony Vacca (percussioni), Stephen Walt (fagotto) e Tom Schmidt (sintetizzatore), Larry Chernicoff (vibrafono, piano e percussioni), ci ha regalato un graditissimo esordio che riscopriamo e ascoltiamo con sorpresa e curiosità. Partendo dalle intuizioni di Steve Reich fuse con musica indiana, africana e con la spontaneità dell’improvvisazione jazz, “Gallery Of Air” giunge a un risultato complessivo davvero originale, offrendoci un prezioso affresco della policroma scena sperimentale newyorkese del periodo. Da non perdere! 


Marco Calloni

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