El Naán – La Danza de las Semillas (Autoprodotto, 2018)

“La Danza de Las Semillas” è il terzo capitolo discografico della band di Tabanera de Cerrato, nella provincia di Palencia (nel cuore di Castilla y León), dopo l’esordio “De Babel a Ítaca” e soprattutto l’ottimo “Código de Barros”. È un’autoproduzione realizzata con il crowdfunding (6.000 euro in soli quattro giorni, fino ai 14.000 raggiunti clamorosamente in poco più di mese). El Naán sono Carlos Herrero (composizione, voce principale, bouzouki e tres), César Díez (basso elettrico), María Alba (seconda voce e pandero), Adal Pumarabín (batteria, percussioni e produzione musicale), Javier Mediavilla (chitarra elettrica, cori), Héctor Castrillejo (testi, flauti armonici, setacci, cori), Césare Tejero (sax tenore e soprano, chalomeau). Chi ha già avuto modo di apprezzare il settetto, che si è conquistato una buona fama per l’elevata creatività, per la proiezione teatrale e visuale e per l’attivismo sociale, lo ritrova qui in forma smagliante nel proporre, ancora una volta, un lavoro a tema, fondato sul progetto di recupero vitale (non nostalgico) della cultura e dei saperi del mondo rurale e contadino (centrato sul concetto di “sovranità alimentare”, che prevede anche la collaborazione con l’Universidad Rural Paulo Freire), ma anche sull’idea di viaggio sonoro oceanico di andata e ritorno: «Le canzoni sono semi con le ali», scrivono nelle note di presentazione. Attraverso il parallelismo tra semi e musica gli El Naán gettano ponti che riflettono le sedimentazioni culturali della Castilla, luogo di incroci tra Africa ed Europa, Mediterraneo e Atlantico, ma lo fanno componendo anche testi che meritano di essere ascoltati. Ci si sintonizza subito sulla proposta di ‘música de raíz ibérica’, che attinge alla tradizione popolare orale in chiave contemporanea con “Mujer que corre con los lobos”, un omaggio alle donne sapienti che nel passato erano accusate di stregoneria, apre l’album con le sue confluenze folk-jazz. Segue l’afro-beat “La llamada de Afroiberia”, che seguendo la rotta atlantica porta dall’Africa al candombe uruguaiano. Dalla raccolta di Joaquín Díaz proviene “Canto de siega”, un canto di falciatura dell’area montana di Los Ancares, tra Galizia e León, che mette insieme canto, recitato e un inciso di sapore “celtico”. “El caminante” è minimale, tutto incentrato sul ritmo di tamburi a frizione e di pelli percosse. Un flauto armonico apre “La Quijada”, tributo al mondo pastorale con la voce che procede su un ostinato ritmico di idiofoni, con un contorno di effetti ambientali. La successiva potente “Danza de los Cedazos” (“La danza dei setacci”) è una jota transoceanica per voci e tamburi, concepita nel Chiapas messicano durante l’Incontro Internazionale per difendere i semi autoctoni. “El baile de la culebra” si muove su caldi sentieri folk-rock accordati con il ritmo di charro; oltre l’oblio, scava nella memoria non conciliata di Spagna “¿Donde pongo las flores?”, con l’ospite Jorge Arribas alla fisarmonica: si tratta di una canzone che ricorda le vittime del franchismo buttate nelle fosse comuni (la band ha girato un videoclip in collaborazione con l’Associazione per il Recupero della Memoria Storica). Dopo “Nana para Luca”, la ninna-nanna composta da Castrillejo e cantata dalla vocalist María Alba, è la volta di “Los Invisibles de Kolda”, tema il cui lirismo è esaltato dal sax tenore: una sferzata agli ‘indifferenti’, a chi ha dimenticato i 160 migranti annegati nella traversata dal Senegal alle Canarie (23 aprile 2007). Il noto tradizionale “Bolero de Algodre” ci porta in terra zamorana e da lì verso i Caraibi, mentre il finale dell’album è demandato all’impennata rock & rap con passaggi balcanici di “Agapito Groove” (il riferimento è al folklorista Agapito Marazuela), che recita: «No hay patria que la danza / Ni ley quel la Libertad». Il terzo album conferma gli El Naán ai vertici del folk contemporaneo di Spagna. www.laisladelnaan.com 


Ciro De Rosa

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