Rareca Antica. Il Canzoniere Vesuviano vol. II – E si n’o bbuó sient (Autoprodotto 2018)

In un certo senso i Rareca Antica sono una band in controtendenza con le istanze nu folk, ad iniziare dall’appellativo che accompagna il nome (che in dialetto significa “radice”): difatti, si definiscono Canzoniere Vesuviano, a sottolineare la filiazione dalle istanze folk revivaliste degli anni Settanta del Novecento. “E si n’o bbuó sient” è il secondo lavoro discografico del quintetto, inciso a ben dieci anni di distanza dall’esordio, intitolato “Je ‘cca me mett’ e ‘cca voggljè cantà”. Anche musicalmente c’è l’adesione a un orizzonte sonoro che, partendo dal canto di tradizione che si sviluppa intorno alla “montagna” del napoletano, si spinge a nord verso il casertano, a est verso l’Avellinese e a sud raggiunge la Calabria. La formazione comprende Dario Mogavero (voce, tamburi a cornice, putipù, tromba degli zingari), Raffaele De Luca Picione (organetti diatonici), Peppe Copia (chitarra classica, battente e barocca), Fabio Soriano (flauto dolce, flauto traverso, ciaramella, tarota e flauto di canna) e Caterina Bianco (violino). Non ci sono concessioni ad esotismi o ai celebrati ritmi del sud-est italiano, piuttosto si impone una rilettura di temi tradizionali, vissuti sul campo o frutto di ricerca, rivisitati bilanciando fonti e gusto dei musicisti, con interessanti accostamenti timbrici e un palinsesto che riserva belle sorprese. Per di più, la nuova produzione vede l’intervento di strumentisti ospiti provenienti dal mondo dell’espressività tradizionale come Raffaele Inserra, macchina ritmica e figura imprescindibile della tammorra, protagonista nell’iniziale ”Canto a fronna ‘e limone/ Canto sul tamburo”, che concilia la danza di area pomiglianese e quella dell’area dei Monti Lattari. La proposta dei Rareca Antica passa per “Ciente’ Paise” e per un canto probabilmente associato alla raccolta delle patate (“’O cant’ r’e ppatanare”) nell’area di Brusciano, cui segue il canto narrativo “Verde auliva”, diffuso in molte varianti al centro e a sud della Penisola. Due brani (“Antoniella Antonia” e “Palummella”) mettono a fuoco con ironia la ‘conquista’ piemontese del Sud. Invece, “La Zita” è una filastrocca cumulativa. In organico di quartetto, con in bell’evidenza l’intreccio tra mantice e clarinetto (Alfonso Forlenza), i Rareca interpretano la celebre canzone epico-lirica “Cecilia e il Capitano”, in una variante diffusa tra il vesuviano e l’agro-nocerino. Dopo un altro classico vesuviano come “’A cammera ‘e cunsiglio, troviamo un altro dei brani che destano l’attenzione: si tratta di “Nenna ne’”, canto di lavoro del basso casertano che si fa apprezzare per l’impasto delle voci (dei numerosi ospiti), sostenute dal ritmo di percussioni e di attrezzi agricoli. In una sorta di fuori programma, i Rareca escono dai confini regionali, concedendosi una suonata dell’area ionica del reggino (con la partecipazione della zampogna a moderna di Mimmo Morello, musicista e polistrumentista aspromontano) e una riggitana, guidata dall’organetto di Mario Latella. Un altro organetto, questa volta quello dell’ottimo irpino Eustachio Frongillo, ci conduce ad una versione “arcaica” (ma dopo tutto quanto si può definire tale, visto che l’organetto è figlio dell’era industriale?) della tarantella montemaranese . A chiudere il tutto la combinazione tra canto “a carrettiera” e canto “sul tamburo”, featuring le voci veraci di Rocco Zambrano e Francesco Luciano, è il simbolo delle “session”, che vedono suonatori di diverse aree geografiche condividere lo spazio sonoro e coreutico nei raduni musicali contemporanei che si intrecciano con le festività devozionali. 


Ciro De Rosa

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