Daniel Viglietti, dalle dita di un chitarrista alla voce degli Indios

«Dai la tua mano all’Indio, porgigliela ti farà bene…». Daniel Viglietti cantava questo verso d’apertura nella sua “Canción para mi América”. Daniel Viglietti ha lasciato la nostra di mano, il 30 Ottobre 2017, un anno da dimenticare anche per la scomparsa di un altro punto cardine della canzone latino americana e suo caro amico, il cantautore cileno Angel Parra. L’America Latina piange il musicista uruguayano, bandiera di un intero continente. In Uruguay, dopo i precursori Carlos Molina (1927-1998) e Anìbal Sampayo (1926-2007), la nuova canzone d’autore è rappresentata da Alfredo Zitarrosa (1936-1989) e, soprattutto, da Daniel Viglietti, che nasce a Montevideo nel 1939 da una famiglia di musicisti, studia chitarra classica con i migliori maestri della scuola uruguayana impostando le sue composizioni tra le sonorità proprie della terra nativa e le armonie classiche di compositori moderni. La chitarra classica di Daniel Viglietti è uno slancio di energia compositiva che non rimane inosservato, perché il suo tocco vibrante e sicuro accompagna testi di denuncia e di spessore sulla situazione precaria dell’intera popolazione latino americana. 
Forse fu uno dei primi a denunciare in versi la questione del diritto alla terra degli Indios, prima di qualunque organizzazione mondiale per i diritti umanitari. Parliamo degli anni Sessanta del secolo scorso: c’erano i Beatles, il boom economico e queste tematiche in Europa erano lontane come un segnale inascoltato proveniente da un altro pianeta. Però in Cile, in Argentina, in Uruguay e in altri stati del Sud America la canzone d’autore si arricchisce di questi temi, e la musica diventa forse l’unico mezzo per dare voce a chi non ne è ha mai avuta, in posti dove i sindacati forse ancora non esistevano e dove i diritti del lavoratore ancora dovevano arrivare ai livelli minimi di umanità. Naturale che Victor Jara, cantautore che diventerà l’eroe ed il martire della vergognosa dittatura in Cile, chiederà a Daniel di interpretare ed incidere la celebre “A desalambrar”. L’amico Victor Jara e Violeta Parra saranno le sue amicizie cilene più strette, insieme al duo Isabel e Angel Parra che rivedrà spesso in Francia durante l’esilio. Purtroppo gli anni Settanta sono tempi oscuri per il continente latinoamericano e anche in Uruguay un colpo di stato militare mette in atto le
bieche consuetudini. Torture, sparizioni, eliminazione dei partiti politici e dei sindacati. In questo clima Daniel Viglietti è costretto all’esilio, le sue posizioni apertamente schierate, la sua voce in una radio che denuncia, lo avevano già visto agli arresti in precedenza. In Francia e durante tutto il periodo dell’esilio è sostenuto da nomi come Jean-Paul Sartre, François Mitterrand, Julio Cortázar e Oscar Niemeyer. Non c’è da aggiungere altro. Rientrerà a Montevideo nel 1985, anno in cui uscirà “A dos voces” (A due voci), una raccolta di canzoni realizzate durante l’esilio ed elaborate assieme allo scrittore uruguayo Mario Benedetti, anche lui in esilio. Amico fraterno e compagno di palcoscenico del cantautore cubano Silvio Rodriguez che accompagnerà in molti concerti. Daniel Viglietti ci lascia oltre ad un’eredità etica fatta di politica e denuncia, una maestria chitarristica mista al canto in una forma del tutto originale, le sue atmosfere di spazi e incastri armonici, ricordano lo Chopin della chitarra classica Mangorè (suo connazionale), Albéniz, Stravinsky e altri compositori classici contemporanei. Ma la tradizione musicale uruguayana non rimane in disparte, e così una galopa o un chamamè si fondono con uno stile classico, pulito, rigoroso e mai scontato. Atahualpa Yupanqui, non a caso, sarà un altro pilastro per le sue creazioni. L’amore per la musica e la politica lo vedrà come conduttore radiofonico di un programma tra i più seguiti in Uruguay e solo nel 1999 rientrerà in possesso dei master originali della sua discografia, per anni tenuti nascosti dalla dittatura. Cuba nel 2015 gli consegnerà un premio "alla carriera", nella Casa de las Americas. 
Figura, quella di Daniel Viglietti, considerata troppo poco da questo lato del mondo, perché forse troppo e volutamente fuori da particolari regimi di mercato. Ma Viglietti è stato e rimarrà il capo scuola di molti compositori delle successiva generazione, figura emblematica di un lavoro creativo di comunicazione tra il mondo musicale classico e quello del folklore. Il grande capostipite di una cultura creativa che rimarrà per sempre nella storia della canzone latino americana. Colui che per primo ci ha portati per mano nelle assolate terre Indios e che ci ha fatto piangere di rabbia, amore, passione e orgoglio per un continente ancora giovane da scoprire e troppo grande per essere dimenticato. Daniel Viglietti riposerà nella tua terra, la stessa che ha rivendicato nei suoi testi, per la quale ha gridato il diritto alla proprietà di chi la lavorava, contro chi voleva sottrarla ai suoi amici Indios. Quella terra che ora è di tutti. Quale luogo migliore per la sua pace eterna. 


Roberto Trenca

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