Antonello Saccu, liuteria e restauro uniti a ricercatezza estetica e sonora

Antonio (noto Antonello) Saccu merita di essere valorizzato anche per motivi etnorganologici. Le sue chitarre attraggono per timbrica, potenza sonora ed estetica.  Per passione, opera da circa trentacinque anni. È anche restauratore di strumenti musicali antichi, un’arte che ha appreso progressivamente, a seguito di alcuni incontri con affermati collezionisti di strumenti barocchi e romantici.  Dopo aver dialogato a lungo con Saccu e suonato diverse sue chitarre, abbiamo scritto con la consapevolezza che il nostro contributo rappresenterà  un solido punto di partenza, per quanti vorranno conoscere più da vicino la storia del liutaio sardo, residente a Genova da oltre quarant’anni. 

La chitarra sarda
La “Meilogu” (2015) è una delle due chitarre “sarde” costruite da Antonello Saccu (la prima era del 1993). Esteticamente risaltano gli intarsi, che solo un artigiano con conoscenza della liuteria barocca è in grado di realizzare.  La chitarra prende il nome dalla regione nella quale è compreso Pozzomaggiore (Sassari), dove è nato e vissuto Saccu (1957) fino alla maggiore età.   Noi riteniamo che, in Sardegna, la “Meilogu” rappresenti “a step forward” organologico rispetto alle numerose chitarre che, per tanti decenni, sono state utilizzate dai chitarristi popolari,  le quali provenivano in massima parte da centri di produzione siciliani. Saccu non desidera cambiare la tradizione ma, ove necessario, migliorarla. Apprezza e difende il valore storico degli eventi e degli oggetti. È un collezionista di manufatti artistici che rappresentano la sua amata Isola, per la quale dimostra una sensibilità speciale.  Ci ha riferito: «Delle chitarre tradizionali ho voluto mantenere la forma generale, tuttavia mi sono imposto di migliorare la maneggiabilità e la potenza sonora. Inoltre, ho voluto impreziosirla, mettendo in pratica abilità che ho acquisito nel corso dei decenni come costruttore e restauratore. Quattro sono i materiali impiegati negli intarsi: ebano, madreperla, osso e un filo di argento. Ogni mia realizzazione è una sfida. Ho imparato a suonare la chitarra sarda da bambino. Suono ancora oggi per diletto e so di che cosa necessita un chitarrista professionista. Chi costruisce, deve sapersi mettere nei panni di chi suona».  
Partendo da questioni pratiche, Saccu ha deciso di apportare miglioramenti, operando su più fronti, dei quali non fa mistero. Innanzitutto i materiali. Molte chitarre tradizionali “sarde”, per contenere i costi, utilizzavano legni economici. Lui li ha scelti di qualità. Le fasce sono tutte scaldate con la fiamma e piegate a mano (“non mi piace utilizzare le macchine”), le colle sono naturali, le catene interne sono state “rinforzate” in funzione del tiraggio delle corde. Nel manico, Saccu adotta un particolare sistema che richiede l’impiego di cinque diversi tipi di legni, per garantire la stabilità. La tastiera è in ebano e la maneggiabilità è stata migliorata grazie alla tecnica della “bombatura” (detta “radius”). Il risultato sonoro e timbrico è di qualità, come pure i dettagli estetici che, di seguito, sono sintetizzati.  La cordiera è un modello originale, con un intarsio della Sardegna in argento. Al dodicesimo capotasto, in piccolo, è stata realizzata la bandiera dei “Quattro Mori” (ebano, osso, madre perla, argento), i cui preziosismi possono essere osservati usando una lente d’ingrandimento. Nella paletta ci sono intarsi originali in madreperla, i quali ricordano modelli tipici della liuteria barocca. Per realizzare gli intarsi del ponticello, serve almeno un giorno di lavoro. È interamente realizzato a mano, con quelle che, nel linguaggio tecnico, sono definite le “compensazioni”, indispensabili per ottenere intonazioni più precise.  Prosegue Saccu: «Io parto dalla conchiglia, disegno le forme e le taglio con le seghette degli orefici (…), è un lavoro che richiede tecnica, ingegno e precisione, ma dà soddisfazione e garantisce qualità. Sin da piccolino mi piaceva disegnare (…). La passione per il disegno e per la scultura mi è rimasta e continuo a coltivarla. Io sono un artigiano alla vecchia maniera. I filetti, ad esempio, molti li comprano già fatti. Io utilizzo un metodo  che m’insegnò un liutaio novantenne. Bisogna saper impregnare bene i materiali e utilizzare una macchina come quella per preparare la pasta (…), poi far adeguatamente asciugare. Insomma, ci vuole cura e attenzione, serve molto più tempo, ma a me piace lavorare così, per mantenere alto il livello della liuteria italiana (…)».
Non conta la quantità delle chitarre costruite, ma la loro qualità. Noi riteniamo che Saccu sia destinato ad acquisire un ruolo di rilievo nella storia della chitarra in Sardegna. Tuttavia egli è (troppo) modesto (“…vivo di soddisfazioni, ormai sono in pensione e ho di che vivere, mi accontento di lavorare bene e di avere un giusto riconoscimento …”). Dovrebbe spiccare un salto nel “glocal”, facendo apprezzare la propria arte nel mondo. Di ciò (ben prima di noi), è convinto il chitarrista acustico Beppe Gambetta, suo estimatore e amico di lungo corso. 

Beppe Gambetta parla di Antonello Saccu
Prima di completare il contributo, abbiamo incontrato Beppe Gambetta nella sua amata Liguria, appena rientrato dall’America, ma pronto per iniziare, a giorni, una tournée in Germania (25 concerti), per presentare la nuova opera discografica (“Short Stories”). Di seguito, abbiamo organicamente sintetizzato quanto ci ha riferito con la consueta spontaneità: «Antonello è un talento naturale, in tutti i campi ci sono persone che hanno il genio di capire le cose senza frequentare un’accademia, succede anche nel mondo della musica. Lui fa parte di questo mondo e per questo fa più fatica a essere riconosciuto per il suo valore, specialmente in Italia (…).  Inoltre, possiede amore per la bellezza e ha una grandissima forza di volontà nel continuare a fare sempre nuove proposte. Antonello è stato determinante per la realizzazione di due miei progetti di ricerca - “Serenata” e “Attraversata”-, che riguardavano musicisti folk, i quali dall’Europa andarono nelle Americhe (…), un fenomeno che comprendeva  anche la liuteria spontanea, soprattutto di “scuola genovese”, che seguiva le orme del grande chitarrista  italiano Pasquale Tarafo.  
Agli inizi della ricerca non riuscivamo a trovare “chitarre arpa” di questa scuola che funzionassero a dovere, perché la chitarra arpa  è uno strumento “instabile” che si deteriora nel tempo. Ne avevamo trovate diverse, ma tutte con problemi (…).  A un certo punto,  Antonello si è messo a costruire due strumenti, realizzando minuziosamente anche il piedistallo su cui veniva appoggiata la 14 corde di Tarafo. Ha dato così una  spinta fantastica a tutta la ricerca, perché ci eravamo quasi arenati e non riuscivamo più a trovare uno strumento che permettesse di esibirci dal vivo. Ho sempre apprezzato la grande passione con cui lavora Antonello. La particolarità è il “carattere” che riesce a imprimere alle sue chitarre (…), non ricopia esattamente dagli altri liutai, ma cerca sempre di seguire una sua idea. È uno dei massimi restauratori di strumenti antichi, che conosce e sa reinterpretare la bellezza del passato. Ha sempre voglia di sperimentare e di venire fuori con un suo disegno, un’idea che sia esclusivamente sua, magari ispirata dal passato, ma portata avanti a modo suo (…).  È una persona con integrità e purezza d’animo  incredibili, ha un carattere determinato, tipico di chi non scende a compromessi e ciò può portare dei problemi(...).  Nello stesso tempo, Antonello ha una vena umoristica che pochissime persone possiedono. Il “carattere” è la sua bellezza, la sua integrità nei confronti delle cose (…).  A mio avviso potrebbe presentare con successo i propri lavori in America, ma è attirato dal bello e costruisce strumenti di tutti i tipi. Io gli suggerirei di scegliere un “tipo” di strumento, per avere una direzione più definita, una proposta precisa da presentare, prima di compiere un primo volo con i suoi strumenti oltre oceano. Tuttavia lo conosco da molti anni e so che lui è felice di dedicarsi al “bello” in ogni campo, in ogni direzione, costruendo strumenti diversi, continuamente accettando una sfida che solo ben pochi liutai sono in grado di affrontare»
Al momento, Antonello Saccu preferisce concentrare la propria attenzione sui manufatti, continuando ad apprezzare la vita in sintonia con i ritmi della natura (in particolare, ama fare lunghe passeggiate con il suo adorabile cane Artù e visitare i boschi, raccogliendo funghi). Per far conoscere al pubblico nazionale e internazionale la raccolta dei suoi strumenti originali e delle opere di restauro, sarebbe opportuno che aprisse un sito personale, informando sulla sua biografia, nella quale si fondono inestricabilmente ethnos sardo, cultura artigianale, musica folk, conoscenza degli strumenti antichi e l’interesse verso l’incisione e le arti. 

Un progressivo avvicinamento alla liuteria
Antonello Saccu ha imparato a suonare la chitarra da bambino, dal padre Peppino (anche la madre - signora Leonarda - strimpellava) e da suo zio, Pietro Fara (1923-1974), attivo sui palchi sin dagli anni Cinquanta. Di Fara, sono rimaste incisioni storiche con il “terzetto sardo” (Pietro Fara - Giuseppe Chelo - Tonino Canu) e con un quartetto che comprendeva anche il  fisarmonicista Peppino Pippia. Ricorda Saccu: «Mio zio m’insegnava con la speranza che da grande facessi il chitarrista, ma io non ero attratto da quel genere, a me piaceva la musica pop-rock. Tuttavia  ho sempre continuato a suonare la chitarra (da solo o con amici) anche quando, a diciotto anni, mi sono trasferito a Genova per lavorare come meccanico nella Polizia.  So suonare diversi balli sardi, con le tipiche accordature aperte; conosco le modalità di accompagnamento dei canti sardi e mi ha sempre affascinato il virtuosismo. Ancora adesso alla sera li eseguo (…), sono musiche rimaste nel cuore, probabilmente, per questo motivo un giorno ho deciso che era giunto il momento di costruire una chitarra sarda»
Secondo Saccu, chi sa costruire e riparare mandolini barocchi napoletani, non incontra particolari difficoltà nel realizzare le chitarre tipiche “sarde”. Ha avuto modo di analizzare numerose chitarre siciliane di produzione “Miroglio” e “Catania”. In Sardegna, sin dai primi decenni del Novecento,  le chitarre erano importate. In ambito popolare veniva richiesto soprattutto il diapason “74”. Le decorazioni del battipenna erano tipiche siciliane, la paletta e l’incatenatura ricalcavano sistemi costruttivi europei (non americani). Nelle chitarre sarde, Saccu ha mantenuto la struttura di base, utilizzando due risuonatori, per ottenere “un suono più ricco”. Ha abolito l’uso dei compensati, a favore di legni quali il noce brasiliano e l’abete rosso Val di Fiemme, con tavole che hanno minimo quindici anni di stagionatura. 
Saccu ha iniziato a occuparsi di liuteria, dopo essersi arruolato nella “Polizia di Stato”. Per lavoro, doveva spesso recarsi a Torino, dove ebbe modo di conoscere Giommaria Langiu , originario di Sassari, ex dipendente Fiat, con la passione per la liuteria. Lo prese in simpatia e gl’insegnò l’abc del mestiere. Langiu costruiva chitarre classiche, secondo il modello “Torres”. Un altro importante insegnante di Saccu è stato il padre di sua moglie Paola, Nino Cossu (originario di Aggius). Sotto la sua guida, costruì il primo mandolino in stile “americano” (con cassa piatta). Cossu (ebanista e costruttore di violini) apprezzava la manualità e la meticolosità operativa di Saccu, del quale diceva che sarebbe stato in grado di “costruire gli occhiali alle pulci”. Ha chiosato la moglie: “…Antonello non si vanta mai, non è mai contento, è preciso e ci tiene che i lavori vengano fatti ad arte”. Nei primi anni Ottanta la svolta, come ricordato dallo stesso liutaio: «Nel 1982, ho conosciuto Beppe Gambetta. Suonava  bluegrass nella “Red Wine String Band”. Un giorno dissi: -Voglio costruire una chitarra come le tue. Per un paio di giorni, mi diede in prestito la sua Martin “HD 28”(…), la studiai nei dettagli e mi misi a costruire. Alla fine, suonava benissimo e mi disse:- “Tu devi continuare a costruire per professione!”. Da allora mi sono cimentato, ma con i miei ritmi, perché da sempre faccio chitarre con serietà, solo quando ho il giusto tempo per farle»
Oltre che per le chitarre acustiche e folk, Saccu trova interesse per il restauro (soprattutto chitarre e mandolini). Personaggio chiave per la sua crescita professionale è stato Gianni Accornero, noto intenditore di liuteria. Della sua Collezione, ha curato soprattutto la sezione dei mandolini ottocenteschi, da cui è seguito l’approfondimento sulle chitarre del periodo coevo.  Come restauratore, Saccu ha potuto operare anche sulla estesa collezione di mandolini di Enrico Amendola. Passare dai mandolini alle chitarre “manouche”, il passo è stato breve: «All’epoca del grande Django Reinhardt, si diceva che chi è capace di fare mandolini napoletani può fare bene anche le chitarre “manouche”(…), perché queste hanno le tavole bombate,  come nei mandolini (…), tecnicamente si dice dare la “cèntina”, che è quella che dà forza al piano armonico. Tutte le bombature devono essere piegate a caldo e se si sbaglia la chitarra non suonerà bene. Bisogna saperle fare. Ho ricevuto diversi apprezzamenti per le mie“manouche”, che ho costruito in numero assai limitato».
Liutaio di riferimento per le “manouche” è Mario Maccaferri (allievo di Luigi Mozzani), il quale arrivò a costruire per la “Selmer” modelli di chitarre che oggi sono quotate tra i venti e i trenta mila euro. Un particolare dettaglio costruttivo sul quale Saccu ha posto l’accento è il tipico innesto della paletta nel manico, che richiede un meticoloso incastro millimetrico senza l’uso della colla. Il liutaio di Pozzomaggiore continua a perpetuare questa tecnica di realizzazione, in modelli progettati per l’esecuzione solista (le chitarre con la cosiddetta “petite bouche”) o per l’accompagnamento.  Normalmente, i puristi delle “manouche” esigono le meccaniche “Dupont”, mentre per i legni, Saccu ci ha mostrato una chitarra in abete maschiato, detto “graffio dell’orso”, bello esteticamente e apprezzato perché garantisce risonanze particolari. Il ponticello, in palissandro brasiliano, deve essere  «… svuotato e sollevato, posto esattamente su due catene parallele, per mantenere la centina, in quanto il carico delle corde è notevole».  
Quando parla di strumenti musicali, Saccu è fiume in piena.  Le ore di dialogo passano velocemente ed è entusiasmante poter alternare il confronto delle idee, suonando i pregevoli strumenti della sua collezione.  È altresì interessante sentirlo suonare con le accordature aperte, per eseguire i balli sardi. Non prova interesse per le chitarre elettriche, mentre è solito studiare attentamente l’elettrificazione di quelle acustiche. In futuro, sarebbe utile raccogliere testimonianze congiunte di suonatori che ben conoscono i suoi strumenti come, ad esempio,  Beppe Gambetta, John Jorgenson, Greg Miner, Carlo Aonzo, Paolo Bonfanti. Andrea Carpi sulla chitarra in Sardegna ha scritto un libro e ha richiesto l’intervento di Saccu durante una presentazione pubblica avvenuta a Cremona (dicembre 2015).  Ben sapendo che in Italia il lavoro dei liutai non viene sempre adeguatamente riconosciuto, come etnomusicologi, invitiamo Antonello Saccu a proseguire nella sua ricerca, conservando la consueta serietà nel metodo di lavoro, puntando verso vette alle quali solo pochi artigiani possono permettersi di ambire, dopo decenni di gavetta passati a studiare e perfezionare numerosi manufatti organologici.  Siamo convinti che la qualità, nel tempo, garantirà abbondanti frutti in termini di prestigio. “Ma questa è un’altra storia”, sulla quale potranno discettare i posteri. 


Paolo Mercurio
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