
Questa non è la classica biografia che racconta la vita in ordine cronologico, ma lo fai rievocando i momenti più interessanti che ti hanno visto coinvolto come organizzatore di concerti, e dici che tutto è iniziato con una telefonata. Come sei entrato nel mondo della musica live?
L’inizio è dovuto al fatto che ero un frequentatore di un negozio di dischi, quando i negozi di dischi erano tanti in Italia, e a Milano, dove ho passato la maggior parte della mia vita, e non erano solo delle rivendite di dischi, ma posti in cui si dialogava, si veniva consigliati, si scoprivano generi musicali e artisti che magari non si conoscevano. In uno di questi negozi, Il Discobolo di Via Vodice, bazzicava Massimo Bonelli, al tempo agente di vendita dei dischi della EMI e appassionato di rock. Massimo è stato uno di quelli che mi ha instradato verso il rock, mentre da Buscemi, altro negozio di dischi di Milano, c’era invece un addetto che mi ha instradato verso il jazz.
Ho avuto questo genere di fortuna, che molti oggi non hanno più, perché nella maggior parte dei negozi rimasti oggi, e soprattutto nei grandi store, non c’è più quell’attenzione verso il cliente. Massimo aveva un programma di rock a radio Monte Stella, una radio abbastanza atipica per l’epoca, essendo una radio commerciale, e un giorno mi chiama e mi propone di condurre un programma di musica italiana. Io avevo sedici anni, e in quegli anni le radio erano un miraggio per uno come me. All’epoca ero appassionato di rock americano, di country rock, Grace Slick, Jefferson Airplane, Grateful Dead, non ascoltavo per nulla la musica italiana, ma non ci ho pensato neanche un minuto, mi sono subito lanciato, ed ho iniziato così la mia attività nel mondo della musica. Da li poi è arrivata l’esperienza a Canale 96, di cui parlo lungamente nel libro, dove per tre anni e mezzo ho sperimentato tutto quello che potevo sperimentare, sia dal punto divista radiofonico che organizzativo. Ed ho organizzato così i miei primi concerti grazie a Giancarlo Soresina che li organizzava per la radio e che mi coinvolse. Da li ho incominciato, nel 1979, e poi per conto mio con Barley.

Dici che eri appassionato di rock, in realtà i primi concerti che ha organizzato, compreso un festival, erano dedicati alla musica folk, con nomi anche molto importanti...

Da qui è partita la tua avventura con Barley Art, un’agenzia piuttosto particolare, con cui hai sempre cercato di inventare qualcosa di nuovo, qualcosa che in Italia almeno ancora non c’era. Siete stati i primi a proporre un festival blues come quello all’Arco della pace di Milano, con i nomi migliori in circolazione e completamente gratuito, i primi a portare in Italia l’idea del festival rock all’inglese con Sonoria, il primo festival metal italiano con il Monsters of Rock...
Si, e aggiungerei anche i festival dedicati ad altre musiche, come per esempio quello dedicato alla musica balcanica, molto prima dell’esplosione del fenomeno Goran Bregovic. Questa è un po’ la mia caratteristica, ho sempre amato la sfida, cercare di presentare dei format, delle idee, degli artisti, della musica, che mi piacciono e che possano aiutare a stare meglio, perché alla fine, il senso del libro è quello. Noi cerchiamo di vivere meglio possibile, e cerchiamo di far stare meglio tutti quelli che vivono attorno a noi. Io ho scelto una strada, quella di organizzare concerti ed eventi, che mi mette in una corsia preferenziale, ho la possibilità di alimentare delle bellezze in cui io credo.
Il libro racconta la tua storia, però in tutti gli episodi che riporti non sei mai da solo, e i tuoi amici e collaboratori sonno sempre ben presenti e citati.

E non nascondi anche i fallimenti che pure ci sono stati in questa carriera lunghissima e piena di successi, tipo alcuni musical o il Festival Sonoria, un cartellone bellissimo con pochissimo pubblico...
No, nascondere i fallimenti sarebbe stato molto ipocrita. Per quanto mi riguarda, una delle lezioni che ho capito nella vita e che non bisogna mai entusiasmarsi troppo quando le cose funzionano particolarmente bene, ma neanche deprimersi troppo o pensare di aver sbagliato tutto quando le cose non funzionano particolarmente bene. Nel libro ci sono delle appendici dove faccio delle chart con i dieci concerti che hanno incassato di più, ma anche quelli che hanno incassato di meno.
E hai messo anche la classifica dei dieci concerti a cui sei più legato.
Si, però sono quelli nel momento in cui ho scritto il libro. Io credo che la bellezza dello spettacolo dal vivo è proprio la sua dinamicità, la sua interazione con quello che noi siamo nella nostra essenza e con quello che siamo tutti i giorni, ed il giorno che partecipiamo ad un evento, e quello che poi ci rimane nella memoria. Questo è mutevole e cangiante, per fortuna, e quindi per giocare ho indicato i dieci eventi a cui sono più legato tra quelli che ho organizzato io, ma magari ne ho dimenticati altri, e fra qualche anno se ne aggiungeranno altri, o la mia memoria porterà al primo posto degli altri che non ho citato nel libro.

Nel caso di Milano Blues festival, era interamente pagato dal Comune di Milano, e quindi abbiamo potuto sviluppare quel progetto grazie alle amministrazioni pubbliche di quegli anni. Nel caso di Dieci giorni suonati, il Comune di Vigevano, che aveva meno mezzi economici di quello di Milano, si è semplicemente occupato di farci avere il bellissimo castello senza spese, ed una piccola partecipazione alle spese organizzative locali. Devo dire che purtroppo ad un certo punto ho dovuto interrompere quel festival perché non c’erano i numeri che lo sostenevano, né aziende e sponsor ad alimentarlo. Io penso che oggi sia ancora possibile organizzare cose belle come queste, ma è evidente che ci vuole un’inversione di tendenza, maggior attenzione per la qualità e meno per la quantità, maggior attenzione per il territorio e per gli eventi piccoli di qualità e non solo peri grandi eventi, che io organizzo pure ben volentieri, vedi gli ACDC a Imola o Ligabue al primo Campo Volo, ma la musica non può essere solo quello.
La musica è principalmente altro, è contatto fisico, sudore, insegnamento, emulazione, sentire qualcuno che suona e tu quasi lo tocchi perché è a cinque metri da te. Adesso purtroppo c’è una deriva speculativa per cui ai fans, che sono i principali shareholders degli artisti, viene quasi impedito di poter stare vicino ai propri beniamini a meno che mettano mano al portafoglio in maniera estremamente impegnativa. Questo è particolarmente grave e sbagliato, ed in ultima analisi qualcosa che io credo farà male a tutta la filiera della musica e non solo a chi non potrà più accedere ai concerti perché non avrà più le risorse economiche per andarci.

Tra i tanti incontri bellissimi che racconti nel libro ce ne uno che in particolare mi ha colpito, e credo abbia colpito anche te, e non è un incontro con un musicista ma con un atleta, Muhammad Ali.
E’ successo che io avevo un concerto con Bo Didley a Milano e Muhammad Ali era in città insieme a Gianni Minà, e in quel periodo avevo organizzato per lui un concerto contro l’embargo a Cuba. Gianni mi ha chiamato e mi ha detto che voleva venire a trovarmi con Muhammad Ali, ma il resto del racconto lo lasciamo scoprire a chi comprerà il libro.

Si, nel senso che l’attitudine che ho cercato di mettere nelle mie modalità di lavoro e nell’insegnarlo a tanti giovani che in questi quarant’anni hanno lavorato con me, e quello di fare delle cosse tenendo presente che siamo tutti esseri umani, e non ci sono esseri umani di serie a e di serie b, fare delle cose etiche, che abbiano una sostenibilità, che no vedano la finanza al primo posto ma l’economia, che è un’altra cosa, fare delle cose di cui restare fieri, e non solamente più ricchi nel conto corrente. Questo è costato e costa tutt’ora molta fatica, soprattutto in un mondo che è molto omologato, e dominato da delle multinazionali che hanno pericolosamente mangiato troppe fette di tutta la filiera della musica, e andrebbero contrastate con discorsi e atteggiamenti ben diversi.
Stai presentando il libro con un lungo tour nelle librerie, e ad ogni appuntamento hai degli ospiti particolari
Si, ho cercato di creare dei piccoli happenings. In ogni appuntamento c’è sempre un attore che recita dei brani del libro, un conduttore che interagisce e intervista sia me che gli ospiti, un artista locale giovane che suona dal vivo, e incerti casi anche altri ospiti. La logica è creare non solamente una semplice presentazione del libro, ma una piccola testimonianza di come attorno ad un libro si possa parlare, divertirsi, scherzare e ascoltare musica.
Claudio Trotta, No Pasta No Show. I miei 40 anni di musica dal vivo in Italia, Electa Mondadori, Milano 2017, pp. 204, Euro 19,90

Giorgio Zito
In collaborazione con RadioGold
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