Canzoniere Grecanico Salentino – Canzoniere (Ponderosa Music&Art, 2017)

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A distanza di due anni e mezzo dalla pubblicazione di “Quaranta” che celebrava gli otto lustri di attività artistica ininterrotta, il Canzoniere Grecanico Salentino torna con “Canzoniere”, nuovo album composto da dodici brani, in larga parte originali, nei quali sperimentano con sorprendente brillantezza l’incontro con la forma canzone e sonorità maggiormente calate nella contemporaneità. La storia recente della formazione salentina è ormai nota: dopo la rifondazione operata da Mauro Durante che nel 2007 raccolse il testimone dal padre, il gruppo ha conosciuto un rapido crescendo che lo ha portato ad affermarsi nel panorama della world music internazionale, tanto per la qualità dei loro dischi, quanto e soprattutto per il travolgente impatto sul pubblico dei loro live act. Insomma, se già dieci anni fa avrebbero potuto sedersi sugli allori e vivere di rendita capitalizzando l’eredità della line-up storica, ancor di più potevano farlo adesso. Al contrario, invece, hanno rilanciato la sfida e messo in cantiere un album ambizioso nei temi come nelle architetture sonore. Muovendosi tra New York e Lecce, Mauro Durante ha lavorato alla scrittura dei brani con un approccio del tutto nuovo e che lo ha visto lavorare insieme ad alcuni tra i più apprezzati produttore della scena americana. Successivamente ha riportato tutto a casa e con il gruppo ha dato vita a questo disco che segna un ulteriore e prepotente balzo in avanti per quella che FRoots ha definito “una delle migliori band del mondo”. Abbiamo intervistato Mauro Durante per farci raccontare la genesi di questo album, soffermandoci sulle sessions e le ispirazioni alla base di vari brani, senza dimenticare di farci rivelare qualche succosa anticipazione sulle future mosse del gruppo. 

Partiamo dalla genesi del nuovo album. Come ha preso vita "Canzoniere"?
L'idea nasce alla fine dell'estate del 2015, subito dopo il tour nel quale abbiamo presentato "Quaranta" riscuotendo grande successo in tutto il mondo. Avendo molte richieste per i concerti, vidi che non era possibile coniugare questa cosa con l'impegno di andare in tour anche con Ludovico Einaudi. Quindi allentai quella collaborazione che divenne più saltuaria, per concentrarmi di più sul Canzoniere. Arrivato ad ottobre decisi di andare per la prima volta a New York seguendo il consiglio del nostro manager americano che mi aveva proposto di fare delle sessioni di scrittura insieme ad alcuni produttori e musicisti statunitensi. L'idea era quella di coniugare la mia scrittura con la forma canzone vera e propria, il tutto senza però snaturare quello che noi eravamo. In questo modo non avremmo perso la nostra cifra stilistica ma saremmo diventati più comprensibili anche per coloro che erano meno esperti di world music. Un po' per la curiosità di tornare a New York per lavorare, un po' per il fascino della sfida sono partito e con me è venuta anche Silvia. Siamo restati là per circa un mese ed ho avuto modo di incontrare alcuni di produttori e tra questi c'erano Joe Mardin che poi ha prodotto il disco, Michael Leonhart e Steve Skinner che hanno poi finito di essere i coautori di alcuni brani. Loro avevano voluto incontrarmi perché avevano ascoltato i nostri dischi ed erano rimasti affascinati e desideravano poter lavorare insieme. Per questo tipo di collaborazioni non si paga e l'accordo tacito è che se poi viene fuori una canzone si è co-autori, se va male non fa nulla. E' molto bello questo atteggiamento, perché in tre o quattro ore si può venire fuori almeno con una idea di canzone.

Ci puoi raccontare come si sono svolte le sessions?
É stata un'esperienza molto intensa e veramente stimolante. Quando sono tornato a casa avevo in mano già le bozze di otto o nove brani che avevo scritto senza la pretesa che diventassero l'album del Canzoniere o qualcosa di questo tipo. Era stata solo un'esperienza, ma volevo far ascoltare quei brani anche ai ragazzi del gruppo e nonostante potessero suonare diversi rispetto a quello che facevamo abitualmente, sono state recepiti con grande entusiasmo. Mi hanno invitato ad andare avanti con questa esperienza per vedere cosa potesse uscirne fuori. Da lì in poi per un anno sono andato e tornato da New York. Ho trascorso quattro mesi in totale nella Grande Mela e là ho avuto modo di incontrare anche altri musicisti e produttori come Scott Jacoby e Rasmus Bille Bähncke che hanno partecipato anche come co-autori di due brani. Il disco ha preso, così, vita da Lecce a New York, tornavo con i brani e ci lavoravamo, in alcuni casi i testi li ha scritti Alessia Tondo, in altri io, e con il gruppo modificavamo delle cose. Altri brani come nel caso di “Tienime” li abbiamo scritti da soli ed incisi a Lecce. Tornavo poi negli Stati Uniti e continuavo a scrivere, insomma è stato tutto veramente fantastico, fino a quando non abbiamo completato il tutto a dicembre 2016, quando Joe Mardin è venuto poi in Salento per quindici o venti giorni e insieme a lui abbiamo fatto le registrazioni finali per chiudere il disco. Sono tornato per l’ultima volta a New York per i missaggi durante il quale Joe ha fatto veramente un gran lavoro e poi il disco è stato masterizzato da Joe Laporta che è stato l’ingegnere del suono di “Blackstar” di David Bowie con il quale ha vinto anche il Grammy Award. A tutti gli effetti si può dire che è stata una produzione internazionale.

Non hai avuto il timore che si potesse avere la sensazione che questo fosse interpretato come il disco di Mauro Durante con il Canzoniere Grecanico Salentino e non come un lavoro corale?
La bellezza di questo gruppo è che ognuno può esprimere sé stesso in maniera piena. Quando si assiste ad un nostro concerto è difficile dire chi è il leader perché siamo una realtà che vive di gruppo sul palco e tutti abbiamo la stessa importanza. Nelle scelte da fare e nelle idee, però, è il leader che deve dare la direzione. Anche in passato ho sempre scritto io i brani del gruppo, salvo in casi come “Pizzica a Marino” di Massimiliano Morabito o “Pu è to rodo t’orio” di Emanuele Licci. In questo nuovo disco proprio Emanuele ha scritto la melodia delle strofe di “Tienime” così come l’arrangiamento per chitarra. Alessia il testo ed io altre parti musicali con Emanuele. “Pizzica de sira” è un brano tradizionale, mentre il resto dei brani sono miei. Non saprei dirti se c’è più di mio rispetto ai dischi precedenti, quello che posso dire è ci ho suonato di più rispetto al passato. Nei brani che non sono delle pizziche, ad esempio, il tessuto ritmico è tutto costruito dai miei tamburi a cornice che ho sfruttato per creare dei groove. Questa è una cosa che non avevo mai fatto finora. Con il Canzoniere mi sono sempre concentrato più sul violino, perché c’è Giancarlo che suona il tamburello divinamente. Ma in questo caso avendo sperimentato con le ritmiche me ne sono fatto carico io. Gli altri interventi sono stati scritti dai vari strumentisti, come nel caso degli arpeggi di Emanuele che sono davvero fantastici, o dei soli di Massimiliano Morabito e di Giulio Bianco. Allo stesso modo i cantanti hanno dato l’anima nei vari brani ed è stato importante perché era nostra intenzione incontrare la forma canzone.

Quali sono le differenze tra questo nuovo album e i precedenti?
Ogni album ha la sua storia ed è necessario sempre trovare un certo equilibrio. Sostanzialmente “Canzoniere” è un disco nato in studio, quindi molto curato nei dettagli, mentre “Quaranta” è stato concepito e scritto per essere registrato in presa diretta. In questo senso mi piace molto citare David Byrne che considero un mio mentore soprattutto per ciò che riguarda il rapporto con la musica, e trovo illuminante quando dice che essere geniale vuol dire sapersi muovere all’interno di alcuni limiti autoimposti o di fatto. E’ chiaro, dunque, che già dalla scrittura bisogna sapere in quale senso procedere, perché non avrebbe senso inserire in un brano qualcosa che non si può fare, oppure pretendere di far cantare in una tonalità non adatta. Questo nuovo album ha liberato alcune altre possibilità di scrittura e di creazione e ovviamente ha limitato altri aspetti, come il non avere in alcuni casi la possibilità di suonare senza metronomo. In ogni caso anche in questo disco “Pizzica de Sira” e “Aiora” sono state registrate in presa diretta, e hanno un colore diverso e un impatto particolare. Quando penso ad un nuovo progetto cerco sempre di contestualizzarlo anche dal punto di vista del live e i brani di questo nuovo disco saranno un canovaccio su cui poi ognuno dal vivo potrà mettere del proprio, perché la dimensione del Canzoniere Grecanico Salentino è sempre corale.

Novità ulteriore di questo disco è la presenza di Alessia Tondo alla voce, nonché alla scrittura dei testi di alcuni brani…
Alessia si è trovata ad entrare nel gruppo in corsa, pochi giorni prima che uscisse “Quaranta”. Lei è una ragazza fantastica, e già al suo ingresso ha aggiunto molto della sua personalità e le cose hanno cambiato colore. Ad esempio il testo di “Aiora” l’aveva già scritto pochi mesi dopo che era entrata nella line-up, ma non mi ha sorpreso questa cosa perché conoscevo già le sue qualità come autrice dai tempi in cui ho collaborato con lei per la Notte della Taranta, e l’ho sempre stimolata a scrivere. La scrittura di questo disco è stata concepita fin dall’inizio per il suo canto. La bellezza di questo album risiede anche nel calore e nella particolarità della sua voce che lei ci dona e che non avevamo prima.

Un elemento significativo per comprendere il concept del disco è la copertina…
Si tratta di un’opera d’arte realizzata nel 2015 da un collettivo di arte contemporanea che si chiama Casa A Mare. Tramite Silvia e sua sorella Laura sono entrato in contatto con loro, sono andato a vedere una loro mostra e questa foto della salsa di pomodoro nella bottiglia di Coca Cola su sfondo verde mi aveva sempre colpito. Poi piano piano ho avuto l’intuizione che potesse essere la copertina giusta per questo disco, in quanto raccontava bene quello che stavamo facendo, ovvero prendere qualcosa di fortemente identitario come la salsa di pomodoro e confrontarla con il contenitore globale che può essere la forma canzone e il rapporto con gli Stati Uniti. Insomma un incontro tra mondi opposti che è potenzialmente esplosivo, del resto la salsa di pomodori è sempre la stessa anche all’interno di una bottiglia della Coca Cola. Noi restiamo gli stessi con le nostre caratteristiche forti anche all’interno di un linguaggio contemporaneo.

Come si è indirizzato il tuo lavoro di ricerca a livello ritmico?
Volevo che questi brani avessero una grossa spinta ritmica e quello che ho cercato di fare è coprire le frequenze che potessero dare questo impatto con i miei tamburi. Ho aperto tutte le mie sacche dei tamburi e ho cominciato a giocare. Quando andavo alle varie sedute di scrittura portavo con me i sei, sette tamburi e provavamo a registrare qualcosa che potesse essere una base ritmica su cui costruire i pezzi. Quindi il suono dei tamburi stratificato ha dato vita a quel groove che si sente nel disco. Non avevo in mente un punto di partenza preciso, ma mi mettevo semplicemente a suonare e quello che veniva fuori e ci piaceva di più lo tenevamo. Il primo brano “Quannu Te Visciu” parte con un loop vocale e sulla base di questo ho costruito tutta la ritmica. Brano per brano ho cercato di far emergere un impatto ritmico quanto più potente possibile che in qualche modo potesse smuovere l’ascoltatore. Quando avevo bisogno di frequenze più basse ho usato le calebas suonata con il pugno da Giancarlo, quando avevo necessità di un effetto da battito di mani quasi scrosciante mi sono servito dei sonagli del daf. Poi nelle pizziche c’è il tamburo di Giancarlo, che sa trascinare in modo unico. Tutto l’insieme di questi suoni ha creato il tratto distintivo principale del disco a livello ritmico.

Altro elemento che colpisce è la doppia lettura dei vari brani, un esempio ne è proprio l’iniziale “Quannu Te Visciu”, una canzone d’amore nelle cui trame si nasconde una critica contro chi sui social pontifica su tutto…
Stiamo perdendo i maestri perché non riconosciamo più l’autorità in chi parla, sia esso un medico, 
uno scienziato, un esperto in una materia specifica, da ascoltare per imparare magari qualcosa. Oggi siamo tutti maestri solo perché abbiamo letto qualcosa su Wikipedia e giudichiamo in base a quello che guardiamo in TV. Se si parla di calcio siamo tutti allenatori in grado di fare la migliore formazione, ma ormai ognuno si prende la libertà di parlare anche di cose di cui non sa nulla. Perdere la capacità di ascoltare è una delle malattie di questo tempo. Un rifugio da tutto questo caos è appunto l’amore, guardare negli occhi chi si ama e tornare a respirare, lontano da ciò che ci stressa o ci infastidisce. E’ qualcosa di quasi magico. Non è un caso che il secondo brano “Ientu” esalti la contemplazione, il saper ascoltarsi e il saper ascoltarci. 

Parlavi di maestri di maestri e capacità di saper ascoltare gli insegnamenti. Da figlio d’arte quanto ai saputo ascoltare i tuoi maestri..
Moltissimo perché ne ho avuti e ne ho moltissimi a partire da mio padre Daniele Durante e mia madre Rossella Pinto, per arrivare a Ludovico Einaudi che è anche un grande amico, ad Accordone e allo splendido rapporto con Piers Faccini. Da tutte le persone che stimo cerco sempre di rubare quanto più è possibile, di imparare e ascoltare. Si impara prima di tutto con gli occhi e con il cervello. Quando scopro qualcosa che mi emoziona ho sempre voglia di capire come ho fatto ad emozionarmi, cerco di capire qual è la ricetta magica. Oggi dobbiamo ascoltare i maestri e anche se è difficile individuarli perché molti si improvvisano, è anche vero che un Erri De Luca, quando apre la bocca devi solo ascoltarlo. Nella mia formazione sono stati importanti anche maestri indiretti come David Byrne del quale ho letteralmente spolpato il suo libro “Come funziona la musica”. E’ importante scegliere punti di riferimento importanti e poi crearsi una propria visione.

Avete scelto come singolo il brano “Lu Giustacofane”. Ci puoi raccontare questo brano?
E’ un brano sul riuso, sulla capacità di riparare e del prendersi cura, e riguarda sia gli oggetti, sia le relazioni quelle interpersonali e quelle con l’ambiente circostante. E’ anche l’esaltazione del saper resistere ai colpi della vita e tenere duro e proteggere tutto ciò che vale la pena lottare, anche quando siamo feriti. Emblematiche in questo senso sono le lotte del movimento No Tap. C’è un sistema di vita che è durato per secoli e che ora è sotto attacco per scelte economiche spregiudicate, e i videomakers (Acquasintetica) sono riusciti a rendere tutto questo molto bene nel video. Sono riusciti ad evocarlo attraverso l’uso surreale di teste giganti piantate nella terra che rappresentano dei totem delle nostre radici, la nostra cultura e la nostra eredità da difendere. 

Tra i brani più autobiografici del disco c’è “Con le mie mani”…
E’ sicuramente uno dei brani più autobiografici del disco ed è legata a tante cose che riguardano il mio modo di vivere. Il disco ha alcuni fili conduttori e uno di questi è certamente le mani inteso come essere in contatto, saper resistere, saper aggiustare, saper prendere in mano la propria vita e viverla appieno. E’ una sorta di fase b del tarantismo 2.0 di cui parlavamo in “Taranta”. Attraverso le mani possiamo prenderci cura l’uno dell’altro e plasmare le nostre vite. Nel caso di questa canzone l’ispirazione mi è arrivata da Erri De Luca ed in particolare tanto a me quanto a Silvia ci ha sempre colpito la frase in cui dice che il suo verbo preferito è mantenere, tenere per mano. Questo cosa mi ha colpito molto perché le mani servono a mantenere, a tenere il timone dritto per andare avanti, ma anche a plasmare e far crescere tutto ciò che mi circonda da mio figlio Samuele alla musica, dalla famiglia al gruppo. 

“Pizzica De Sira” arriva dal repertorio storico del Canzoniere Grecanico Salentino. Come mai hai deciso di rileggere proprio questo brano?
E’ stata una scelta prettamente musicale. Si tratta, infatti, di una delle poche pizziche che presenta una estensione vocale molto ampia da su a giù. Sin da piccolo mi ha sempre colpito la sua festosità e il suo invito alla danza. E’ il racconto di una storia d’amore nata tra i balli nella quale emergono le dinamiche del corteggiamento e il finale in cui si canta “me ne vado in galera a vita pur di baciare questa donna”. Ad impreziosire l’arrangiamento c’è l’armonica di Giulio Bianco che ha impresso una grande carica al brano.

In questo disco si rinnova la collaborazione con Piers Faccini in “Subbra Sutta”…
Andai da Piers tra novembre e dicembre del 2015 perché voleva registrare delle cose e provare a scrivere qualche brano per il suo ultimo album “I Dreamed An Island”. Gli piaceva l’idea di multiculturalità e di usare più lingue e in quell’occasione vennero fuori le bozze di un paio di brani. Uno di questi era l’embrione di “Subbra Sutta”, che è finito tra i tanti progetti di canzone che avevo in mano, ma non riuscivo a trovare una struttura definitiva e quindi lo avevo messo da parte rispetto a quelli che sarebbero dovuti entrare nel disco. Il produttore Joe Mardin ha voluto ascoltare anche la cartella degli scarti ed è rimasto molto colpito dal potenziale che poteva avere quel brano. Dopo averlo sistemato insieme a lui abbiamo creato le basi per poter aggiungere i vari strumenti come il solo di Giulio, gli arpeggi di Emanuele e l’organetto di Massimiliano. E’ un brano nato a sei mani ma è stato alla fine arricchito da tutto il gruppo.

“Sempre cu mie” è il vertice poetico del disco…
E’ una canzone d’amore e anche in questo caso è difficile poter dire che cosa in particolare me l’abbia ispirata perché è bello che ognuno ci veda dentro quella che è la sua storia. Quando l’ho scritta però pensavo ai miei nonni ormai anziani che si sono amati per tutta la vita e li guardavo spaventati per l’avvicinarsi della fine della loro vita, ma allo stesso tempo legati l’uno all’altra. Si tenevano sempre per mano e lo hanno fatto fino alla fine. 

Come si articoleranno i concerti con cui presenterete questo nuovo disco?

Questo nuovo album ci da la possibilità di aumentare la varietà e la profondità del nostro concerto con altre atmosfere e altre suggestioni, ovviamente non mancheranno i punti di forza del nostro gruppo con i brani più istintivi e che sono il nostro marchio di fabbrica. Nelle prossime settimane cominceremo a lavorare all’allestimento ai Cantieri Koreja a Lecce, prima di debuttare con due repliche. Non vediamo davvero l’ora di cominciare perché penso ci sarà molto da divertirsi insieme al pubblico, cosa che noi adoriamo. 

Concludendo. Sei impegnato attualmente in progetti paralleli?
Per ora sono completamente assorbito dal lavoro per il nuovo spettacolo, ma la mia idea è quella di registrare il “Progetto Puglia” che abbiamo portato sul palco in diverse occasioni da La Notte della Taranta di qualche anno fa a La Notte di San Rocco dello scorso agosto. Mi piacerebbe fissare su disco quegli arrangiamenti che abbiamo creato, così come vorrei registrare un progetto dedicato ai Canti di Passione con l’ausilio di alcuni elementi di coro polifonico con i quali abbiamo lavorato per presentare questo spettacolo durante la settimana santa a Taranto. Ovviamente sono progetti che non vedranno la luce a breve, bisognerà aspettare ancora un po’.


Canzoniere Grecanico Salentino – Canzoniere (Ponderosa Music&Arts, 2017)
Nella copertina che riprende l’opera “Coca-Cola, 2015”, realizzata dal collettivo artistico Casa a Mare è racchiuso tutto il concept di questo disco. Laddove, infatti, la bottiglia della famosa bibita americana rimanda alla modernità e il sugo di pomodoro riannoda i fili con la tradizione, allo stesso modo il Canzoniere Grecanico Salentino ci svela nel nuovo album “Canzoniere”, una messe di dodici brani, fortemente legati all’identità e alle radici della loro terra, ma nel contempo aperti alle interazioni sonore con la contemporaneità. Questa efficace metafora visiva racchiude una piccola grande rivoluzione compiuta nell’approccio al songwriting. Se nei dischi precedenti avevamo colto la loro capacità di scrivere brani che entravano a pieno titolo nello straordinario corpus di canti della tradizione salentina, in questo nuovo lavoro le radici diventano la base di partenza per una ricerca a tutto tondo che dalle sperimentazioni sulla forma canzone si estende alle interazioni con sonorità che spaziano dal pop al rock, dal funk alla world music. Le strutture della pizzica pizzica e quelle di canti d’amore e di lavoro sono le fondamenta di brani dalla originale cifra stilistica nei quali spicca il brillante interplay tra corde, mantici e fiati, il tutto supportato dai groove del tamburo a cornice, mentre sullo sfondo si stagliano ora la chitarra elettrica, ora il synth bass. Da abile architetto sonoro, Mauro Durante ha messo a frutto l’esperienza accumulata sulle scene internazionali al fianco di Ludovico Einaudi, e con l’aiuto del produttore Joe Mardin ha confezionato un pugno di canzoni potenti, intense e vibranti dal punto di vista lirico, alle quali il resto del gruppo ha dato forma, vita e sostanza imprimendo l’inconfondibile marchio di fabbrica. Ad impreziosire il tutto la partecipazione di alcuni ospiti d’eccezione come Justin Adams (Chitarra), Piers Faccini (voce), Rasmus Bille Bähncke, Scott Jackoby, Michael Leonhart, Steve Skinner e Marco Decimo (violoncello). Ad aprire il disco è il loop ossessivo di “Quannu te visciu” con protagonista la splendida voce di Alessia Tondo che ci regala una canzone d’amore dalla doppia lettura, nella quale vengono messi alla berlina quanti discettano su tutto senza alcuna competenza. Arriva, poi, uno dei suoi momenti più intensi del disco con la poetica “Ientu”, nata dalla collaborazione con Michael Leonhart e cantata dalla voce antica di Giancarlo Paglialunga e nella quale brilla il brillante incastro ritmico incornicia il dialogo tra il violino pizzicato di Mauro Durante e l’organetto di Massimiliano Morabito. Una registrazione sul campo di Daniele Durante campionata in loop ci introduce a “Lu Giustacofane”, primo singolo estratto che ha anticipato l’uscita del disco, nel quale le voci di Giancarlo Paglialunga e Emanuele Licci danno vita ad un anthem dal ritornello ad uncino che promette di essere uno dei brani di punta dei prossimi concerti. Se “Con Le Mie Mani”, scritta con Steve Skinner, colpisce per la fascinosa costruzione strumentale e vocale in cui spicca il violoncello di Marco Decimo, “Tienime” è un canto d’amore tutto giocato sull’arpeggio della chitarra di Emanuele Licci e la voce di Alessia Tondo che ha firmato il testo. L’incontro tra il piano di Rasmus Bille Bähncke, il synth bass e gli strumenti tradizionali sono gli ingredienti principale del crescendo di “Moi” in cui le voci di Giancarlo Paglialunga, Emanuele Licci e Alessia Tondo guidano il suggestivo ritornello. “Pizzica De Sira”, l’unico brano tradizionale del disco, è una travolgente pizzica pizzica registrata in presa diretta con l’armonica di Giulio Bianco sugli scudi, ci introduce alla seconda parte dell’album nella quale a brillare subito è “Aiora” nella quale giganteggiano il violoncello di Marco Decimo e la chitarra di Justin Adams, mentre la voce di Alessia Tondo riflette sul destino. Non manca anche in questo disco la presenza di Piers Faccini che officia con Mauro Durante l’intreccio tra dialetto salentino ed inglese di “Subra Sutta”, mentre “La Ballata degli Specchi” vede la voce di Emanuele Licci protagonista di un viaggio interiore, quasi psichedelico nel quale si intrecciano voci e colori sonori che evocano una tarantella post-moderna. Il vertice del disco arriva, però, con “Sempre Cu Mie”, una canzone d’amore senza tempo il cui arrangiamento vede chitarra, violino, clarinetto ed organetto fare da perfetta cornice per le voci di Giancarlo Paglialunga e Alessia Tondo. Le croccanti sperimentazioni sonore di “Intra La Danza” chiudono un album pregevole che di diritto entra tra i lavori più belli di sempre della scena world italiana. 


Salvatore Esposito

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