Lula Pena – Archivo Pittoresco (Crammed Discs/Materiali Sonori, 2017)

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Da quando l’ho vista in scena alla fiera-festival marsigliese Babel Med nel 2014, solitaria sul palco, voce profonda e intima, accompagnata dalla sua fedele chitarra, che suona più che bene con stile molto personale, Lula Pena mi ha emozionato per la sua sensibilità mesmerica. Cantante, autrice, interprete e poetessa lisboeta cosmopolita (classe 1974), dopo un esordio lontano nel tempo (“Phados”, 1998), si è imposta al pubblico con il disco “Troubadour” (2010). È entrata nel circuito world dalla porta principale, con uno showcase al Womex, con la partecipazione alla già citata fiera focese, con il palco del Womad nel 2016 e nello stesso anno è approdata anche da noi al Premio Tenco. Ha aperto artisticamente il 2017 nel blasonato cartellone del festival glaswegian Celtic Connections. Il suo nuovo album “Archivo Pittoresco” è pubblicato dalla Crammed Discs, label di punta settore delle musiche del mondo. Dici Portogallo e immagini subito il fado: niente di più inesatto nel caso di quest’artista che poco ha che fare con le nuove dive del canto urbano lusitano. Lula Pena spiega il senso del suo nuovo lavoro nel suo sito web: «Archivo Pittoresco si riferisce a molte cose, la più importante è il "processo" della creazione - si basa sul movimento di pittori del XIX secolo che hanno deciso di lasciare i loro atelier e di esplorare paesaggi organici, rovine, viste asimmetriche - volevo esplorare allo stesso modo nella musica, vagando tra i diversi linguaggi». La genuinità del suo canto pacato con voce a tratti sussurrata, il timbro nasale, l’andamento bluesy che talora domina le composizioni, gli arpeggi cristallini sulla chitarra, il tocco percussivo, il gioco degli armonici, i motivi cangianti e imprevedibili delle sue composizioni: un’esperienza percettiva che fa da tutt’uno con la poetica profonda dell’artista portoghese. Se il fado è l’elemento estetico ed esistenziale da cui è partita, le sue produzioni, in realtà, tracciano mappe sonore sempre diverse, talvolta imprevedibili. In “Affresco pittoresco” Lula naviga nel Mediterraneo e oltreoceano, tra Africa e Sud America. 
Sfiora, a modo suo, la chanson francese nell’iniziale “Poema/Poème”, che fonde con la poesia del surrealista belga Louis Scutenaire.  In “Cantiga de amigo” si rifà all’antica poesia trobadorica d’amore gallego-portoghese; tocchi flamenco illuminano la bella “Ojos, si quereis vivir”, brano dal sapore sefardita, che ha almeno più o meno quattro secoli di storia. Riluce anche la messicana “Las penas”. Si sposta in Grecia con “Pes mou mia lexi”, scritta dal celebre Manos Hadjidaki, entrata nel repertorio della cantante dopo l’aggravarsi della crisi economica greca, come a dire: “Siamo tutti Greci”. Giungendo all’altro versante del Piccolo Mare, la composizione sfocia in “Adiosa”, che non è altro che il classico canto sardo “No potho reposare”. Invece, “Pesadelo da história”, che si muove tra bossa e morna, è basato su un testo del poeta brasiliano contemporaneo Ronaldo Augusto, il quale si interroga sull’eredità culturale afro-brasiliana. Ancora di un autore carioca sono “Rose”, firmata da Ederaldo Gentil, e “Breviário”, tratta da una poesia della saggista Jerusa Pires Ferreira. Sempre da una lirica, questa volta portoghese, deriva “Deus è grande”. Morbida ed elegante procede “O ouro e a madeira”, mentre non è sorprendente incontrare la rilettura di “Ausencia” dell’immensa autrice cilena Violeta Parra. Infine, c’è “Come Wander With Me”, il tema della serie “The Twilight Zone”, invito a vagare tra i multicolori e ispirati mondi poetici della songwriter portoghese. 


Ciro De Rosa

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