Canio Loguercio e Alessandro D’Alessandro – Canti, Ballate e Ipocondrie d’Ammore (Squilibri, 2017)

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Ipocondrie d’ammore tra Foggia e la luna

Canio Loguercio, Alessandro D’Alessandro, una chitarra, un organetto e qualche strategico giocattolo a molla da due anni sono in giro per l’Italia con un geniale spettacolo di Teatro Canzone: “Tragico Ammore”. Testo essenziale e in continua evoluzione, viaggio reale e letterario “tra Foggia e la luna” e poi canzoni d’amore avariato, sfortunato, ammaccato, rigettato. Il tutto sussurrato in napoletano. E dal loro spostarsi “senza navigatore” è nato “Canti, ballate e ipocondrie d’ammore”: un libro, edito da Squilibri, che raccoglie le testimonianze di molti amici poeti e scrittori e che in allegato ha un cd. Così le canzoni vivono una seconda vita e raccontano il percorso musicale di questa coppia formidabile. Con loro un parterre di ospiti d’eccezione: Rocco De Rosa – autore di vari brani con Canio –  Giuseppe “Spedino” Moffa, Stefano Saletti, Cristiano Califano, Erica Boschiero, Gabriele Gagliarini, Giuliana De Donno, Pino Pecorelli, Luca De Carlo. E ancora Nando Citarella, Maria Pia De Vito, Peppe Servillo, Antonella Costanzo, Rocco Papaleo, Lello Voce. E c’è anche un dvd che raccoglie i video che Canio ha realizzato con l’artista Antonello Matarazzo. Abbiamo tentato di ripercorrere con loro la strada condivisa.  

Raccontatemi del vostro incontro.
Alessandro - Ci siamo conosciuti a una serata del Manifesto, nel 2008: io facevo parte della Piccola Orchestra della Viola, ora Orchestra Bottoni. Eravamo pivelli e suonammo all’una di notte, ma i big aprirono la serata e io ero lì ad ascoltarli. C’erano Canio, Rocco De Rosa, Maria Pia De Vito… Poi sono andato a vedere i suoi spettacoli e un giorno mi chiese di registrare “La giaculatoria dell’amore indifferente” per il disco “Passioni”. Nel 2010 mi ha poi proposto di suonare in “Amaro ammore”, happening del Festival Rifrazioni di Nettuno. Che emozione suonare con Canio, Rocco, Maria Pia, Michele Rabbia… 

Poi c’è stato il disco di Canio con Rocco De Rosa, “Amaro ammore.”
Alessandro -  Lì ho suonato in due pezzi. E da lì Canio ed io abbiamo pensato allo spettacolo in duo. “Tragico ammore” ha debuttato al Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma nell’ottobre 2013. 

Come è nato?
Canio - Fu un’idea di Alessandro e a me piacque. Siamo stati tre quattro giorni a provare a casa sua, a Coreno Ausonio e da lì abbiamo cominciato.
Alessandro - E Canio scrisse anche il testo per lo spettacolo.

Parliamone. 
Canio -  È un testo elastico, largo, variabile: una storia che ha vari inizi e non ha una fine; l’ho scritta con l’idea di andare in giro in duo e poi piano piano si è evoluta, è cambiata e qualche volta torna pure indietro.  

Le tue sono storie che vanno “da Foggia alla luna” e sembrano quasi un voler parlar del “fuori” per non affrontare il “dentro” espresso nelle canzoni.
Canio - Questa è una lettura importante, ma solo una delle tante possibili. In realtà io più che raccontare storie cerco vie di fuga: ogni spettacolo è una seduta psicanalitica che faccio con me stesso, immaginando di parlare da solo; hai presente i vecchietti che per strada parlano da soli? Ecco un po’ così! A me piace il gioco spiazzante del dire “sono qui ma sono altrove, sto cantando però forse non è una cosa importante” e su questo coinvolgo il pubblico, andando avanti per piccoli incidenti, senza una particolare logica. Come nelle canzoni, che tutto hanno tranne una logica: o ti arrivano oppure no.  

Però i tuoi sono concept album. 
Canio - Sì e questa è la cosa che più mi intriga. Nella canzone c’è un primo step che non è la comprensione di quello che viene detto: o ti arriva o no; poi si comincia a scavare e mi piace che in ogni passaggio vi sia la possibilità di approfondire. È esercizio il mio, non è filosofia!

È interessante l’uso che fai della voce sussurrata e del dialetto, che usi quasi come strumento musicale. 
Canio - Fin da ragazzo, suonando, ero intrigato dalla parte sperimentale. Come il piccolo chimico mi sono messo a fare le mie cose a casa; anche quando ho fatto radio sperimentavo sulla voce, utilizzando piccoli strumenti elettronici e giocattoli; con Alessandro mi sono lasciato trasportare in una dimensione più classica, però a me piace contraffare.

A proposito, mi spieghi il perché dei santini - con i testi delle canzoni a mo’ di preghiera - distribuiti nei tuoi concerti, ma anche di altri oggetti ricorrenti, come liquirizie o cerini? 
Canio - e uova sode!

Uova sode?
Canio - Sì. Consegnavo un uovo sodo con la scritta “Indifferentemente”; c’è gente che lo conserva!
Alessandro - Marcio?
Canio - Diventa marcio solo se piglia aria, sennò può essere eterno. L’idea è quella di una condivisione col pubblico di una dimensione “sacra”: io faccio il cerimoniere di una cosa che sta avvenendo e riguarda tutti, ma è anche molto intima; la preghiera forse è l’unica cosa che è al contempo intima e plurale: il santino con “Voce ‘e notte” – una delle più belle preghiere d’amore mai scritte – serve a questo, per cantare assieme. Cerco di mettere in connessione le intimità di tutti i presenti.  Nel concerto del 17 febbraio all’Art di Napoli distribuiremo un dolcetto che si chiamerà “Ipocondria d’ammore”.

Cos’è mai questa ipocondria?
Canio - La paura dell’amore: dell’innamoramento oppure della morte dell’amore.

Perché hai questa ossessione per gli amori “avariati”? 
Canio - Non è mia: è meridionale, una cosa atavica del sud. 

Sicuramente, ma questo far parlare le viscere e l’angoscia che rumina dentro è una cosa tua.  
Canio - Ed è questo un po’ il problema! (ride)
Alessandro - Mi piace molto questo suo parlare terreno, così diverso da quello leccato di tante belle canzoni che ascoltiamo nella fase esaltante dell’amore… ma poi quella fase finisce…  

E poi c’è la paura che ti impedisce anche di farla iniziare una cosa.
Canio - Quella è l’ipocondria: la paura che qualcosa muoia e allora non la fai nascere, quel senso di inadeguatezza rispetto alla vita perché poi tutto finisce. 

Ma è una cosa che vedi attorno a te o che hai dentro?
Canio - La cosa che ho dentro io è quella del tempo: l’amore per me è una metafora del tempo che passa: la vecchiaia la morte, siamo lì, allegria! 

Canzoni “d’ammore” viscerali quindi; per questo richiedono la tua vocalità sussurrata e il tuo linguaggio particolare?  
Canio - Le mie parole vengono moltiplicate dalla musica: lavoro con musicisti che apprezzo tantissimo perché danno poca importanza alle parole; con Rocco De Rosa ho fatto vari dischi ma credo che conosca poco le parole delle mie canzoni e questo mi piace; vale anche per Alessandro: ognuno porta il suo contributo, ponendosi al servizio dell’altro; sono due poetiche diverse che restano tali e si sposano insieme. Io non sono il cantautore che ha il chitarrista che “lo accompagna”: io sono Canio che incontra Rocco o Alessandro e loro nelle mie canzoni mettono quella nota che è la loro e non di altri. Per questo mi piace lavorare con loro.

Alessandro, tu consideri quello con Canio un sodalizio umano, artistico, o entrambe le cose? 
Alessandro - Collaboro con tanti artisti e ne sono molto contento ma sono due i progetti in cui mi riconosco totalmente: l’Orchestra - perché là sono nato come musicista e se faccio questo mestiere è perché esiste l’Orchestra -  e questo con Canio. 
La sintonia con lui è prima di tutto umana, perché siamo arrivati fin qui dopo tanti chilometri in giro per l’Italia da soli; adesso che spesso siamo di più ho un po’ nostalgia dei nostri viaggi in due. Dal punto di vista artistico mi riconosco nelle sue cose, perché quello che ha detto Canio delle sue canzoni è un po’ quello che succede a me con l’organetto: io non seguo alla lettera il suo canone, non ho approfondito il suo repertorio classico, io faccio altre cose. E lavorare con Canio in modo così particolare e essenziale mi ha dato l’opportunità di sperimentare. Per esempio avevo già una loop station da anni ma con lui ho cominciato ad usarla in un certo modo, visto che i brani di Canio, prima di diventare pezzi per un duo, erano orchestrati in studio spesso con l’utilizzo dell’elettronica. Alla fine qualcuno dice che in questi concerti suono più coi piedi che con le mani (ride) ma prendetelo con le pinze eh! 

E alla fine avete preso queste canzoni e avete messo in piedi un libro + dvd + cd dove hanno suonato fior fior di musicisti. Come è andata? 
Canio - Questo album si doveva fare in 15 giorni. Andando in giro a suonare non avevamo mai nulla da vendere; abbiamo pensato perciò di fare un disco. Un’idea semplice che poi si è complicata: lo studio, i musicisti che chiamavamo per suonare una cosa o perché occorreva una chitarra migliore della mia… insomma alla fine ci abbiamo messo tempo e ne è uscito un prodotto articolato. Però attenzione: non è un disco corale (Alessandro annuisce); abbiamo chiamato tanti amici ma è totalmente nostro. Mantiene gli arrangiamenti che facciamo in duo. La produzione musicale – fatta sostanzialmente da Alessandro – è servita a controllare gli altri in modo da mantenere i nostri suoni.  

È un disco semplice. 
Alessandro - Ed è stato registrato da Paolo Modugno, mago dei suoni e degli strumenti acustici. Ci abbiamo messo tempo anche perché sono nate nuove canzoni. C’è stato tanto lavoro in fase di missaggio, ma quella di registrazione è stata agile. I pezzi più corali sono proprio quelli nuovi: “Quasi fosse amore” e la “Ballata dell’ipocondria”; anzi quest’ultima c’è due volte: in apertura la versione che mantiene l’identità acustica del disco e in chiusura quella elettrica, come l’ha pensata Canio dall’inizio. Tra l’altro sono i soli due pezzi dove c’è anche il contrabbasso. 

Alessandro, musicalmente sei soddisfatto?
Alessandro - All’ottanta per cento sì: nella fase di postproduzione, nei missaggi, sono state limate e semplificate tante cose, penso alle parti dei musicisti, che hanno contribuito soprattutto per le corde.  
Canio - Gli altri hanno dato un apporto fondamentale ma ci sono cose che riescono in un certo modo solo tra noi due. 

Però ci sono delle soluzioni particolari: per esempio in "Cumpà", “Spedino” Moffa suona la zampogna e a sorpresa ne esce un pezzo quasi rock! 
Alessandro - Sembra Sting, ma questo succede perché Spedino usa la zampogna come io uso l’organetto, in modo non convenzionale. Alla fine dei concerti spesso vengo avvicinato da persone che mi dicono: “Bella la tua fisarmonica!”, un po’ perché non si conosce bene lo strumento, un po’ perché per la gente l’organetto fa un certo tipo di musica e basta. Almeno qua in Italia, perché in Francia o in Belgio gli organettisti suonano ovunque. Una cosa che posso dire è che la particolarità dei dischi di Canio con Rocco è il non fare mai uscire i generi delle canzoni, che restano sempre solo accennati. Io invece in questo disco un po’ ho dichiarato il genere dei brani restando nella traccia. 
Canio - Perché nessuna canzone mia è di genere malgrado ne abbia il profumo e questo è un po’ il gioco e un po’ la difficoltà: nulla è lì a caso e tutto è - se posso dire - elegante e contenuto.

Perché il libro?
Canio - Per caso: non c’è un mondo discografico attento alle produzioni indipendenti e ognuno si arrangia come può. Io ho la fortuna di conoscere Mimmo Ferraro di Squilibri con cui ho fatto “Miserere” qualche anno fa; ho visto che aveva iniziato una nuova collana e mi sono proposto. Lui mi ha detto: “Io faccio libri e non dischi”, ma con tutti i poeti e gli scrittori che ho coinvolto nelle mie cose non c’era problema a farne uno, così è uscito fuori questo oggetto e mi sono divertito. 

E il video? 
Canio - È nato insieme con “La ballata dell’ipocondria” e ha una sua forza autonoma; Antonello Matarazzo non fa videoclip: è un videoartista che muove poco la macchina; le sue sono quasi tutte immagini fisse elaborate poi al computer; i videoclip si fanno con la macchina in movimento, tutto montaggio a ritmo e sono al servizio della canzone. Antonello fa il contrario. Una volta ha avuto anche il coraggio di tagliare la canzone perché aveva visto che in quel punto non funzionava! Comunque questa mi è sembrata l’occasione giusta per pubblicare tutto il bel lavoro fatto insieme in un dvd. 

Avete in cantiere qualche progetto particolare?
Alessandro - Quello di allargare la band a seconda delle situazioni. Mi auguro che i progetti di Teatro Canzone vadano avanti.
Canio - Sì ma resta tutto variabile: lui tenta giustamente di schematizzare ma per me le cose che facciamo oggi domani possono diventare altro. 

Elisabetta Malantrucco


Canio Loguercio e Alessandro D’Alessandro – Canti, Ballate e Ipocondrie d’Ammore (Squilibri, 2017)
Volendo cercare il fondamento dei sentieri poetici di “Canti, Ballate e Ipocondrie d’Ammore” – magnifico, elegante libricino multimediale di suoni, video-narrazioni, scatti  e scritti d’autore (di rinomati ‘compresenti’ d’ammore), prodotto dal lucano-partenopeo Canio Loguercio e del suo pard organettista del Basso Lazio Alessandro D’Alessandro (già noto come leader e direttore dell’Orchestra Bottoni) – più che scavare nella creativa scena musicale napoletana della seconda metà degli anni Ottanta del secolo scorso, vale la pena rivolgersi alle parole dei poeti-amici di sempre Gabriele Frasca e Tommaso Ottonieri. In quelle frequentazioni e condivisioni, abita l’anima compositiva del musicista-architetto-performer, che ritroviamo nel suo napoletano promiscuo e reinventato: idioma di corpo e cuore, carne e passione, turbamento e amore (anzi con due “m”); lingua cantata, sussurrata, recitar-cantando sommesso, spoken music in forma di giaculatorie, litanie, lamenti e serenate scabre, ironiche e surreali che mescolano i registri, pescando nei canoni dell’arte classica canora napoletana e, alimentandosi nell’oralità, scavano nel pozzo delle formule popolari, tra pulsioni funk e in levare, tra blues, ruvidezze, slanci manouche, solenni aperture di zampogna. Lello Voce (altro recente protagonista con Frank Nemola del bel libro-disco di poesia “Il fiore inverso”, sempre edito da Squilibri) ha scritto che quella di Canio non è «“lingua madre”, quanto piuttosto “lingua amante”: una lingua scelta, eletta, amata, posseduta, ma anche vista da fuori, studiata, limata, rifiutata, sbeffeggiata, raffinata, distillata e infine ricreata (“Il fatto quotidiano/Blog”, 26/12/2013). Il disco raccoglie canzoni in parte già nel repertorio di Loguercio, in parte nuove, come “Ballata dell’ipocondria o del vibrione innamorato”, che apre in acustico il disco e lo chiude in una versione elettrica (trionfo finale con le voci e le incursioni vocali di Maria Pia De Vito, Antonella Costanzo, Peppe Servillo, Rocco Papaleo, Francesco Forlani, il tammorra-munito Nando Citarella e le tastiere del fido compare di sempre, il conterraneo Rocco De Rosa) e “Quasi fosse amore” (in duo con Erica Boschiero), una delle due composizioni, (l’altra è “Quello che rimane”, che però ha degli incisi in napoletano), cantate in italiano. Il progetto si è sviluppato in almeno due anni di concerti acustici, nei quali la coppia Loguercio-D’Alessandro ha riarticolato il repertorio di “Indifferentemente”, Amaro ammore” (firmato con il pianista De Rosa) e ”Canzoni sussurrate”, ripensandolo e riscrivendolo per duo, con l’apporto di artisti-amici pensati proprio per completare l’essenza sonora dei brani. La maestria dell’organetto diatonico fa il resto, con i suoi sapienti innesti. D’Alessandro è il partner ideale, da organettista non canonico, non vincolato alla tradizione popolare dei mantici, è esponente innovativo dell’organetto tra i più apprezzati in Italia (suona un Castagnari 18 bassi, 3 file a due voci), sperimentatore con i loops e gli effetti come wah, chorus, octaver, l’uso percussivo dello strumento, il dialogo con le chitarre di Cristiano Califano e Giuseppe Spedino Moffa (quest’ultimo anche alla zampogna modificata), la tromba di De Carlo, il contrabbasso di Pino Pecorelli, il cavaquinho di Stefano Saletti , l’arpa di Giuliana De Donno in “T’aspetto cca’”, le percussioni di Gabriele Galiarini e Paolo Modugno (che del disco è anche il fonico). L’organetto entra, s’incunea nel timbro pastoso e roco del musicista di Campomaggiore, apre squarci, dà respiro alle trame melodiche, percorre vie nuove, gioca con ritmi e geografie sonore (“Sona campana” ne è un fulgido esempio), incrocia il tango (“Amaro Ammore”), si libra tra gli umori popolari in “Giaculatoria dell’amore indifferente”. Quartetto minimale di voce, chitarra, organetto e cajon in “Ferrarella”, ancora su registri sussurrati si muove “Tragico Ammore”, mentre “Friariella” è storia di un amore abbandonato raccontata dal punto di vista maschile per voce, chitarra, organetto e loops. Un altro dei capolavori del disco è la memorabile “Cumpa’”, dal piglio quasi rock con protagonista la zampogna di Spedino Moffa. Si cambia tono nella delicata “Uva spina”, per passare, poi, agli incroci di cordofoni e organetto in “E ‘mo” e alla dichiarazione d’intenti cantata cu nu fil ‘e voce e soffi di mantice di “Quello che rimane”. Ma “Canti, Ballate e Ipocondrie d’Ammore” non finisce con la felice ‘baraonda’ canora che anima a bonus track, perché continua con il DVD – vero e proprio valore aggiunto – che raccoglie “Apocondrie digitali”, sei video-ballate che fondono iperrealismo e visionarietà di Antonello Matarazzo, già compagno d’avventura di  “Miserere”, come ad estendere la  narrazione delle canzoni di Canio.


Ciro De Rosa

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