Interiors – Plugged (Brutture Moderne/Audioglobe, 2016)

Nato dall’incontro tra Valerio Corzani (voce, basso elettrico, cutup elettronico e app per lpad e Iphone) ed Erica Scherl (violino, tastiera, effetti e looper), il progetto Interiors è senza dubbio una delle realtà più interessanti della scena musicale italiana, tanto per la ricerca musicale e la sperimentazione, quanto per i loro straordinari live act. A due anni di distanza dal debutto “Liquid”, li ritroviamo con “Plugged”, disco registrato e masterizzato da Roberto Passuti allo Spectrum Studio di Bologna, nel quale hanno raccolto quattordici brani che mescolano psichedelia, dub, folktronica, funk, nujazz, e ambient, svelandoci un itinerario sonoro onirico ed evocativo nel quale si scoprono connessioni ed interconnessioni tra mondi lontani, tra presente, passato e futuro. Frutto di un lungo rodaggio dal vivo e di una intensa fase di preproduzione, i brani racchiudono melodie dense di suggestioni e sussulti ritmici irresistibili in un intreccio sorprendente di corde, suoni di legno, loop e percussioni sintetiche, il tutto impreziosito dalla partecipazione di alcuni ospiti come le voci di Serena Fortebraccio, Boris Savoldelli, Barbara Eramo, oltre alle chitarre di Massi Amadori e Mauro Campobasso e alla tromba di Giorgio Li Calzi.  Abbiamo intervistato Valerio Corzani ed Erica Scherl per farci raccontare la genesi e le ispirazioni di questo nuovo album.

Partiamo da lontano come nasce il progetto Interiors?
Valerio - Nasce dalla sintonia tra noi due. Una sintonia musicale ed umana, già sperimentata in altri contesti sonori e confluita in questo progetto nel quale ci siamo sentiti subito a nostro agio, liberi di sperimentare e di attraversare sia le autostrade che i vicoli bui.

Come si è evoluta la vostra ricerca sonora in questi anni?
Erica - Certamente in direzione di una maggior complessità e varietà nella ricerca, soprattutto per quanto riguarda la stratificazione timbrica. Nonostante questo abbiamo mantenuto il desiderio di una musica avvolgente, che accarezzi il cuore e la pancia, pure nella sofisticatezza. Abbiamo approfondito la ricerca di quel sottile "disturbante" che mantenga sempre l'ascoltatore attento a ciò che può accadere nel quadro musicale.

Il vostro nuovo album “Plugged” ha preso vita da un lungo lavoro in parte nato sul palco e in parte frutto di una lunga preproduzione in studio. Ci potete raccontare la genesi di questo lavoro?
Valerio - La preproduzione 2.0 è davvero un’occasione da cavalcare, nel senso che ci si può permettere, se si è scelto di muoversi in un contesto che si affida prepotentemente all’elettronica, di farlo comodamente a casa propria, in viaggio, nelle camere d’hotel…
oggi è davvero possibile portarsi un’orchestra sottobraccio (utilizzando un software nel proprio laptop) e questa è una delle poche note positive di quest’epoca che per il resto ha disintegrato il music-business e tolto molte risorse ai musicisti…la nostra preproduzione ha seguito questa tattica…mettere già in bella copia tutto quello che poteva essere lavorato e lasciare alla registrazione in studio solo la parte analogica del nostro sound… 

Come si è indirizzato il lavoro in fase di scrittura e di arrangiamento dei brani?
Erica - Alcuni brani di "Plugged" sono nati in modo molto spontaneo, da un'idea musicale di base attorno a cui si sono aggregate le altre, altri da un lungo lavoro preventivo di cutup e assemblamento di stimoli sonori affascinanti. Da un'idea che funge da seme, sgorgano varie proposte, in stratificazioni successive, fino a raggiungere l'equilibrio più appagante. In ogni caso tutti i brani mantengono una struttura semiaperta, con alcune idee portanti, degli appuntamenti da rispettare, ma una certa libertà nel percorso, cosa di cui approfittiamo soprattutto nei concerti live.

Al disco hanno collaborato diversi ospiti come le voci di Boris Savoldelli, Serena Fortebraccio e Barbara Erano e alcuni eccellenti strumentisti come Giorgio Li Calzi alla tromba, Mauro Campobasso e Massi Amadori alle chitarre. Quanto è stato importante il loro contributo?
Erica - Il loro contributo è stato fonte di grandissima gioia per noi. Con tutti loro abbiamo cementato in questo modo una sintonia musicale e umana che aveva avuto modo di esprimersi già dal vivo, in vari concerti in cui hanno avuto modo di divertirsi su alcuni dei nostri brani. In Plugged abbiamo voluto dare loro la stessa libertà, certi che il loro contributo sarebbe stato assolutamente valorizzante, come infatti è stato. Con Serena Fortebraccio, ospite in diversi brani (Disaffection, Pulsing Smoke, Barricades) abbiamo calcato già molte scene, con il concerto "Terra madre/Terra matrigna", quindi lei è una delle più frequenti protagoniste del nostro allargamento da duo a trio, ma anche con Boris Savoldelli abbiamo un progetto dedicato ai poeti futuristi. Mauro Campobasso, Barbara Eramo, Giorgio Li Calzi e Massi Amadori sono stati ospiti più saltuari (anche se con Massi avevamo condiviso molte altre avventure musicali: Mazapegul e Gli Ex in primis..), ma ciascuno di loro ha saputo arricchire il brano che lo ospita con uno stile allo stesso tempo molto personale e perfettamente sintonizzato con noi.

Quali sono sono state le principali ispirazioni alla base di questi nuovi brani?
Valerio - La nostra forbice d’influenze è sempre stata molto larga. E’ anche da questa curiosità bulimica che nasce il nostro sound…
certamente un ruolo importante (anche se non sempre evidente) l’hanno avuto i folk del mondo e le loro mille contaminazioni: se vai a sviscerare i tasselli del nostro suono trovi certamente riferimenti al dub giamaicano, alla musica indiana, alle melopee arabe, al flamenco ispanico, a certe atmosfere scandinave…solo che non le troverai mai messe lì come citazione esplicita, sono sempre assemblate a qualcos’altro - una citazione ambient, un verso rap, una stratificazione d’archi cameristica –e in questo modo diventano altro…

Più in particolare come nascono i brani degli Interiors?
Erica - Di solito c'è un'idea che può essere ritmica o melodica, un frammento, un cutup, su questo io e Valerio aggiungiamo una linea di basso, un'idea melodica, a volte nasce un testo che può sposarsi con le idee musicali che si stanno aggregando, a volte c'è un testo che non ha ancora trovato casa, e che poi riconosciamo essere adatto per un brano solo musicale. Non abbiamo un metodo comune, ogni brano nasce in modo diverso. Molto presto portiamo i brani nei concerti, anche se sono ancora in divenire, perché amiamo vedere come ci risuonano dal vivo, prima di far raggiungere loro una forma definitiva. Magari le cose che sembrano funzionare in una dimensione più intima e creativa non mantengono la stessa intensità nel contatto con il pubblico, quindi poi li rielaboriamo finché non troviamo il giusto equilibrio.

Tra i brani più suggestivi ed evocativi del disco c’è l’onirica “Hippysm” che apre il disco. Come è nato questo brano?
Erica - Questo brano è nato da un bellissimo giro di basso di Valerio, su cui abbiamo innestato le mie stratificazioni melodiche, alternate alle app utilizzate da Valerio e a brontolii elettronici piuttosto perturbanti.

“Fabrique” nasce dalla collaborazione con il pittore Alessandro Casetti. Quanto è importante per voi l’interazione con altre forme di arte?
Valerio - “Fabrique” in effetti è un brano su commissione. Alessandro Casetti, pittore e scultore, artista materico, nonché cantante di un gruppo che ho formato qualche anno e con cui ho registrato due album (Gli Ex) mi ha chiesto di comporre un brano per un video che illustrava il suo lavoro. Alessandro aveva specificato anche la durata del brano e la parabola di atmosfere che doveva disegnare. Fabrique è una piccola operina confezionata tramite un forsennato cutup, al cui mood certo ha contribuito anche il tono dei quadri di Alessandro. Quello con Casetti è solo uno dei tanti esperimenti che abbiamo fatto con altre forme d’arte….i video non mancano mai nei nostri concerti e le immagini di Derek Jarman o quelle del regista francese Jean Arthus-Bertrand fanno parte stabile della scenografia fluttuante del nostro palco. Anche per quel che riguarda i videoclip siamo molto interessati a cercare una “calligrafia” riconoscibile…del primo album abbiamo praticamente realizzato un clip di ogni brano (i videomaker coinvolti rispondevano ai nomi di Fabio Fiandrini, Roberto Angioni, Roberto Carena, Luca Marchese), di Plugged sta uscendo il primo clip. Abbiamo coinvolto due artiste di Jesi (la regista Federica Biondi e la sceneggiatrice e fotografa Francesca Tilio) e loro a loro volta hanno tirato dentro l’attrice e coreografa italo-inglese Helen Cerina…il brano su cui hanno lavorato è “Disaffection” e queste tre abilissime donzelle ne hanno tirato fuori un racconto visionario e claustrofobico, patinato ed inquietante…  

“Cloudspotting” è stata costruita partendo dai suoni di una app inventata da Brian Eno. Quanto è importante per le alchimie sonore degli Interiors il confronto con il mondo della tecnologia e dell’elettronica?
Valerio - L’elettronica è uno strumento prezioso. Occorre saperlo dosare, soprattutto se, come nel nostro caso, si è deciso di far confluire quasi sempre il lavoro sui chip in una tavolozza sonora che sia anche analogica. E’ sempre una questione di equilibrio in questi casi. Prendi appunto Cloudspotting…Questo brano etereo è costruito sul canovaccio di un app inventata da Brian Eno e suonata da me sui mormorii sinuosi del violino di Erica, oltre che su una sorta di carrozza ritmica claudicante che si trascina più che cavalcare.Il brano si risolve tutto, dal punto di vista vocale, in una domanda che abbiamo affidato all’interpretazione di un’amica dall’ugola mesmerica: Barbara Eramo. La richiesta è quella di svelare un indirizzo sulle nuvole, la sensazione è che anche se non riceverà risposta quella ragazza continuerà a praticare il “cloudspotting” anche solo per il piacere di farlo.  

Altro vertice del disco è “Scratch” in cui spicca la voce di Boris Savoldelli. Quali sono le ispirazioni alla base di questo brano?
Valerio - Boris Savoldelli ha una voce funambolica. Abbiamo pensato subito a lui quando si è trattato di affidare a un cantante maschile le parole di questo “graffio” degli Interiors. Il pezzo ha una sua “selvaggeria” regalata dalle melopee e dai gorgoglii di Boris, dal testo molto cattivo e dal riff di chitarra che ne scandisce l’andamento. Ma allo stesso tempo è un brano che ha anche una sua dolcezza romantica affidata a pianoforte e violino e ai loro incastri ricorrenti. 

Il disco presenta anche una versione ridotta di quel gioiellino che è “Soundtrack for a Christmas Tree”. Quanto è stato importante per voi quel progetto?
Valerio - L'idea da cui si è partiti era quella di spazzare via “Jingle Bells”. Convincere più gente possibile a cambiare la musichetta che si mette sotto l'albero di Natale. Lo sappiamo è un'idea folle. Ma se non altro volevamo provare a incrinare il dominio di tante melodie moleste, logorate dall'esposizione efferata, affrancandoci dalle gioiose tiritere che ci ammorbano nel periodo invernale. Ne è venuto fuori questo "Soundtrack for a Christmas Tree", un trip sonoro di quasi venti minuti (nell’album in versione redux, di “soli” sei minuti e trenta) con qualche sfrigolio da carillon natalizio e molta della psichedelia elettroacustica che ci piace attraversare da sempre. 
In questo lungo soundtrack strumentale ci sono violini elettrici pizzicati, effettati, sfregiati e messi in loop, ci sono bassi profondi e bassi noise, ci sono bicchieri suonati con l'iPhone e voci paradisiache (o più probabilmente purgatoriali), ci sono "palmas" flamenche trasformate in carri cigolanti e ci sono carri cigolanti trasformati in beat strascicati. Non sappiamo quanti abbiano seguito il nostro invito e piazzato sotto l’albero la nostra musichetta al posto di quelle usurate cui siamo abituati da anni. Ma siamo certi che qualcuno l’ha fatto e molti sono ancora in tempo a farlo anche in questo Natale…

Come saranno i concerti di “Plugged”?
Erica - Imperdibili! A parte le battute, siamo felici di portare in giro Plugged, e come sempre facciamo cercheremo di rendere il concerto un evento multisensoriale, complici anche delle bellissime proiezioni che spesso utilizziamo. Ci piace fare in modo che nel nostro concerto le persone entrino come si entra in un viaggio, e in questo viaggio onirico si lascino trasportare da tutte le suggestioni che vi troveranno, per uscirne appagate, rimescolate e contente.

Salvatore Esposito

Interiors – Plugged (Brutture Moderne/Audioglobe, 2016)
La musica può manifestarsi ai suoi ascoltatori con modalità assai differenti, curiose e talvolta impreviste. “Plugged” il nuovo progetto di “Interiors” aka Valerio Corzani ed Erica Scherl, stupisce per la particolare capacità nel fondere comunicabilità e ricerca con un pizzico d’ironia.  La commistione di suoni trovati, interventi vocali e schegge elettroniche, impreziosite dai puntuali interventi di basso dell’eclettico Corzani e di violino della Scherl, donano una particolare sensualità allo sfaccettato amalgama sonoro sempre permeato da un decisivo, ma non invadente imprinting ritmico. Traspare un chiaro amore tanto per il dub e per certe trame ipnotiche “para- etniche” care in particolare a Can, Czukay e Wobble ( “Pulsing Smoke”, “Barricades”), quanto per “soluzioni oblique” in aroma di Tuxedomoon (“Scratch”).  Il variegato sottotesto diviene qui input, tramite per giungere a “qualcosa d’altro” strettamente personale che sfugge a possibili definizioni. Non serve cercare nomi per spiegare qualcosa che è semplicemente manifestazione di una sincera creatività libera da schematismi, basta solo ascoltare. “Plugged” è un ottimo disco davvero affascinante perché costantemente guidato dalla curiosità e rivolto all’inconsueto…



Marco Calloni

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