La Terza Classe – FolkShake (Ad est dell’equatore, 2016)

Quello che maggiormente colpisce di questo gruppo di giovanotti napoletani è lo spirito, la grinta, ma anche la tecnica con cui riescono a proporre la loro musica, sia in concerto che nel loro “FolkShake”. Il fatto che non vengano da studi filologici, ma dalla “strada” – difatti nascono come buskers e continuano a suonare molto nelle vie delle città – e che solo in un secondo momento abbiano deciso di andare a capire cosa c’era in fondo in fondo alla musica che suonavano, chi ne erano i padri e gli artefici più famosi, non fa che accentuare il loro appeal. «Sono freschi», «Hanno qualcosa dentro», «Hanno cuore», «Sono belle persone e coraggiose», mi dice Jim Lauderdale, songwriter, pluripremiato artista, nome che conta nel mondo country e bluegrass da almeno tre decenni, poco prima di andare in scena con loro. Già, perché le cronache narrano di un viaggio-tour negli States per capire da dove viene tutto quello che suonano e di un van in panne sulla highway 40 nel Tennessee, di un incontro fortuito con un tipo strambo che si ferma a dare una mano, che poi si rivela essere proprio Lauderdale, in rotta, come loro, verso Nashville. Lauderdale li ascolta e li porta con sé al suo show ("Music City Roots", che va in onda live e in streaming), e mettendoci la sua parola spalanca loro le porte del locali e dei festival. Non è una trovata da road movie, ma la buona sorte che d’improvviso si palesa su una strada del vecchio sud: Jim è davvero diventato un loro ammiratore e sostenitore, è con loro sul palco come guest, lì loda con generosità, e quando suonano insieme una canzone di Ralph Stanley, alzi la testa e li ascolti con attenzione. Forse, i ragazzi de La Terza Classe non sapranno tutto della scena old time & bluegrass italiana che fin dagli anni Ottanta del secolo scorso ha formato fior di musicisti, di solisti, non conosceranno tutti i dischi, la storia delle convention e i maestri del campo, eppure la rilettura di classici, la loro verve vocale e strumentale – e perché no? – l’intraprendenza, a tratti, simpaticamente sfacciata, e l’organizzazione promozionale meritano grande rispetto. 
Come band, nascono sul finire del 2012, e con le loro esibizioni diventano in breve protagonisti della scena napoletana della musica di strada. A Pierpaolo Provenzano (voce e chitarra) ed Enrico Catanzariti (rullante e voce, già batterista dei The One’s) si uniscono da subito il contrabbassista Rolando “Gallo” Maraviglia (l’unico con studi di strumento classico alle spalle), Raffaello Nusco (banjo e voce), Biagio Daniele (armonica e voce). Scelgono un nome che rimanda agli emigranti in viaggio per le Americhe con un biglietto di basso ordine, terza classe per l’appunto. «All’inizio, suonavamo cover dei Beatles, di Van Morrison in chiave acustica. In realtà, avevamo gli strumenti bluegrass senza sapere di cosa si trattasse. Poi pian piano, facendo ricerca, abbiamo approfondito la conoscenza con bluegrass, dixieland e folk dei primordi e ballate folk di matrice irlandese», racconta Enrico. Nell’anno che segue, come sempre nelle giovani band, ci sono musicisti che vanno e che vengono. L’ultimo arrivato è Adriano Minichino (tromba e mandolino) sesto elemento in “Folkshake”, ma non più nell’organico da poco tempo per incompatibilità di impegni. Circuitano in lungo e in largo, vanno negli States una prima volta, incidono un disco molto casalingo che serve da biglietto da visita per i loro “tour” stradaioli europei, ma soprattutto provano per mesi e mesi tutti i santi giorni. Poi, siamo nel 2014, arriva un nuovo scorrazzare nell’est degli States da buskers, accompagnati da un amico videomaker, per misurarsi e mettersi alla prova con la «terra promessa musicale». È la volta dell’incontro con il loro mentore Lauderdale (Nello show televisivo al Music City Roots del 20 agosto 2014, Jim Lauderdale racconta l’incontro con La Terza Classe https://www.youtube.com/watch?v=_G-aLv-EEnA), che li porta per la prima volta su un vero palco, partecipano a contest, mietono riscontri nel pubblico americano. 
Di nuovo nella penisola nel 2016 partecipano a “Italia’s got Talent”, il che accresce la loro visibilità, non ne snatura lo spirito arrembante, ma ormai divenuto molto più disciplinato in termini di dinamiche e di equilibrio timbrico. Venendo a “Folkshake” (i credits delle songs non avrebbero guastato: sono sette classici americani e una loro composizione originale), la Terza Classe mette in fila il meglio del proprio repertorio. C’è un suono d’insieme, che esprime grande coralità nelle armonizzazioni vocali, c’è padronanza degli strumenti. Si parte da “Nine Pound hammer” per proseguire con la segeeriana “Lonesome valley”, dove le voci girano a pieno regime; tra swing e blues è “Biagio (Bring it with you when you come)”; di “Wayfaring Stranger” conosciamo mille versioni, ma l’incrocio di corde e voci e l’armonica che fa la parte del leone (dal vivo Biagio in un passaggio omaggia il Pino Daniele di “Je so’ pazzo”) è di grande effetto. Dopo quell’altra classica folk song che è “Worried man blues”, c’è “Paulina”, unico contributo compositivo della band, con la tromba in evidenza, a raccontare l’incontro inatteso in una città americana con un’irresistibile ragazza che si rivela essere una trans. C’è posto per la storia del folk hero “John Henry”, che è nota, ma è sempre cosa buona e giusta ribadirla, facendola circolare tra le nuove generazioni. Tutto si chiude con la corale “May the circle be unbroken”, il popolare inno, che è diventato uno dei cavalli di battaglia de La Terza Classe. Un gruppo che merita considerazione, che in futuro non dovrà fare a meno di un mandolino e di un violino per rafforzare il repertorio (magari con guizzanti fiddle tunes), le combinazioni timbriche, rimiche e armoniche. La Terza Classe è una band di notevole vitalità, che siamo certi abbia le carte in regola per un lungo cammino. Assolutamente, da scoprire. 



Ciro De Rosa

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