Afro-Haitian Experimental Orchestra - Afro-Haitian Experimental Orchestra (Glitterbeat Records, 2016)

La Afro-Haitian Experimental Orchestra nasce nel 2014 da un’idea di Corinne Micaelli, direttrice dell’Istituto Francese di Haiti, di realizzare un concerto nella piazza principale della capitale Port-au-Prince con protagonisti i principali musicisti locali scelti tra le band più rappresentative delle varie correnti musicali del paese. A dirigere l’ensemble fu invitato Tony Allen, storico batterista dell’icona afrobeat Fela Kuti, il quale arrivato sull’isola trovò subito un aiuto prezioso in Erol Josué, cantante, sacerdote voodoo e direttore dell'Istituto haitiano di etnografia, al quale era stato affidato il compito di reclutare i vari strumentisti i quali avevano già avuto modo di provare nei giorni precedenti al concerto, coordinati da Sanba Zao, membro dei Racine Mapou de Azor. Ad arricchire l’orchestra si aggiunsero anche il chitarrista scozzese Mark Mullholland, il tastierista Olaf Hund e il bassista Jean-Philippe Dary Allen, a cui fu affidata la direzione musicale, e dopo cinque giorni in studio, passati a provare e a scrivere i brani da proporre sul palco, arrivò il momento del concerto che fu trasmesso anche in diretta tv. Purtroppo, quell’evento unico nonostante l’alta qualità dell’esibizione, fu disturbato dal lancio di un fumogeno, che compromise anche la registrazione dalla quale sarebbe stato pubblicato un album live. Tuttavia non tutto di quell’esperienza è andato perduto, in quanto durante le sessions in studio erano state salvate alcune registrazioni che rimodellate, a distanza di due anni, consentono di far tornare alla luce e cristallizzare su disco questo particolare progetto artistico, nel quale ha creduto la lungimirante Glitterbeat Records. Sebbene la registrazione qualitativamente non renda piena giustizia a questo straordinario incontro tra i suoni di Haiti, Mali, Afrobeat con l’elettronica inglese e francese, questo disco è un concentrato di energia funky tutto da ascoltare tra frenetici ritmi afro-caraibici e groove potenti, nel quale gioca un ruolo centrale l’improvvisazione. Spaziando dai brani del repertorio tradizionale a quelli del songbook di Zao, il disco ci conduce attraverso diversi spaccati sonori gli incroci tra funky e ritmi caraibici di “Salilento” alla psichedelia dell’ipnotica “Chay La Lou” con chitarre, synth e basso a sostenere al linea melodica, dalla percussiva “Yanvalou” all’afrobeat della straordinaria “Bade Zile”, fino a toccare il vertice del disco con “Poze” un desert rock tutto da ascoltare con la chitarra di Mullholland in gran spolvero. Non manca uno sguardo verso l’hip-hop con “Pa Bat Kòw”, ma un’altra chicca arriva nel finale con la malinconica “Mon Ami Tezin” che chiude il disco con le sue evocazioni mediterranee. Un disco salvato per miracolo, insomma, da ascoltare con attenzione. 


Salvatore Esposito

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