Lakou Mizik – Wa Di Yo (Cumbancha, 2016)

La resilienza del popolo di Haiti (i primi schiavi a buttare in mare padroni e colonizzatori e a rendersi indipendenti: ricordiamocelo sempre!), colpito sei anni fa prima da un disastroso terremoto con epicentro in prossimità della capitale Port-au-Prince, poi da un uragano che si abbatté sulle coste occidentali e ancora da un’epidemia di colera, passa anche per la pratica e il riconoscimento del proprio grande patrimonio musicale dell’isola caraibica. Costituitosi proprio dopo il sisma, l’ensemble intergenerazionale Lakou Mizik mette insieme veterani ultrasessantenni e giovani talenti poco più che ventenni, in un organico che comprende quattro voci, percussioni, chitarre, bassi, fisarmoniche e corni. A mettere su il collettivo (qualcuno lo ha descritto come una sorta di Buena Vista haitiano) è stato il chitarrista e cantante Steeve Valcourt – una vita tra l’isola nativa e Long Island, figlio della leggenda musicale locale del Caribbean Sextet Boulo Valcourt – in sodalizio con il cantante Jonas Attis (altra vita scampata a un terribile naufragio) e Zach Niles, produttore degli States, già protagonista con i Sierra Leone’e Refugee All Stars, e giunto ad Haiti proprio per promuovere la rinascita del Paese attraverso l’arte musicale. Accanto a loro, nel team di produzione ci sono il canadese Chris Velan (chitarra e banjo), già impegnato proprio con i dischi dei Sierra Leone's Refugee All Stars, e il britannico Iestyn Polson (visto e ascoltato con David Gray, Patty Smith e David Bowie). Il resto della band annovera Louis Lesly Marcelin “Sanba Zao” (altra leggendaria personalità musicale isolana), Nadine Remy, Woulele Marcelin, Peterson Joseph “Ti Piti”, James Carrier “Ti Malis” e Belony Beniste. Insomma, quello che con termine locale si chiama un gruppo di mizik rasin (ossia roots music), che in questo potente disco d’esordio riflette il mix di espressioni di cui è ricca la cultura creola haitiana: influenze afro-caraibiche e francofone, poliritmie della ritualità vudu, canto call & response, fiati carnevaleschi, stilemi processionali rara, riff rock e funky. Dopo l’ornitologica intro (“Morning in Jaemel”), si parte alla grande con la fisarmonica che guida “Poze” e “Panama’m Tonbe”: In quest’ultima, proveniente dal repertorio carnevalesco, splende la voce di Nadine Remy. Spingono a fondo “Anba Siklon” e “Zao Pile Te”. Voci e percussioni ci fanno accedere all’espressività vudu in “Bade Zile” (già incisa dagli indimenticabili Boukman Eksperyans) e in “Parenn Legba”. Se “Tanbou’n Frape” è una bella ballata in stile folk ‘twoubadou’ (vale a dire troubadour), “Pran Ka Mwen” è impreziosita dai fiati e da suadenti voci femminili. È ancora tempo di Carnevale con “Is Fa Ti Bo”, mentre la morbida title-track conclude l’album con una netta dichiarazione d’intenti: infatti, il titolo in creolo significa “Siamo ancora qui”. 


Ciro De Rosa

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