Il rapporto con Napoli è uno dei sentieri più affascinanti da percorrere nella complessa vicenda artistica di Fabrizio De André, non solo per la perla “Don Raffaè”, scritta insieme a Massimo Bubola e Mauro Pagani, ma anche per i tanti riverberi, suggestioni ed evocazioni della cultura partenopea nelle sue canzoni. Illuminante in questo senso fu qualche anno fa il saggio di Federico Vacalebre “De Andrè e Napoli - Storia d'amore e d’anarchia” (Sperling & Kupfler, 2002), che coglieva perfettamente questa particolare osmosi ispirativa. L’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli e il Club Tenco, con il sostegno della Fondazione De André, hanno promosso lo scorso 14 e 15 settembre una interessante live and recording session, che ha visto protagonisti in concerto alcune delle voci della scena cantautorale partenopea impegnate a rileggere in napoletano “Creuzâ de mä” a trent’anni dalla sua pubblicazione. Dario Zigiotto, organizzatore della serata, nel presentare la manifestazione ha sottolineato: «È un’iniziativa che abbiamo inteso riferire alla riconquista del ruolo civile del Mediterraneo come mezzo di unione e di collegamento e che, nel nome di Fabrizio De André, apprezzando ulteriormente l’opera civile di questo grande artista, possa favorire ulteriori intese ed iniziative comuni tra città ed aree geografiche.

La cantante, accompagnata dalla sua tour band, in cui spiccano il violino di H.E.R. e la chitarra elettrica di Sasà Flauto, ha proposto “Brigantessa” tratta dal suo ultimo disco in studio “Tutto Cambia”, la sua personale rilettura partenopea di “Creuzâ de mä”, trasformatasi proprio in “Na strada ‘mmiez ‘o mare”, in un adattamento che lasciava preferire quella su disco, e un’incolore trasposizione elettrica di “Tammurriata Nera”. Qui, va osservato che sul capolavoro deandreano si era già cimentato anni fa, e con significativi esiti neo folk, Carlo Faiello, che l’aveva riproposta come “Aonna ‘o mare” (e incisa in “…tra il sole e la luna”, 2010). Davvero intensa, invece, è stata la performance di Francesco Di Bella, che affiancato dalla sola chitarra ha messo in fila alcuni classici dell’ultima fase con i 24 Grana come “Accireme” e “L'Alba”, a cui è seguita una riuscitissima “Jamina” (“Jamìn-a”). Se il lucido e azzeccato set di Gerardo Balestrieri ha proposto tre brani autografi del proprio repertorio e un’ottima rilettura di “Sidùn” (“Sidòne”), lo stesso non si può dire di quello di Enzo Gragnaniello, accompagnato da Mimmo Maglionico ai fiati e da Piero Gallo al mandolino.
Nonostante il physique du role, l’artista – finalista quest’anno con “Misteriosamente nella sezione dialettale delle Targhe Tenco – ha graffiato poco in “Sinan Capudan Pascià”, offrendo poi al pubblico il suo grande classico “Cu’ mmè”. Tra le grandi sorprese della serata c’è sicuramente Maldestro, cantautore napoletano, anch’egli in finale nell’edizione 2015 delle Targhe Tenco per la categoria ‘opera prima’ con l’ottimo “Non Trovo Le Parole”. Ad accompagnarlo è stata un’insolita formazione, dotata di basso acustico e violoncello. In scaletta, la sua originale concretezza autoriale ha trovato espressione in “Io sono nato qui”, “Dannato Amore”, “Sopra il tetto del comune” e in un’indovinata “’A pittima” (Dopotutto, è stato già insignito di un Premio De André e del Premio Piero Ciampi). L’arrivo sul palco di Nando Citarella, accompagnato da Pietro Cernuto alla zampogna a paro messinese, tamburo a cornice e friscalettu , Mauro Palmas al liuto cantabile e Gabriella Aiello alla voce, ha portato, finalmente, sul palco del Maschio Angioino i suoni della tradizione orale del sud Italia, spaziando da “Ferma Zitella” a “A San Michè”, fino a toccare la Sicilia del lamento “O Nici”. Ma la vera sorpresa della serata è stata la loro straordinaria “Â Duménega” (trasformata in “’A dummeneca”).
La chiusura del concerto è stata, poi, affidata al duo Fausta Vetere e Corrado Sfogli, le due anime dell’ultima incarnazione della Nuova Compagnia di Canto Popolare. La cantante napoletana e il chitarrista casertano hanno proposto un set essenziale, costruito per la voce limpida (e ancora emozionante) della Vetere, nel quale hanno regalato alcuni gioielli del loro repertorio come “Capera”, “Fronna ‘e sott ‘o carcere”, tratta da “Circo Equestre Sgueglia” di Raffaele Viviani, “Canzone Appassiunata” di E.A. Mario” ed infine la versione nella lingua partenopea di “D’ä më riva”, diventata efficacemente “Da chella riva”.
Salvatore Esposito e Ciro De Rosa
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