Duo Bottasso - Crescendo (Visage Music/ Materiali Sonori, 2014)

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Simone (organetto diatonico) e Nicolò Bottasso (violino) sono due giovani ma già apprezzati musicisti piemontesi, con alle spalle una solida esperienza maturata in diverse formazioni, che giungono al debutto come duo con “Crescendo”, disco nel quale hanno raccolto nove brani dalla grande forza espressiva, in cui tradizione ed innovazione vanno di pari passo, dando vita ad una ricerca sonora dal tratto fortemente contemporaneo. Padroneggiando con disinvoltura la grammatica della musica tradizionale, il Duo Bottasso non la museizza ma piuttosto la trasforma in materia viva e vitale come base di partenza per una ricerca sonora che non conosce confini. Abbiamo intervistato Simone e Nicolò per farci raccontare la genesi del loro disco di debutto, soffermandoci sulle ispirazioni alla base della loro cifra stilistica, senza dimenticare le interazioni sonore che caratterizzano i vari brani.  

Come nasce il Duo Bottasso? 
Simone: Il Duo è nato quando Nicolò ha iniziato a studiare il violino, e da allora abbiamo sempre suonato insieme in casa. Abbiamo iniziato a suonare dal vivo nell’ambito del bal folk nel 2006, e dopo qualche anno abbiamo cominciato a creare un repertorio da concerto, con alcune composizioni e brani tradizionali, pur continuando a suonare per il ballo. Il disco effettivamente è la sintesi di queste nostre due anime. 
Nicolò: La nascita del progetto per me coincide esattamente con la mia prima esperienza di musica d’insieme, grazie alla pazienza di Simone e all’insistenza dei nostri genitori affinché imparassimo un po’ di musica insieme. Il desiderio di investire davvero in questo Duo si manifesta poi grazie al successo delle prime esperienze live. 

Quali sono gli artisti o i generi che più vi hanno ispirato nel contesto musicale soprattutto italiano? 
Simone: Le ispirazioni sono molteplici; dal jazz alla musica contemporanea, la musica tradizionale ed il jazz della Scandinavia, la musica brasiliana, la musica gnawa e del Madagascar. In Italia gli artisti che ci ispirano e ci piace ascoltare sono Daniele Sepe, Paolo Fresu, il Duo Coscia-Trovesi, Gabriele Mirabassi. Luciano Berio è una delle mie ultime folgorazioni. Per quanto riguarda me, la musica dei grandi organettisti italiani Riccardo Tesi, Filippo Gambetta, Silvio Peron ha accompagnato la mia crescita musicale. 

Il disco è composto da nove tracce che si ispirano a temi diversi: dal jazz alla world music, dalla tradizione espressiva occitana alle musiche da ballo, fino a suggestioni brasiliane. Nonostante questo è, nell'insieme, molto lineare. Come avete organizzato la selezione delle musiche? 
Nicolò: Per anni ci siamo rivolti esclusivamente al mondo del ballo popolare cercando di integrare le danze della nostra regione con le musiche che abbiamo incontrato crescendo. Inizialmente la tradizione occitana e francese, poi quella irlandese, scandinava, brasiliana, etc. Non è stato un processo deciso a tavolino e la selezione delle musiche s’è resa necessaria solo in fase di registrazione: in “Crescendo” abbiamo scelto i brani che più rappresentano questo graduale avvicinamento alle musiche che ci circondano, con il rischio però di far sembrare il disco un’accozzaglia di brani eterogenei e slegati fra loro. 
Simone: Fin dall’inizio era chiaro per entrambi il desiderio di realizzare un disco poliedrico e con diverse influenze. Abbiamo iniziato con una fase di progettazione che ci ha chiarificato cosa mantenere del nostro precedente repertorio e quali nuove composizioni realizzare. I nuovi brani sono stati scritti per dare una maggiore linearità al disco e per esplorare le nuove strade che volevamo percorrere in questo album e, possibilmente, per anticipare anche ciò che ci sarà nei prossimi.

"Crescendo" è un disco elaborato sul piano musicale. La mia impressione è che - fin dal primo brano - siate riusciti a ritagliare uno spazio che va oltre molte definizioni e categorie. Che ruolo hanno in questo contesto le espressioni musicali popolari? 
Simone: Il senso sta nel significato di queste espressioni musicali popolari e nella loro relazione con il contesto storico in cui viviamo. Le espressioni popolari tornano nella gioia di interpretare come musicisti e compositori un repertorio musicale che abbiamo esplorato a fondo e che è stato parte del nostro vissuto, a partire dai festin della Valle Vermenagna e dal Ciantu Viol per finire con le registrazioni etnomusicologiche di diversi archivi che spesso abbiamo piacere di ascoltare ed analizzare. Allo stesso tempo, però, sentiamo il dovere di mantenere in vita il processo di nuove evoluzione della musica popolare. Stiamo cercando nel nostro presente quali sono le espressioni musicali popolari che, unite alla musica da cui proveniamo, meglio descrivono la realtà che ci circonda, che è multietnica, poliedrica, informatizzata e non più rurale e legata ai valori dei secoli precedenti. Dal momento che la nostra musica tradizionale non è più tramandata oralmente ma fissata e bloccata nel tempo, penso sia necessario trovare un modo per continuare a farla evolvere e farla incontrare con nuove musiche e culture. 
Nicolò: Non mi ritengo un musicista popolare ma quando incontro altre realtà musicali vengo molto spesso associato al mondo della musica tradizionale. Penso che questo sia dovuto a vari fattori: la prima musica che ho sentito fin da piccolo è stata quella popolare (nostra madre ha sempre partecipato a feste con balli e melodie tradizionali); i brani con cui ho iniziato a suonare provenivano dall’area occitana; per anni ho comprato dischi e assistito a concerti di questo genere; le mie esperienze sul palco sono state per lungo tempo legate solo alla musica tradizionale. E’ normale che questo bagaglio culturale ci influenzi e permei alla base la nostra musica, che poi in un secondo momento attinge da questo come da tanti altri linguaggi 

Come detto, il disco è elaborato, complesso, ma anche molto compatto e, soprattutto, lineare, diretto. Dalle notizie che vi riguardano emergono molti riferimenti alla musica popolare della vostra area, comprese le musiche da ballo. Che ruolo ha avuto l'estemporaneità, l'improvvisazione, nella costruzione dei brani? 
Simone: Ovviamente riportare fedelmente in un disco l’estemporaneità e la dimensione improvvisativa che caratterizza le nostre performance per il ballo sarebbe stato difficile e non era neanche quello che ci interessava, visto che la forza della musica da ballo sta proprio nella relazione tra il musicista ed il pubblico che balla e in un disco in studio questo era ovviamente irrealizzabile. L’improvvisazione è comunque centrale in tutti i brani del disco ed anche in fase di registrazione ci siamo lasciati dello spazio per prendere delle scelte e per la creazione estemporanea. 

In che modo le tradizioni del folk revival e del folk rock - che voi citate in "Bourrée" - hanno contribuito allo sviluppo del panorama delle musiche popolari in Italia? 
Simone: Il folk revival ed il folk rock a mio avviso sono stati centrali in Italia per la riscoperta di un patrimonio musicale che stava andando perduto. Ho vissuto in prima persona la diatriba tra chi conservava la tradizione fedelmente e chi ci “metteva la batteria” per innovarla ed allargare il pubblico. Penso che oggi questa discussione sia sterile e che un progetto che vuole essere interessante per il panorama musicale italiano deve coniugare una profonda conoscenza della musica tradizionale ad una volontà di renderla attuale e contemporanea, possibilmente cercando di creare qualcosa di originale e coerente con la realtà musicale dei nostri giorni. 
Nicolò: Da anni nella nostra regione il folk revival ed il folk-rock sono le principali modalità di riproposizione della musica popolare e l’incontro con questi mondi è stato per noi inevitabile. A mio parere il folk-rock ha contribuito allo sviluppo della musica popolare in quanto primo e lodevole esperimento di dialogo fra linguaggi differenti. Complice la mia giovane età, ritengo tuttavia che oggigiorno questo stile sia ormai datato e che la tradizione popolare debba rivolgersi a nuovi linguaggi per rinnovarsi ed essere sempre “fresca”. 

Nel disco confluiscono suggestioni differenti ma anche musicisti provenienti da ambiti formalmente lontani. Tra questi spicca la partecipazione di Elena Ledda in "Reina". Possiamo parlare di questo incontro? 
Simone: La prima volta che abbiamo incontrato Elena Ledda e Mauro Palmas è stato con gli Abnoba nel 2006, quando siamo stati all’Expo Jazz di Cagliari. Già all’epoca si era discusso della possibilità di creare un contraffactum, riscrivendo una canzone tradizionale occitana in sardo. L’occasione di farlo si è realizzata l’anno scorso quando abbiamo invitato Elena e Mauro a partecipare alla stagione concertistica della Folkestra. In quell’occasione Elena e Mauro hanno collaborato con il nostro coro, il Folkoro, per un master sulla vocalità sarda e con il Duo Bottasso per la realizzazione della canzone “Reina”. Il testo è stato scritto da Gabriella Ledda, la sorella di Elena, che ha saputo ricreare, (curiosamente prima ancora di leggere il testo originale!) la stessa atmosfera e le stesse emozioni della canzone originale, la Chansoun d’Ezpouses di Chianale (alta Valle Varaita). Siamo contenti di aver contribuito artificialmente ad un incontro tra due musiche appartenenti a tradizioni musicali piuttosto distanti e di aver portato, grazie a questi due ospiti eccezionali, il vento del Mediterraneo nella musica della Valle Varaita. 

Il brano "Crescendo" è eseguito con un ensemble di oltre dieci elementi e per questo si differenzia dagli altri, più intimi e raccolti, anche se comunque elaborati e profondi. Siamo in un ambito più sperimentale, più apertamente jazz? 
Simone: Si, l’idea di scrivere un brano come “Crescendo” mi è venuta grazie all’incontro con Paul Van Brugge, il mio insegnante di composizione jazz contemporanea presso il Codarts di Rotterdam. Quello che voglio fare da grande è proprio scrivere musica per ensemble comprendenti archi, fiati, sezione ritmica con percussioni world ed elettronica. A mio avviso l’incontro tra compositori, musicisti “classical-trained” ed improvvisatori è la naturale evoluzione del jazz e della musica contemporanea. 

"Diatofonia N. 7", con il quale l'organetto si esprime coprendo un'ampia gamma sonora, è ispirato alla tradizione scandinava. Quanto e come questa si avvicina alle espressioni musicali della vostra regione? 
Nicolò: Per quanto mi riguarda, la vicinanza tra la Scandinavia e le nostre valli sta nell’importanza e nel ruolo del violino, anche se con modalità sostanzialmente diverse. Da noi, specialmente in val Varaita, il violino era solista o al massimo accompagnato dall’organetto e, quindi, costretto ad “urlare” per farsi sentire (controvoglia, vista la limitata potenza sonora dello strumento). In Scandinavia i violini suonano in ensemble numerosi che risolvono il problema del volume permettendo allo strumento di far emergere il suo meraviglioso timbro (secondo lo stesso principio degli archi nelle orchestre classiche). Effettivamente in alcuni passaggi di “Diatofonia n.7” l’organetto riesce a raggiungere proprio quella delicatezza tipica degli archi scandinavi. 
Simone: Il legame tra la musica scandinava e la musica occitana è l’utilizzo di ensemble di archi per la musica per il ballo, anche se purtroppo trovo che ci sia una enorme disparità tra la preparazione dei violinisti popolari scandinavi e quelli nostrani. Che sia per il mancato incontro in Italia tra i compositori romantici e la musica tradizionale? O per la testardaggine di musicisti popolari e della massima istituzione italiana per l’insegnamento musicale a non volersi mai incontrare?! Io e Nicolò insieme a Pietro Numico (tastierista degli Abnoba e direttore corale) nel frattempo abbiamo creato la Folkestra Bricherasio, una orchestra in cui convivono pacificamente musicisti popolari con ragazzi diplomati in conservatorio, guidata da tre compositori-direttori appassionati di musica popolare, di musica jazz e di musica contemporanea. Speriamo che questo progetto, che nonostante 6 anni di attività è ancora sconosciuto ai più, possa aiutare a superare queste distanze. 

Qual è il brano che meglio rappresenta lo spirito del vostro progetto? O quello che anticipa, più di altri, una possibile prospettiva per i vostri nuovi progetti? 
Simone: Lascio agli ascoltatori la possibilità di scegliere il brano preferito. Io sono veramente orgoglioso di tutti e nove i brani perché ognuno ci ha aperto le porte per fare altrettanti, diversissimi, album. 



Duo Bottasso - Crescendo (Visage Music/ Materiali Sonori, 2014) 
Nicolò e Simone Bottasso sono due musicisti raffinati. “Crescendo” è il titolo del loro primo disco. Racchiude nove brani, nei quali - a parte qualche eccezione di cui parleremo più avanti - i loro due strumenti (violino e organetto) definiscono un racconto sonoro sempre originale, dinamico e ricco di suggestioni. Ricco di slanci, di soluzioni, di sintesi e di visioni interessanti, in modo particolare per chi (come chi scrive e chi legge con continuità queste pagine) crede in una sorta di capacità rigenerativa delle musiche popolari. O meglio delle musiche prodotte in riferimento a una o più tradizioni espressive di tradizione orale. Il Duo Bottasso - i cui riferimenti più tradizionali, e a loro più vicini, sono le musiche delle valli cuneesi e del Piemonte - ci riconducono implicitamente a riflettere sulla possibilità di generare forme contemporanee di musiche popolari. Caratterizzate principalmente da una selezione di riferimenti alle tradizioni orali (che si configurano come un quadro generale, come una serie di segnali riconoscibili che puntellano un flusso discorsivo spesso anche molto distante dalla grammatica popolare) e un insieme di elaborazioni (che tecnicamente si esprimono attraverso forme anche complesse sul piano armonico e ritmico) evidentemente libere da formalismi. Per questo dicevo che i due fratelli sono raffinati. Sia sul piano tecnico che sul piano dello “sguardo” musicale. Si tratta di uno sguardo di ampio raggio, attraverso il quale sono riusciti a organizzare un disco complicato ma piacevole. Composto da brani tradizionali (di - e ispirati a - varie tradizioni musicali) e originali, suonato principalmente con i loro due strumenti - “Diatofonia N. 7”, ci dicono loro stessi, è stata scritta il giorno stesso in cui Castagnari ha consegnato a Simone il prototipo di organetto che questi ha concepito insieme al fratello Nicolò - ed elaborato, nel suo insieme, in riferimento a una serie di elementi di fondo che si manifestano in modo equilibrato. E che manifestano, a loro volta, una selezione e un riflessione molto accurate: sulle strutture dei brani, sugli arrangiamenti e le soluzioni attraverso le quali il Duo ha elaborato i concetti di differenziazione ed essenzialità (fondamentali in un lavoro come questo), sulla timbrica, il ritmo e l’armonia. Partendo dall’idea di elaborazione che ci suggerisce l’album riusciamo a decifrare anche il percorso che ha portato il Duo a organizzare i nove brani di “Crescendo”. Al di là delle questioni più tecniche, è probabilmente interessante osservare la posa degli elementi e analizzare il ruolo che questi assumono nell’equilibrio generale del disco. Ciò che salta subito all’occhio, ad esempio, è la costruzione di un linguaggio “trans-locale” (la differenziazione come necessità - come si diceva poco sopra - ma anche come strategia), all’interno del quale troviamo riferimenti alle musiche occitane da ballo (“Bourrée”), alle tradizioni scandinave, alla musica brasiliana (“Receita de Samba/ Scottish sfasà” con Gilson Silveira al pandero), alla musica irlandese (“Cosa faresti se non avessi paura?”). I Bottasso suonano in duo cinque brani (tra cui "Magicicada", e "The Rose of Raby/ Incantata", "Monkerrina") e in nessuno di questi si avverte l'assenza di altri strumenti. Sopratutto perchè sono in grado da soli di sorreggere strutture complesse, che si assestano con equilibrio e si sviluppano attraverso proposte variabili e sempre convincenti. Quando escono, invece, da questo schema, ci invitano a considerare un spettro di possibilità molto ampio. Di questo spettro vale la pena considerare almeno due esempi. Il primo è "Reina" - il brano "punto di incontro tra la musica occitana e le sonorità del Mediterraneo", come ci dicono loro stessi -, cantato da Elena Ledda, con Mauro Palmas al liuto cantabile. Si tratta di un tradizionale della Val Varaita, sul quale - seguendo la tradizione della contraffattura - è stato impiantato un testo di Maria Gabriella Ledda. L'altro esempio è "Crescendo", nel quale, oltre ai Bottasso (che qui suonano organetto, flauto, sax baritono, elettronica, violino e tromba), compare un ensemble di vari elementi (viola, violoncello, corno inglese, sax, tastiere, contrabbasso e percussioni), che ci avvolge in un ambito più jazz, dove rimane comunque in primo piano la timbrica e l'andamento che meglio rappresenta il Duo.


Daniele Cestellini
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