Bap Kennedy - Let's Start Again (Proper Records, 2014)

Segni particolari: elegante. Questa è la prima associazione che mi viene col nome di Bap Kennedy. Elegante nel modo in cui scrive, soprattutto, spargendo questa aura di tranquillità diffusa e costringendo la testa dell'ascoltatore a muoversi leggermente, ritmicamente a destra e sinistra, come succede quando ascolti una canzone per bambini, con un mezzo sorriso strappato sulle labbra. Scrive bene, Bap Kennedy. Scrive con quella fluidità tipica delle cose ineluttabili, te le aspetti così, esattamente così, ma quando arrivano ti sorprendono paradossalmente proprio per la loro ineluttabilità. E chissà che proprio questa sensazione non sia stata la scintilla che abbia acceso il suo sodalizio con Mark Knopfler, produttore del suo precedente lavoro “The Sailor’s Revenge”, profondamente intriso di intimismo ed anima irlandese, sottolineata anche dalla presenza di ospiti come Michael McGoldrick. Il nuovo cd si intitola “Let’s Start Again”. E sì, in un certo senso si tratta di una ripartenza. Un disco più tonico del precedente in termini di ritmo. Il riferimento stavolta è decisamente Usa. Nashville rules. Già dal primo pezzo, la title track, Hammond e slide guitars si fondono con mandolini e chitarre di quelle buone, il cui suono evoca immediatamente immagini di deserti, polvere alzata dal vento e cavalieri solitari che se ne vanno sotto il sole. Basso e backing vocals sono affidati alla moglie di Bap, Brenda Kennedy. Si parla di intimità, ma in modo più sbrigativo - non sia inteso in senso negativo - rispetto all'album precedente. Baby we don't have much time, quindi diamoci da fare. La successiva “Revelation Blues” spazza via ogni dubbio: stasera si suona forte. Un bel pezzo blues con un ritornello quasi pop. Il suono della band è volutamente harsh, più ruvido che in passato. Del resto si parla di America, lontani dal rassicurante morbido verde della madrepatria, quindi giusto così. A seguire “Things Don’t Change”, con la quale affiora una vena di ironia che non avevamo notato in passato nel nostro. Un boogie woogie splendidamente suonato da un signor gruppo che consente alle nostre teste di riprendere quel movimento di cui ho già parlato in precedenza. Cilegina sulla torta finale con tanti di cori doowap in perfetto stile anni '50. Davvero gustoso, chissà cosa ci aspetta adesso, pensiamo. La serie positiva viene però interrotta da una “King Of Mexico” che richiama alla mente i Los Lobos in maniera perfino sfacciata, finendo per essere davvero troppo simile ad un esercizio di stile. Troppo lontani inoltre mondi del New Mexico e della vocalità educata di Bap per creare una vera e propria sinergia musicale. Meglio passare oltre. Meglio sul serio, perchè il pezzo successivo è “Song For Her Desire”. Senza nessun dubbio il miglior brano dell'album; la scrittura di Kennedy trova modo di essere originale anche nell'ambito country, evocando il miglior Dylan ma anche Springsteen, Mike Scott, Woody Guthrie, insomma tutta la storia della musica folk mescolata pare saltar fuori da questo brano. Meravigliosa l'esecuzione della band, che zitta zitta disegna un intreccio di corde, tastiere e cori davvero rimarchevole e ricco di dinamica. Cinque stelle. Si prosegue con “Radio Waves”, dove si paga forse qualche tributo di troppo all'amico Mark Knopfler - segnatamente quello di “So Far Away”- che però non intacca la qualità dell'esecuzione generale per un brano comunque gradevole, complice il coretto “Sha-La-La” in perfetto stile Motown. Si devono proprio essere divertiti a registrare questo disco. E' del tutto evidente che molte cose siano nate come facevamo noi in sala prove quando avevamo quindici anni, apostrofando il batterista di turno con la famosa frase "parti con un tempo che ti veniamo dietro", affidando all'istinto il seguito. Tra queste di sicuro possiamo annoverare “Heart Trouble”, divertentissima canzone blues che sciorina soli di violino, piano, cori, slide con una leggerezza davvero rimarchevole. La testa stavolta si muove in avanti, ma va bene lo stesso. “Under My Wing” è introdotta da un bell'accordo di chitarra che sfocia in un ritmo di bossa nova spazzolato. Ancora la moglie Brenda ad accompagnare la voce di Bap, tanto che non si capisce chi sia sotto l'ala di chi vocalmente parlando. Splendido il solo di chitarra acustica per suono e scelta di note. Tutto molto bello. La sensazione ormai consolidata è quella di grande professionismo e grande qualità, sensazione che si ripete anche nella successiva “Strange Kid”, forse leggermente più manieristica nel suo essere country ma comunque portatrice di standard molto elevati in termini di qualità musicale. Il disco si chiude con una “Fool’s Paradise” che non aggiunge molto rispetto a quanto già sentito, ma a questo punto i giochi sono fatti. Insomma “Let’s Start Again” è un gran bel disco, suonato in modo impeccabile, pieno di divertimento e momenti intensi, che ci rivela un Bap Kennedy anche capace di esteriorizzare divertimento oltre che introspezione. Da non perdere. 


Massimo Giuntini
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