Muiravale Freetwon - Muiravale Freetown (Alambic Cospiracy/Goodfellas, 2014)

E’ il 24 agosto del 1992 quando Alfredo Fiorini, medico missionario terracinese, viene colpito a morte da una raffica di mitra a Muiravale in Mozambico. Qualche anno dopo, per onorarne la memoria suo nipote compone una canzone “Hermano Alfredo”, ed ispirato dal forte senso di altruismo, di tolleranza e fratellanza di quest’uomo, prende corpo l’idea di dare vita ad una reggae band. Nel gennaio del 2009 nascono, così, i Muiravale Freetown, con il passare del tempo l’organico si allarga man mano, crescendo numericamente e musicalmente, fino all’attuale line-up composta da: Emanuele Mattei “Shakmanaly” (voce), Daniele “Mike” Del Monte (chitarra), Giovanni “Uncle-Boss” Capozio (basso), Fernando “Nando” Pacitti (organo e tastiere), Cristian “White Chocolate” Lia (tromba), Enzo "B-Rootz” Barozzi (trombone), Antonio “Frankie” Cicci (batteria), e Francesco “Medusa” Principini (percussioni). A tre anni di distanza dal debutto con l’Ep omonimo, in cui spiccava la già citata “Hermano Alfredo”, la band pontina torna con “Muiravale Freetown”, album che li proietta nel panorama reggae nazionale, segnalandoli per il loro ottimo equilibrio tra roots ed istanze contemporanee. Ciò che colpisce sin da subito è come nella musica di questi ragazzi si rifletta non solo l’esempio di grande umanità di Alfredo Fiorini, ma anche la spiritualità, la tolleranza, e l’impegno di cui è intriso il reggae. Così l’idea che dietro ad un disco come questo ci possa essere un legame come questo è, in poche parole: meraviglioso, perché questa è una delle possibilità che ti da la musica, come la chiamano gli adepti e gli amanti, la buona musica in levare. Qualcuno potrebbe storcere il naso sull’uso del patois tipicamente giamaicano, qualcuno potrebbe chiedere una patente di sincerità a questo fare musica, ma a noi ascoltatori interessa poco. La musica è, infatti, legata alla sua fruizione, e se ti porta più in alto, ti solleva dal carico quotidiano di rotture di coglioni, se ti fa pensare e ti fa a volte anche incazzare, allora il gioco riesce. In questo caso vi posso dire che il disco è davvero godibilissimo, con suoni perfettamente inseriti nel contesto musicale, e questo non è cosa da poco. Le frequenze alte sono tipicamente lucide e vellutate, il rullante della batteria in quasi ogni canzone racconta una storia diversa, mentre il basso saltella e groova che è un piacere. Dal canto loro, chitarre grattano il ritmo, e sotto ci sono tastiere multicolori che si muovono. In questo senso particolarmente curata è tanto la produzione, quanto il missaggio, di cui si è fatto cari Paolo Baldini (Africa Unite, Dub Sync, BR Stylers), che ha organizzato la visione dei Muiravale Freetown in modo fantasioso e rispettoso. Il genere reggae, usato in senso ampio, è ricco di sollecitazioni e caratterizzato da una grande vivacità, dall’Italia partono fenomeni che si affermano senza problemi all’estero, addirittura anche in Giamaica come sta capitando a Alborosie. Questa è una delle cose confortanti di questi tempi nella scena musicale nazionale. L’augurio per i Muiravale Freetown, e il loro bel fare musica, è di portare in giro con orgoglio la loro “voce” musicale. Bel lavoro!


Antonio "Rigo" Righetti
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