Admir Shkurtaj – Feksìn (AnimaMundi Edizioni/Goodfellas 2014)

Per anni, in qualità di fisarmonicista, l’albanese Admir Shkurtaj ha portato valore aggiunto all’ensemble griko dei Ghetonia e ad altre formazioni della scena popolare salentina (Opa Cupa, Talea, tra gli altri). Finalmente, due anni fa lo abbiamo visto esordire in veste di pianista con “Mesimér” (sempre pubblicato dall’etichetta otrantina). Anche per questa seconda prova discografica Admir si presenta in solo (suona un pianoforte Yamaha G5). Attraverso dodici composizioni, il pianista abbraccia molteplici aspetti della letteratura pianistica tra jazz e avanguardia. «Il riflesso dei vetri del Salento sulle montagne albanesi», rimarcato nelle annotazioni di presentazione del disco, non è un luogo comune, ma realtà e stato d’animo di persistenti condivisioni, che convivono di qua e di là dal mare. È un insieme di riflessi (Feksìn, appunto) che si materializzano con naturalezza nell’orizzonte espressivo sempre ispirato del musicista nato a Tirana nel 1969, leccese dal 1991. Si parte con temi folklorici salentini, ad iniziare dalla trasfigurata “Aria de lu trainu”. Negli “Stornelli” esposizione melodica e accompagnamento procedono su differenti piani armonici, mentre il canto di emigrazione “Aremu” accoglie sequenze ritmiche ed esplorazioni armoniche non tradizionali eseguite con il piano preparato. Dopo un valzer sghembo (“Sciusciumaniellu”), ecco la ricercata improvvisazione di “Around Malìa”, composizione che Shkurtaj fa derivare dalla sua esperienza con l’ensemble griko di Calimera, dove il tocco del pianista si fa più squillante e robusto. Seguono due brani di tradizione albanese, con la vertigine dei tempi dispari di un canto lirico (“Mu aty te shtat zymbylat”) e la brillante rielaborazione di una ”Valle” dell’Albania centrale, una danza matrimoniale, in cui il piano preparato richiama i sonagli del def, il tamburo di solito usato per accompagnare il ballo. “Krahë”, il secondo brano firmato da Admir, è tutto espressività improvvisativa. Si ritorna in Salento con due brani: il primo è “Quannu camiti tie”, imperniato sull’uso dell’ostinato, il secondo è “Quannu te llai la facce”, in cui ancora una volta linea melodica e accompagnamento divergono sul piano armonico. Di nuovo di segno improvvisativo “Plurigestual”, che esce dalla penna del pianista albanese: qui il è pianoforte suonato, sfregato e percosso. A chiudere l’album la celebre “Rindineddha”, che si dispiega in una cornice ritmica dispari. In definitiva, un signor musicista, un signor disco. 


Ciro De Rosa
Nuova Vecchia