Scacciapensieri: Musica Strumentale Tra Culture E Discipline

Correva l’anno 1984. Durante una discussione sulla musica popolare, l’indimenticabile "magister" Roberto Leydi mi fece dono di un “preprint” edito dall’Università di Bologna, dedicato alla “ribeba” (nome locale dello scacciapensieri) in Val Sesia. Come sapeva efficacemente fare, in pochi minuti, riuscì a mettere in risalto la varietà di questo particolare tipo di idiofono, facendo riferimento da un lato ai suoi studi condotti con la moglie Sandra Mantovani (si veda la voce specifica nel “Dizionario della Musica Popolare Europea”) negli anni Settanta, dall’altro a ricerche che stava portando avanti con un brillante allievo, Alberto Lovatto, grazie al quale per gli etnomusicologi è stato possibile approfondire la grandezza storico-musicale di Boccorio, una frazione di Riva Valdobbia in Val Sesia, abitata prevalentemente da famiglie di fabbri walser specializzati nella costruzione di ribebe, che venivano poi commercializzate in diverse parti del mondo. Chi volesse approfondire la conoscenza dello scacciapensieri in Italia, difficilmente potrebbe prescindere dagli studi coordinati da Leydi giacché, dopo Lovatto, ulteriori approfondimenti sullo strumento vennero condotti da Febo Guizzi (pietra angolare dell’organologia nazionale, per anni, a Bologna, “Assistente” dello stesso Leydi) e, in seguito, dallo scrivente (1997), da Fabio Tricomi e da Luca Recupero, organizzatore in Sicilia del “Marranzano World Festival”, giunto ormai alla quinta edizione (mentre la sesta è in progettazione). Recupero, sia detto per inciso, ha compiuto un’impresa davvero meritevole, essendo riuscito a far dialogare e coinvolgere, a favore dello strumento popolare, la Regione Sicilia, il Comune e la Provincia di Catania, Dipartimenti Universitari, un numero significativo di Enti e di Associazioni musicali locali nonché fabbri costruttori (tra cui spicca Giuseppe Alaimo, di Resuttano) e virtuosi suonatori provenienti da diverse parti del mondo. Il lettore potrà approfondire la personalità musicale di Luca Recupero, leggendo l’intervista rilasciata a Ciro De Rosa. Gli scacciapensieri (uso il plurale) sono strumenti internazionali che evocano la “forza della semplicità” musicale nel rispetto delle differenti culture. 
La loro storia risale alle epoche più antiche, cui fa rifermento il patrimonio organologico tipico della cosiddetta “musica primitiva”. A causa del limitato potenziale sonoro, nella prima metà del secolo scorso, lo scacciapensieri (convenzionalmente classificato, secondo la struttura, in “idioglotto” o “eteroglotto”) veniva considerato in via di estinzione. Tuttavia, negli ultimi decenni, vi è stata una sua progressiva riscoperta da parte delle singole comunità, dei suonatori appassionati di musica etnica non ultimi quelli della cosiddetta world music, che spesso sperimentano le numerose potenzialità esecutive anche in abbinamento alle tecnologie moderne digitali e ai mezzi di amplificazione. Pioniere di questo filone di ricerca è il virtuoso svizzero Anton Bruhin il quale, nel 1994, con il sussidio del tecnico Stefen Flüerer, realizzò il prototipo dell’ “Electric Trump” (E.T.), in seguito utilizzato nell’album “Maultrommelmusik: Anton Brhuin spilt’s Trümpi” (del 1996). Dello scacciapensieri colpisce la universalità, caratteristica che ha contribuito alla sua progressiva riscoperta soprattutto a partire dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Essendo strumento diffuso e utilizzato (secondo usi e costumi locali) praticamente in ogni continente, può essere considerato un emblema musicale interculturale. L’analisi dello scacciapensieri porta a elaborare articolati percorsi di analisi interdisciplinare, raccordando, ad esempio, il sapere musicale con quello “tecnico” (le modalità di costruzione), “storico”, “linguistico” (sono note più di 1300 denominazioni), “sociale” (funzioni e usi degli strumenti), “geografico”, “religioso” (soprattutto nei riti animisti). 
Vi sono, poi, diversi aspetti musicali riferibili all’esecuzione strumentale. Lo scacciapensieri è monotonico, ma capace di avvicinare i suonatori e gli ascoltatori alla dimensione degli “overtone” o suoni armonici, che conducono verso analisi scientifiche (fisica del suono). Lo strumento, inoltre, si presta per seguire percorsi conoscitivi cari ai musicisti della cosiddetta new age i quali, di sovente, pongono la tecnica strumentale al servizio di pratiche spirituali, che possono trovare riscontro con studi medico-psicologici o comunque, in generale, con tecniche che hanno a che vedere con il benessere interiore (meditazione, rilassamento, arti marziali etc.). Soprattutto in alcuni Paesi dell’Est e Orientali, lo scacciapensieri veniva e/o viene tuttora utilizzato durante pratiche spirituali animiste e in riti sciamanici. In proposito, un gruppo di etnomusicologi francesi, negli anni Novanta, ha studiato la diffusione e l’utilizzo tradizionale della “drymba” presso la popolazione Hutsul che risiede in alcune aree dei Carpazi ucraini. Valery Eroshev si definisce uno “sciamano cittadino” (a Mosca), in quanto costruisce a misura di persona il “vargan”, insegnando agli allievi a utilizzarlo secondo tradizione o per fini psico-fisici. Le pratiche sciamaniche riferibili allo scacciapensieri sono riscontrabili in alcune Repubbliche Russe, come ad esempio quella Altaica, dove spicca il nome di Nogon Shumarov, suonatore eclettico di “khomus” e illustre rappresentante della tradizione poetico-vocale “kai-chi”, con la quale vengono cantate - impiegando la tipica voce ingolata - leggende e racconti epici tradizionali. Nella Repubblica Sakha (Jacuzia), il “khomus” è considerato un simbolo musicale nazionale. Nella capitale, Yakutsk, il 30 novembre del 1990, è stato inaugurato il Museo del Khomus, nel quale sono esposti circa 1350 scacciapensieri, provenienti da una cinquantina di Paesi. Una parte della collezione del Museo è stata donata dal ricercatore americano Federick Crane (deceduto nel 2011), uno dei massimi studiosi di scacciapensieri nonché il fondatore del “VIM”, un bollettino che (nei primi anni Ottanta del secolo passato) ebbe il merito di coalizzare in campo internazionale studiosi e appassionati dello strumento musicale. In Jacuzia il “khomus” è suonato da tutti: bambini, donne, uomini, anziani, professionisti dello strumento. 
Degno di nota è il record (nel 2011) ottenuto facendo interagire ben mille trecento quaranta quattro khomusisti jakuti di tutte le età sotto la guida del suonatore Ivan Egorovich Alekseev (insieme a Spiridon Shishigin sono apprezzati in tutta la Repubblica per le capacità strumentali). Particolarmente studiate (anche in relazione al canto difonico) sono, inoltre, le performances sciamaniche dei suonatori tuvani o di quelli della Mongolia, di cui in Italia ha scritto anche Giorgio Blasco nell’opera “La Musica di Gengis Khan”. In India, studi etnomusicali sono stati recentemente condotti da Sylvain Trias, che ha anche prodotto un cd dedicato ai suonatori di “morching” più ancorati al repertorio locale, tra cui Malaram Govaria. Phons Baks, etnomusicologo olandese, ha dedicato un saggio all’uso dello scacciapensieri in relazione alle pratiche induiste riferibili a Shiva e ai simbolismi della procreazione. Uno dei più noti suonatori indiani di “morsing” è Srirangam Kannan, laureato in matematica, che ha successivamente deciso di dedicarsi alla musica, esibendosi sia come solista sia in gruppo. Kannan è apprezzato per il virtuosismo e per le capacità improvvisative che nella musica “carnatica” richiedono un dialogo serrato con gli strumenti a percussione, secondo i ritmi della tradizione, in occidente particolarmente studiati dal chitarrista inglese Mahavishnu John McLaughlin. Nel Vietnam, una speciale menzione merita l’intellettuale Tran Quang Hai, il quale si è distinto come polistrumentista di “dan moi” e conferenziere, conducendo a favore dello strumento numerosi stages a livello internazionale. In Cina, presso diverse culture minoritarie, lo scacciapensieri (“kouquin”) è diffuso e realizzato con materiali vegetali (anche in versione plurilamellare), soprattutto in bambù. Tra la popolazione degli Ainu (una popolazione minoritaria presente in alcune isole del nord del Giappone e, in minima parte, nell'isola di Sachalin) è in uso un particolare tipo di scacciapensieri, detto “mukkuri”, suonato con l’ausilio di una cordicella con funzione di tirante, grazie alla quale viene posto in vibrazione lo strumento musicale. Tra i suonatori e i ricercatori giapponesi primeggia Tadagawa Leo, fondatore dell’associazione “Nihon Kuokin Kyoukkai” (1990) attraverso la quale, per alcuni anni, è stato pubblicato il “Koukin Journal”. Tornando ai Paesi europei, sento innanzitutto il dovere di menzionare il ricercatore John Wright (1939-2013), il quale è prematuramente deceduto nel settembre del 2013. È stato uno dei pionieri del cosiddetto “folk revival” in Inghilterra e in Francia, dove fu tra i fondatori del primo folk club francese parigino denominato “Le Bourdon”. 
Particolarmente apprezzati furono i suoi approfondimenti musicali sulla “guimbarde”, alcuni scritti negli anni Settanta in collaborazione con l’etnomusicologa Geneviève Dournon- Taurelle per conto del Musée de l’Homme a Parigi. John Wright è, inoltre, il capostipite di un’encomiabile “famiglia” - David, Michael e Lucy Wright – la quale ha dedicato attenzione speciale alla “jew’s harp”. In particolare Michael Wright è uno dei più attenti studiosi a livello internazionale, distintosi anche come musicista e didatta, avendo avuto modo, negli anni, di approfondire diverse tecniche esecutive praticate nel mondo. I Paesi di lingua tedesca possono vantare una tradizione secolare dedicata al “maultrommel”. Nello stemma comunale di Molnn, in Austria, vi sono rappresentati due fiori montani e un “maultrommel” e ciò testimonia quanto lo strumento sia radicato nella cultura locale. A Molln la produzione di “maultrommel” era già attiva nel 1679, anno in cui venne costituita una Corporazione di fabbri. Attualmente sono rimasti solo tre laboratori artigianali che esportano in tutto il mondo: Karl Schwarz (1679), Franz Wimmer (1770) e Josef Jofen (erede del maestro Karl Hörzing, operante tra il 1935-1983). Nel paese austriaco sono attivi diversi esecutori, tra cui i “Mollne maultrommeler”, una band nella quale l’idiofono popolare viene suonato dal clarinettista Manfred Rußmann. Tra i ricercatori e organizzatori austriaci una menzione speciale merita Franz Kumpl, Presidente dell’IJHF (“International Jew’s Harp Society”), che ha portato avanti l’istanza d’inserimento del “maultrommel” nella “Lista del Patrimonio Culturale Immateriale” dell’UNESCO. Nel XVIII secolo, il “maultrommel” riscosse successo anche tra i compositori di musica classica, tra cui Johann Georg Alberchtsberger e Johan Heinrich Hörmann. Tra i virtuosi dello strumento si ricordano Franz Koch (1761-1831) e Karl Eulenstein (1802-1890), il quale dovette interrompere l’attività concertistica a causa della perdita dei denti incisivi. Dopo di allora si esibì in pubblico solo come chitarrista. Tra gli studiosi di lingua tedesca che hanno dedicato saggi e/o opere monografiche al “maultrommel” si menzionano Curt Sach (1917), Regina Plate (1982), Angela Mohr (1992), Janscha Wolf (2012). 
Rispetto al commercio degli scacciapensieri, significativa è l’esperienza di Clemens Voight, fondatore della società “Dan Moi”, attraverso la quale vende anche via internet scacciapensieri provenienti da ogni parte del mondo. Nei paesi nordici sono numerosi i suonatori di “munharp” e pregevoli sono le ricerche archeologico-organologiche condotte dal norvegese Gjermund Kolltviet, cui si deve la poderosa opera “Jew’s harp in European Archaelogy” (2006), nella quale sono stati presi in considerazione oltre ottocento reperti, la maggior parte dei quali databili tra il XIII e il XVII secolo. In Italia, pare opportuno fare cenno alla tradizione sarda cui, prima dello scrivente (“Sa Trumba…”, 1997), hanno dedicato importanti pagine il musicologo Giulio Fara (1909) e l’organologo Giovanni Dore (1976). In Sardegna, lo strumento è conosciuto con differenti denominazioni quali, “trunfa, trumba”, “zampurra”, “ribelvia”, “sona sona”, “biurdana”, “chitarreddha ’e vucca” (chitarrina di bocca), “chitarreddha drugalesa” (chitarrina dorgalese), per via della sua caratteristica forma e del luogo di provenienza dei principali costruttori. A Dorgali e a Orosei (paesi del nuorese) sono ancora attivi i fabbri Piredda (Pietro Paolo e Ignazio), i quali realizzano artigianalmente gli strumenti assai richiesti dai suonatori di musica popolare. A Sinnai (in provincia di Cagliari), nel luglio 2013, si è svolta “Trunfas”, la prima Rassegna regionale, alla quale oltre ai fratelli Piredda hanno partecipato virtuosi come Nicola Loi (componente del “tenore” di Neoneli) e Patrizio Mura (in passato “voche” del “tenore” di Orosei). Negli studi demologici dedicati alla cultura popolare siciliana, Giuseppe Pitrè documentò le credenze popolari relative alla linguetta dello strumento, la quale, se costruita in argento, avrebbe potuto far uscire suoni magici, in grado di far addormentare l’ascoltatore. Tali credenze erano diffuse anche in diverse altre aree europee, tra cui la Sardegna e alcuni Paesi di lingua tedesca, nei quali questi magici strumenti in argento venivano messi in relazione con la seduzione e la fertilità. 
 Concludo qui il breve excursus introduttivo dedicato allo scacciapensieri, a favore del quale conto di scrivere a breve un nuovo articolo, con l’intento di dare rilievo alla sua storia e onomastica, alle tecniche di costruzione e ai principi fisico-acustici, ai rituali di corteggiamento, all’uso dello strumento nella coreutica popolare, nel gioco dei bimbi o in ambito lavorativo. Una specifica trattazione potrebbe essere riservata allo scacciapensieri nell’arte, nel cinema e nella musica contemporanea. Il mondo dello scacciapensieri è ricco e vario, a prima vista difficilmente immaginabile per uno strumento musicale composto da un telaio e una lamella vibrante. Personalmente ritengo utile dare valore alla “semplicità”, per capire la quale è indispensabile sapersi porre in ascolto, studiando con rispetto e spirito critico la cultura delle singole comunità, nelle quali ricerco (quella che sono solito definire) “humanitas musicale”, che sento l’esigenza di valorizzare in un’ottica di dialogo, ponendomi l’obiettivo di far interagire le questioni globali con quelle locali a favore di un’armonica evoluzione sonora della civiltà. 



Paolo Mercurio

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