Roots & Blues In Italy: Mandolin’ Brothers, Sugar Ray Dogs, Fleurs Du Mal, Wild Bones, Mismountain Boys

Mandolin' Brothers - Far Out (Ultrasound/I.R.D., 2014) 
Storica band roots rock italiana, i Mandolin’ Brothers nascono nel 1979 da un’idea di Jimmy Regazzon e Paolo Canevari, due musicisti accomunati dalla passione per il rock, il blues e il country. Dopo una lunga gavetta spesa sui palchi di mezza Italia, a partire dal 2001 hanno messo in fila tre dischi pregevoli, che hanno evidenziato una crescita e una maturazione costante della band vogherese. Il loro nuovo album “Far Out” giunge dopo l’ottimo “Still Got Dreams” ed il gustoso Ep “Moon Road” registrato in Texas, e rappresenta certamente il vertice del loro percorso artistico, e questo non solo per l’innesto nella band di Marco Rovino (chitarra, mandolino) e Riccardo Maccabruni (fisarmonica, tastiere), ma anche per la eccezionale qualità del songwriting, che mai come in questo caso sembra potersi misurare ad armi pari con le band d’oltreoceano. Questo nuovo album però ha un ulteriore marcia in più, ovvero il contributo di Jono Manson, che ha messo al servizio dei Mandolin’ Brothers tutta la sua sensibilità e la sua esperienza come produttore. Ecco, dunque, come ha preso vita questo piccolo capolavoro, che grazie ad una campagna di crowfunding, ha visto di recente la luce, e che mette in fila tredici brani di pregevole fattura che nel loro piccolo compendiano tutto l’ampio spettro della musica roots americana, spaziando dal rock’n’roll dei Creedence Clearwater Revival al country-rock di Graham Parson, passando per i Little Feat e le lunghe jam di Allman Brothers Band. Ad aprire il disco è la trascinante “Freak Out Train” il cui piano da barrelhouse ci conduce prima alla stradaiola “Come On Linda” firmata da Ragazzon e Rovino, e poi alla splendida ballata dai toni southern “Someone Else”. Se la chitarra weissenborn di Cindy Cashdollar impreziosisce la malinconica “Circus”, cantata magistralmente da Ragazzon, la successiva “Nightmare In Alamo” mescola un testo di impronta dylaniana con atmosfere western. Si prosegue con il blues della luciferina “Ask The Devil” che ci porta dritto nel Delta del Mississippi, ma subito dopo si torna al rock’n’roll puro con “Sorry If”, a cui segue l’ironica e pungente “Bad Liver Blues”. “Short Long Story” e “Lotus Eaters” ci riportano in territori country, ma il vertice del disco arriva con “Black Oil”, caratterizzata da suggestive atmosfere southern ed impreziosita dalla voce di Edward Abbiati dei Lowlands. Sul finale arrivano poi “My Last Day” e il valzer tex-mex di “Hey Senorita”, che suggellano un disco tutto da ascoltare dall’inizio alla fine, senza perdere nemmeno una nota di grandi Mandolin’ Brothers. 

Sugar Ray Dogs - Sick Love Affair (Autoprodotto/I.R.D., 2013) 
Scoperti in un locale di Francoforte da Stefan Brown, boss della Vampirette Records, che li definì subito come “una corsa su una Hot Rod a 200 Km all’ora”, i Sugar Ray Dogs sono una band pavese formata da Ernani Natarella (vocal, contrabasso e mandolino), Andrea Paradiso (batteria, percussioni e cori) e Alberto Steri (chitarre elettriche e acustiche, cori), che propone un originale intreccio tra folk, rockabilly, e country, il tutto condito da influenze spaghetti western e echi di irish folk. Forti di una solida esperienza maturata sui palchi di mezza Europa, e di un apprezzato disco di esordio “Vaudeville’n’Roll”, i Sugar Ray Dogs tornano con un nuovo disco “Sick Love Affair”, nel quale affinano il loro hellbilly con la complicità di alcuni ospiti come Davide Bianco (cornamusa), Marco "Sonny" Simoncelli (armonica), Ferdinando Piras (bodhran), i violinisti Anga Persico e Chiara Giacobbe, nonché Matteo Cerboncini e il grande Freddy Koella (già noto al seguito di Willy DeVille e Bob Dylan) alle chitarre. Il disco prodotto da Antonio Quartarone e missato da Nicolò Fragile, raccoglie tredici brani che evidenziano la piena maturazione del gruppo, in grado non solo di proporre un sound particolarmente coinvolgente, ma anche un songwriting di grande spessore. Ad aprire il disco sono le cornamuse di “Time To Run”, che ben presto sfocia in una accattivante ballata country-rock con spruzzate blues. Il rockabilly di “Road of 7 Sins” impreziosito dalla slide di Koella ci conduce prima alla ballata mid-tempo “Fall In Love” che rievoca certe atmosfere tipiche degli ultimi dischi di Willy De Ville, e successivamente a quel gioiellino che è il country-rock di “Noctural”, ma è solo un attimo, perché subito dopo arriva la ballata notturna “Baby To Mercy” in cui ancora una volta ci mette una zampata decisiva la chitarra di Freddy Koella. Le atmosfere da giga irish dello strumentale “Red Dog” ci riportano nei sentieri del folk, ma subito dopo irrompe la cavalcata elettrica di “Tonight” in cui spicca il contrabbasso suonato da Takeuchi Dxfxl. “We’re All Irish” ci offre la possibilità di una ulteriore incursione nei territori della tradizione irlandese, ma subito dopo si torna agli States prima con il ciondolante country di “See You Die”, e poi con la fascinosa folk ballad “Story Without Glory”. Sul finale arrivano poi la tambureggiante giga irish “Every Man Has His Jail”, l’epica “Mortally Wounded” e il gospel-folk di “Till The End Of Time”, che completa un disco gradevolissimo, che non mancherà di entusiasmare gli appassionati di roots music. 

Fleurs Du Mal – Swinging Boat (Blond Records, 2013)

Attivi sin dal 1984, i Fleurs Du Mal sono una storica band del panorama blues italiano, con alle spalle una intensa carriera spesa sui palchi di tutta la penisola, e ben sette dischi all’attivo, di cui gli ultimi tre, pubblicati dalla Blond Records. Ed è proprio questa etichetta a dare a battesimo il loro ottavo disco “Swinging Boat”, nel quale hanno raccolto dieci brani originali, che mettono in luce tutto il loro potenziale di spettacolare live band, con il frontman Stefano “Iguana” a destreggiarsi tra chitarre, slide, dobro ed armonica, supportato magistralmente dalla sezione ritmica composta da Davide Miccinilli (batteria) e Roberto Cruciani (basso), e dai fiati di Graziella Olivieri (sax tenore) e Clemente Verdicchio (sax alto). Ad aprire il disco è il funk blues di “Gone” in cui spicca la potenza dei fiati, uniti al cantato particolarmente coinvolgente di “Iguana”, ma è a seguire con la title-track, che arriva la prima sorpresa, infatti a caratterizzarla c’è un riuscito arrangiamento jazzy in cui spicca un eccellente interplay tra i chitarra, basso e sax. Se “Rolling In De Watch” ci riporta verso atmosfere rock, la seguente We’re Ready invece è un brano blues in senso più stretto con “Iguana” ancora una volta sugli scudi al canto. La torrida e serrata “Revolution Blues” ci guida verso la grande sorpresa del disco ovvero “Soffia Il Vento”, un brano davvero molto riucito a metà strada tra le atmosfere della canzone italiana degli anni Sessanta e il tex-mex. L’attualissima “Stop The Banks” e la superba “Mujer Maya” ci conducono verso il finale con la swingata “It’s Up To You” e lo swamp blues di “Feed To Your Soul”, che evidenziano benissimo la capacità dei Fleurs Du Mal di muoversi con grande agilità e versatilità attraverso le trame del blues, proponendo un sound originale e allo stesso tempo mai scontato. 

Wild Bones – The Road To Memphis (Autoprodotto, 2013) 
Nati nel 2009 dalla passione comune per il blues di quattro amici, ovvero Santi Ciarcià (voce), Davide Sittinieri (chitarre), Fabio Emmolo (basso), e Nuccio Pisana (batteria), i Wild Bones si sono fatti le ossa proponendo i classici del genere dai Buddy Guy a Muddy Waters, passando per B.B. King e Robert Johnson, fino a toccare Jimi Hendrix e gli ZZ Top, il tutto riletto attraverso una originale cifra stilistica che mescola country, blues e funk. Macinando chilometri e concerti, questa band siciliana si è fatta ben presto apprezzare nei principali festival blues italiani e successivamente approdando negli States all’International Blues Challenge di Memphis. Viaggiando per quindici giorni attraverso Tennessee, Mississippi e Louisiana, da Nashville a New Orleans, arrivano a suonare in due luoghi sacri del blues, ovvero il Red’s Juke Joint ed il Bluesberry Cafè di Clarksdale, ed è qui che conoscono il blues Watermelon Slim, con il quale dividono il palco per una travolgente jam session finale. Il loro disco di debutto “The Road To Memphis” è così una sorta di diario di quel viaggio che ha cambiato per sempre la vita di ognuno dei Wild Bones, e non è un caso che gli undici brani in scaletta, siano in tutto e per tutto un omaggio ai loro eroi blues. Si spazia infatti dagli ZZ Top a cui rendono omaggio con il trittico iniziale composto da “Tush”, “La Grange” e “She’s Just Killing Me”, per passare poi a Bobby “Blue” Bland del quale rileggono “I Don’t Believe” e “Good Time Charile”, fino a toccare poi “Walkin’ Blues” di Robert Johnson e il superclassico “Rollin’ And Tumblin’” dal repertorio di Muddy Waters. Non manca uno sguardo verso la scena blues contemporanea con “The River” di Joe Bonamassa, e ai Free dei quali riproponongo “Walk In My Shoes”. Completano il disco “Palace Of The King” di Freddy King e il medley tra “Minnies’s Spanish Blues” e “Come On In My Kitchen” di Robert Johnson. “The Road To Memphis” è insomma un gustoso disco blues, suonato con originalità e caratterizzato dalle magistrali interpretazioni vocali di Santi Ciarcià, vera marcia in più dei Wild Bones. 

Mismountain Boys – Across The Country (Autoprodotto, 2014) 
I Mismountain Boys sono una bluegrass band bergamasca nata nel 2005 e composta da Isabella Saradini (voce), Franco Fanizzi (voce e chitarra acustica), Roberto Braiato (voce, chitarra elettrica), Remo Ceriotti (Banjo), Fabio Bestetti (contrabbasso) e Tista Rota (batteria), che propone un ricercato repertorio che spazia in lungo ed in largo attraverso la tradizione americana dai classici del genere alla canzone d’autore, senza dimenticare tralasciare la musica old time. Il loro nuovo album “Across The Country” mette in fila quindici brani che nel loro insieme compongono un vero e proprio viaggio attraverso gli States, che prende le mosse da “Mary, Don’t You Weep” proposta in una versione che rimanda a quella delle Seeger’s Sessions di Bruce Springsteen, ma che si caratterizza per il bel duetto tra le voci della Saradini e di Fanizzi. Il bluegrass gospel “Life’s Railway To Heaven” ci conduce poi alla trascinante versione di “Caleb Mayer” dal repertorio di Gillian Welch, e qui interpretata con grande trasporto dalla Sardini. Il Bob Dylan minore di “Death Is Not The Ed” si sposa molto bene con i brani successivi ovvero “Coat Of Many Colors”, “Sitting On The Top Of The World” e “Beyond The Great Divide”, che fungono da perfetti antipasti prima del country di “I Walk The Line” di Johnny Cash. I Mismountain Boys dimostrano di essere attenti anche al bluegrass contemporaneo riproponendo con un buon piglio “Wagon Wheel” degli Old Crow Medicine Show, ma il meglio arriva con “Mercury Blue” e “Borrowed Love”, che rappresentano senza dubbio i due vertici del disco. Sul finale non mancano le soprese con le belle versioni di “Take Me Home, Country Roads” di John Denver, “Who’ll Stop The Rain” dei Creedence Clearwater Revival, e un “Jingle Bells” cantata in inglese ed in bergamasco, che giunge un po’ fuori tempo massimo, ma risulta godibilissima. “Across The Country” è così un prezioso biglietto da visita per la band bergamasca che sul palco non manca mai di deliziare e far ballare i suoi fans.



 Salvatore Esposito
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