Gastone Pietrucci e Samuele Garofoli Quartet – Ramo De Fiori

BF-CHOICHE

Figura storica della ricerca etnomusicale nelle Marche, ed interprete appassionato della musica tradizionale della sua terra, Gastone Pietrucci nel corso del suo percorso artistico con La Macina ha dato alle stampe una lunga serie di dischi, culminati con la pubblicazione della trilogia “Aedo Malinconico ed Ardente Fuoco ed Acque di Canto”, senza però disdegnare mai le collaborazioni con altre realtà musicali. Qualche anno fa il suo incontro con i Gang aveva fruttato il prezioso “Nel Tempo e Oltre Cantando”, oggi lo ritroviamo affiancato dal Samuele Garofoli Quartet con “Ramo De Fiori”, disco nel quale sperimenta l’intreccio tra la tradizione popolare marchigiana e il jazz. Lo abbiamo intervistato per approfondire con lui questo progetto, farcene raccontare la genesi e le difficoltà che lo hanno caratterizzato, ma soprattutto per sottolineare l’importanza e l’arricchimento, quale frutto più prezioso di una collaborazione tra realtà musicali differenti. 

Come nasce il progetto Ramo De Fiori che ti vede protagonista con il Samuele Garofoli Quartet… 
Questo progetto nasce dall’incontro con Samuele Garofoli, e dalla voglia che lui aveva di collaborare con La Macina. Mi aveva chiesto i nostri dischi, e naturalmente io sono stato molto contento. Lui li ha ascoltati con attenzione, soprattutto la trilogia Aedo Maliconico, e da questi dischi lui ha estrapolato questi dieci brani, rileggendoli in chiave jazz. Mi sono esibito con loro con grande piacere, ma anche con un po’ di timore e paura, però anche con grande interesse. 

Nel disco Carlo Cecchi nella sua introduzione dal titolo “Contattempo Parallelo”, racconta nel dettaglio il vostro incontro… 
Carlo Cecchi, oltre ad essere un nostro amico comune, è anche un grande pittore. E’ stato grazie a lui che il progetto ha preso vita, infatti, due anni prima, ci aveva stimolato chiedendo a Me, e a Samuele Garofoli e il suo quartetto di fare qualcosa insieme. E’ nata poi l’idea di questa estemporanea di pittura, in cui lui disegnava, dipingeva, mentre noi lo accompagnavamo sperimentando la prima volta La Macina in Jazz. Il risultato di quella serata è il quadro che è riproposto all’interno del libretto, Carlo lo ha dipinto quella sera mentre noi suonavamo. Le cose poi non sono state immediate, e ci sono voluti due anni prima che il progetto prendesse corpo. Poi piano piano siamo partiti e adesso viaggiamo, insomma, sulle nostre gambe. Carlo Cecchi è stato però lo stimolo fondamentale che ha permesso quest’incontro. 

Qual è stata la difficoltà principale che avete incontrato in questo connubio… 
Ti dico, quella che è stata la mia principale difficoltà è che loro non provano. Io, come puoi immaginare, mi sono trovato in un mondo molto lontano da quelle che erano le mie abitudini musicali. Loro sono quattro grandissimi musicisti jazz, però, almeno per quello che mi riguarda, i primi momenti sono stati davvero terrificanti. Avevo pochissime prove, pochi agganci. Pian piano però ho capito come si muovono loro sul piano musicale, e mi sono lasciato andare. Ho cominciato, non dico, ad improvvisare anch’io, però sono entrato nella loro ottica, abbandonando la paura. Ho cominciato a gustarmi il piacere di suonare con loro, e adesso ogni concerto che facciamo insieme è una cosa molto bella e stimolante, perché c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire. Nella mia ingenuità, una volta fatto il disco, ho pensato che era fatta e che avrei potuto studiare ascoltando il disco, invece ogni concerto con loro è come entrare in un ambiente diverso. 

Il problema principale è stato, insomma, quello di adattarsi all’improvvisazione jazz… 
Samuele Garofoli insime agli altri quattro musicisti ha fatto un lavoro eccellente per quello che riguarda gli arrangiamenti, e per me adattarmi ad una musica che varia continuamente non è stato facile. Come abbiamo poi scritto anche sul disco, la musica jazz non è poi così lontana dalla musica popolare, perché quest’ultima è viva quando è in continua evoluzione. Allo stesso modo il jazz è una variazione continua e progressiva. La sera del nostro primo concerto, ero terrorizzato. Io se non canto e se non provo, sto male, anche fisicamente. Devo cantare sempre, e quella sera, per la prima volta nella mia vita, ho avuto un attimo di scoramento. Mi sono steso sul letto, e mi sono detto: “Ma chi me lo fa fare?”. Ero molto teso. Poi è andato tutto magnificamente. 

Ci puoi parlare dell’esperienza in studio con il Samuele Garofoli Quartet? 
E’ stata molto bella. Abbiamo registrato quasi tutto dal vivo. Chi ha registrato, infatti, è abituato a fare registrazioni dal vivo, anche per concerti di musica sinfonica, e quindi alcuni brani li hanno suonati prima loro e poi mi sono inserito io, per altri invece sono stati fatti volutamente insieme. Le registrazioni non sono state lunghissime, siamo stati in studio l’essenziale, due o tre giorni in modo molto veloce. Loro, in verità, avevano già rodato i brani e sapevano benissimo cosa volevano, e alla fine mi sono inserito io. Tutto è stato molto veloce, anche perché venivamo da quasi due anni di collaborazione. 

Il repertorio, invece, come è stato selezionato? 
Come sai, sono impegnato in molte collaborazioni, e quando mi trovo a lavorare con altri artisti li lascio sempre liberissimi di scegliere i brani. Sono poi io ad adattarmi, e non metto bocca sugli arrangiamenti, a parte qualche suggerimento. Questo perché io il mio arrangiamento del brano già l’ho fatto, anzi con l’operazione Aedo Malinconico in alcuni casi ne ho fatto anche un secondo. E’ utile ed interessante quindi capire anche come lo interpretano gli altri. Samuele Garofoli ha scelto lui direttamente i brani, e mi ha meravigliato che scegliesse un frammento così particolare come “Bovi Bovi”, ma anche “Ramo Di Rose”, che è diventata una delle cose più belle del disco. Io mi sono pienamente adeguato alle loro scelte… 

Sorprende la scelta di “Tra Giorno E Notte So’ Ventiquatt’ore” che è un canto in ottava rima, che non è poi così semplice da rileggere in jazz… 
Certo, ma anche lì è una versione che va oltre la struttura tipica del canto, come succede in quel frammento di “Senti ‘l Mio Caro Adolfo” che tra l’altro La Macina non ha mai voluto fare, ma che poi è andato a sceglierlo proprio Samuele. Questa operazione mi interessa molto perché entrano altri mondi dentro la mia musica, nel mio lavoro e quindi si continua ad allargare la mia visione, e loro mi hanno dato grandi stimoli in questo senso. 

L’incontro con la musica Jazz lo avevi già sperimentato in parte di Aedo Malinconico… 
Si qualche cosa si, perché nel volume due avevamo inserito il sax di Federico Mondelci, e con altre interpretazioni. La mia esperienza è stata un lungo cammino, in cui tutto è servito, ogni esperienza è stata utile a formarmi, e a darmi la forza di guardarmi intorno. 

So che il jazz è solo uno dei tanti progetti in cantiere ultimamente… 
La scena musicale italiana è molto chiusa nei vari orticelli, e sembra sempre che ci sia paura nel collaborare e nel dialogare con altri generi musicali. Io non rinnego nulla di ciò che ho fatto prima, anche quel percorso molto severo, molto rigoroso dei primi anni, poi improvvisamente ho cominciato a cambiare. Collaborare è necessario per rimanere vivi, e la collaborazione va affrontata anche se si ha paura. Le prima collaborazioni con i Gang, le ricordo con terrore. Li ho dovuti studiare con attenzione, ma poi il rapporto con loro è stato tra i più importanti della mia carriera, che mi ha permesso di toccare altre cose. Adesso ad esempio facciamo un nuovo esperimento, di cui sull’Aedo Volume 3 c’è stato un piccolo assaggio, quello di “Serenata” con un ensemble sinfonico, e adesso c’è un progetto con lo stesso maestro che ha diretto quel brano. Anche lui ha scelto dieci, dodici brani, per i quali ha fatto degli arrangiamenti da brividi per orchestra. Faremo anche una piccola cosa a Gallese, in provincia di Viterbo, dove sarò affiancato da una banda di giovani che ha armonizzato otto canzoni de La Macina. Abbiamo fatto le prove una settimana fa, e con noi ci sarà anche una cantante lirica. 

Insomma, Gastone Pietrucci è sempre un vulcano… 
Ho voglia di fare queste esperienze e queste nuove collaborazioni, non ci tengo a passare per quello che è una voce per tutte le stagioni. Come ti ho detto io vivo per la musica e sto male quando non canto, e quando non progetto. Questa è la mia vita e credo che non potrebbe essere diversa. Non voglio adagiarmi su quello che ho fatto, perché credo che ogni artista debba essere in movimento. Stare fermi significa morire giorno dopo giorno. Io non voglio morire così, voglio sperimentare, voglio fare le cose che mi interessano, e intendo portarle avanti. Certo, i tempi non sono dei migliori, però io vivo per questo. Non sento nemmeno l’età, se continuo così. Può essere che invecchierò all’improvviso un giorno, ma adesso la mia vita è questa. 

Quanto è importante per la musica popolare confrontarsi con altri linguaggi? 
E’ vitale! E’ doveroso! La musica popolare non può star ferma, non è lì cristallizzata ed intoccabile. I puristi mi fanno ridere. La musica popolare si arricchisce con il dialogo, con il confronto, con le collaborazioni, anche con le provocazioni. Personalmente non riesco più a sentire un gruppo di musica popolare, che sta lì rigido a rifare sempre le stesse cose. Io le ho fatte per trent’anni queste cose, questi ricalchi della musica popolare. A me è servito per andare avanti, ma non posso fare sempre le stesse cose. Sperimentare ed aprirsi è anche una crescita, non solo per la musica popolare, ma anche per gli altri generi. Per i musicisti del Samuele Garofoli Quartet questa è stata un esperienza che li ha arricchiti, così come è successo a me. 

Concludendo, che cosa ti porti dietro di quest’esperienza con il jazz… 
Intanto l’arricchimento. Tu vai a vedere uno spettacolo che ti entra dentro, l’emozione non finisce lì, ma ti ritorna successivamente. Questo vale anche per me, e questa è una di quelle grandi esperienze che mi ritroverò dentro. Anche la mia voce è cambiata in questi quarantacinque anni, inconsciamente perché io sono un selvaggio. Non ho fatto studi sulla voce, e addirittura i primi tempi mi partiva completamente perché l’avevo impostata male. Non faccio riscaldamento prima di cantare. Il mio cantato è cambiato rispetto ai primi dischi, e spero in meglio, però è cambiato. Se fossi rimasto fermo agli arrangiamenti dei primi dischi, in cui ero accompagnato da un ensemble piccolo, di musicisti non professionisti. 



Gastone Pietrucci e Samuele Garofoli Quartet – Ramo De Fiori (Rara Records, 2013)
Complice la comune amicizia con il pittore iesino Carlo Cecchi, una sera d’estate del 2011 Gastone Pietrucci e il quartetto del trombettista jazz Samuele Garofoli si ritrovano sullo stesso palco, nel cortile del Palazzo Ripanti di Jesi, a sonorizzare una estemporanea di pittura. Garofoli aveva alle spalle l’ascolto dei dischi de La Macina, sulla base del quale aveva riarrangiato dieci brani, e Gastone Pietrucci, come ci racconta nell’intervista, tanta paura perché quello era un debutto quasi senza prove. Il risultato fu una serata memorabile, come scrive lo stesso Carlo Cecchi, nelle note di copertina, e fruttò il dipinto “La Riva Delle Spose”, ma anche la nascita di questo progetto, che negli ultimi anni ha preso sempre più corpo, di concerto in concerto. Successivamente è nata l’idea di cristallizzare su disco questa inedita collaborazione, e così dopo pochi giorni in studio è nato “Ramo De Fiori”, album che raccoglie dieci brani tratti dal repertorio de La Macina e dalle ricerche di Gastone Pietrucci, riarrangiati per l’occasione da Samuele Garofoli. L’ascolto è assolutamente suggestivo con la voce ruvida ed intensa di Gastone Pietrucci, che si sposa perfettamente con le sonorità costruite con eleganza e raffinatezza dal quartetto jazz marchigiano, in cui a guidare la linea melodica è ora la tromba di Garofoli, ora la chitarra di Roberto Zenchini supportata magistralmente dalla sezione ritmica composta da Gabriele Pesaresi al contrabbasso e Massimo Manzi alla batteria. Ad aprire il disco è il canto d’emigrazione “Benediciamo A Cristoforo Colombo”, qui riletta in una versione dalla grande tensione drammatica ed impreziosita da un pregevole solo di tromba di Garofoli. Le ritmiche in levare della solare versione di “Bella Sei Nada Femmina” ci conducono poi prima ad una rarefatta “Bello Lo Mare E Bella La Marinara”, cantata con grande trasporto da Gastone Pietrucci, e poi alla più movimentata “La Guerriera”. Il vertice del disco arriva con la poesia del canto narrativo “Ramo De Fiori Rose D’Amor”, la cui linea melodica è impreziosita dalla tromba di Samuele Garofoli. Pregevoli sono altresì il sinuoso arrangiamento di “Senti ‘l Mio Caro Adolfo”, e della filastrocca “Bovi Bovi” nella quale brilla tutta la creatività della sezione ritmica e di Roberto Zenchini alla chitarra. Completano il disco il frammento “Dormi Dormi Mia Giovane ‘nesta”, la bella rilettura del canto in ottava rima “Fra Giorno E Notte So’ Ventiquattr’ore” e la serenata “Stanotte Mi Sognai ‘na Bella Fata”, in cui ancora una volta Samuele Garofoli ci regala una splendida performance alla tromba. Il pregevole interplay che caratterizza ogni brano, la voce antica di Gastone Pietrucci, e il dialogo empatico tra stili ed approcci musicali differenti, sugellano un disco di grande spessore, dagli arrangiamenti curati ed illuminati, che mirano ad esaltare la liricità della musica popolare. 


Salvatore Esposito
Nuova Vecchia