I Venticinque Anni Del FolkClub di Torino

Ci sono buone ragioni per amare il FolkClub. Una è che, quando si ha la fortuna di sedersi in prima fila, si possono allungare le gambe sul palco (se siete alti, il piacere è ancora maggiore). Un’altra è che andandoci – per quanto uno lo conosca e frequenti – si hanno sempre buone possibilità di sbagliare strada. Il FolkClub segue regole geografiche sotterranee e misteriose: non esiste, in superficie. È in una zona di Torino centrale ma poco frequentata di sera, con quelle strade ad angolo retto tutte uguali. Non ha insegne o déhor e vi si accede, scendendo le scale, da un anonimo pianerottolo. Il fatto che – legalmente – le mura del “basement” siano di proprietà dell’ACLI - quanto di più lontano da pericolose immagini di sovversivi anarcoidi folkettari possa esserci - completa il “sabaudismo” del locale, nel bene e nel male: un posto così può esistere solo a Torino. Torino è cambiata nell’ultimo decennio; ha intricate geografie di vita notturna e di locali, un circuito elettronico, un circuito indie, di canzone d’autore, di jazz. Il FolkClub si fa gli affari suoi, da sempre, al punto che spesso si ha la tentazione di considerarlo come un’altra apparizione di quella Torino sotterranea, fatta di cunicoli e misteri templari. Il suo sparire dalla mappa non è, però, volontà élitaria o snobismo, quanto piuttosto diretta conseguenza della sua vocazione, parte del suo essere: «Siamo fuori da certi circuiti perché al FolkClub si viene per sentire i concerti, non è un locale dove si va a bere» spiegano Paolo Lucà e Davide Valfré. «Qui arrivi, ti siedi, ti becchi il concerto e te ne vai: FolkClub non può e non vuole entrare in quei circuiti. Non deve». Paolo e Davide dirigono FolkClub dalla morte di Franco Lucà, che lo aveva fondato nel 1988. La nostra conversazione parte proprio dalla ricorrenza del quarto di secolo, festeggiato con una stagione di altissimo livello, in controtendenza rispetto ad una scena cittadina e regionale che per la prima volta dopo le Olimpiadi del 2006 appare in forte contrazione di offerta, e in netto calo qualitativo, complice anche l’arrivo in Regione della giunta Cota. In parallelo all’attività del club torinese prosegue anche quella di Maison Musique a Rivoli, nella prima cintura. Struttura unica in Italia, ospitata in un ex mattatoio primi Novecento, Maison Musique incorpora un ristorante, un bar, una foresteria, uno studio di registrazione, una sala concerti… Oltre all’archivio del C.R.E.L, Centro Regionale Etnografico Linguistico, che raccoglie documenti del folk revival storico e la quasi totalità dei fondi di Cantacronache. Maison Musique vive un momento di difficoltà economica grave, che ha portato alla momentanea chiusura del C.R.E.L. in attesa dello sblocco dei fondi. 

Gli anniversari, si sa, sono solo questione di quando uno comincia a contare gli anni. Per il FolkClub, il venticinquennale è anche in quinto anno dal ventennale, che avevate festeggiato con un concerto-monstre al Teatro Regio di Torino… 
Sì, il ventennale incombeva. Abbiamo passato gli ultimi mesi di preparazione della stagione a correggerci: non il “venticinquennale”; lo abbiamo chiamato il “venticinquesimo compleanno”. Il ventennale è diventato, per noi, IL VENTENNALE, l’evento, una cosa unica e irripetibile. Era stato anche l’addio di Franco, che l’aveva ideato e che sarebbe morto pochi mesi dopo. Ci siamo detti: perché mettersi in competizione con noi stessi – e senza Franco – andando ad organizzare una serata come quella? Così è nata l’idea che la festa fosse la stagione intera. 

Come avete composto il cartellone? 
Abbiamo cercato gli artisti con lo spirito con cui erano stati scelti in quell’occasione; partendo, cioè, dai più assidui – quelli venuti tante volte, e che il pubblico torinese identifica con il FolkClub, come Eric Andersen, Franco Morone, Mimmo Locasciulli, Beppe Gambetta… Poi abbiamo pensato alle “perle”, quei musicisti passati da noi magari una volta sola, ma per concerti unici. Ad esempio, vengono in mente Marc Ribot, gli Oregon... E poi, per non restare con lo sguardo rivolto indietro, abbiamo cercato gli artisti che dovranno essere le “perle” del trentennale, del trentacinquennale, mai venuti al FolkClub: Bap Kennedy, Ron, Lo Còr de La Plana, Mario Incudine… Naturalmente, rispetto all’elenco che ci eravamo fatti, non siamo riusciti ad averli tutti. E ci sono state delle rinunce dolorose: Riccardo Tesi non ce l’ha ancora perdonato! Ma era venuto l’anno scorso, e cerchiamo di non fare mai lo stesso musicista per due anni di fila. Ci sarà l’anno prossimo, e stiamo vedendo che con quelli che non siamo riusciti ad inserire, e quelli che ci hanno detto “non mi avete messo”, abbiamo già la prossima stagione praticamente pronta... Molti rapporti si sono anche riallacciati, ad esempio con i Fratelli Mancuso, che negli anni Ottanta venivano a Torino a discutere con Michele Straniero e Franco di politiche culturali...

In questa epoca di scarsità di fondi, quanto contano i rapporti di amicizia e il prestigio del locale nel comporre una stagione con nomi così prestigiosi? 
Quando abbiamo rapporti di un certo tipo con gli artisti – soprattutto nei casi in cui possiamo bypassare il management – riusciamo a contenere i prezzi. In più, molti artisti vogliono venire al FolkClub, e quindi rinunciano a parte del cachet. 

Il FolkClub sopravvive con la sola biglietteria? 
Per il momento sì, e ce la fa con il solo, visto che non abbiamo più ricevuto un euro di fondi pubblici. Due anni fa c’è stata un’inversione di tendenza molto importante, a cui Franco non era mai arrivato: il cachet medio è diventato più basso dell’incasso medio. È una cosa a cui siamo giunti gradualmente, lottando allo stremo delle forze per contenere i costi. Abbiamo abbassato il monte-cachet annuale, e grazie a questo non abbiamo ritoccato il prezzo medio dei biglietti, che è di 17 euro da almeno sei anni – e che forse solo quest’anno è leggermente cresciuto, ma in considerazione dei molti grossi nomi in cartellone. L’affluenza del pubblico, che pure è un po’ calata rispetto alle stagioni straordinarie che abbiamo vissuto alla metà degli anni Duemila, ci ha permesso di arrivare a questo risultato. Poi - per carità - ci sono altre spese, ma è un successo decisivo per noi. 

Il pubblico si è rinnovato in questi anni? 
I giovani sono sempre di più; da più di un decennio abbiamo l’iniziativa dei biglietti a metà prezzo per i giovani… Vista la situazione economica e sociale, abbiamo alzato la soglia agli under trenta. Ci si patisce un po’ quando si contano i soldi a fine serata, ma è un investimento per creare il pubblico di domani. Alla fine, il 14-15 per cento dei biglietti totali sono scontati, con degli exploit inattesi, come nel recente concerto di Lo Còr de La Plana. Lo zoccolo duro del pubblico, comunque, è fra i 40 e 60 anni: la fascia anagrafica che ha soldi da spendere... 

Da quando la programmazione è in mano vostra, che cosa è cambiato? 
Abbiamo sentito di dover differenziare i generi più di quanto non avesse fatto Franco, anche per aprirci ad un pubblico più diversificato. Ad esempio, il progetto “Assaggi d’autore” - che prevedeva quattro artisti emergenti di cantautorato italiano con diverse declinazioni, al prezzo politico di dieci euro - era il tentativo di avvicinare un pubblico di giovani ad un genere che negli ultimi dieci anni ha vissuto una bella rinascita, ed è una formula che in molti ci hanno copiato. Non ha avuto la risposta che ci aspettavamo, mentre invece il progetto “Radio Londra”, organizzato con Enzo Zirilli e dedicato alla scena jazz londinese, ha avuto e ha un successo ottimo. 

Si nota, in effetti, una maggiore attenzione al jazz… 
Sì, programmiamo più jazz, e con buoni risultati di pubblico: Franco lo apprezzava e conosceva ma si riteneva un neofita del genere. Neanche noi siamo esperti, ma abbiamo meno da perdere a metterci in gioco in quella direzione. In negativo, invece, è purtroppo calato il blues: un po’ per problemi di buon vicinato, per cui abbiamo deciso di spostare a Maison Musique i concerti elettrici più rumorosi. Un po’ per un’altra grave perdita, di poco successiva alla morte di Franco: quella di Umberto Tonello, manager di molti artisti americani che era il nostro referente sul blues e che costruiva i suoi tour intorno alla nostra data. In più, la crisi gioca a nostro sfavore e spesso siamo l’unica venue in Italia a confermare le date agli artisti americani a fronte di sei-sette pre-conferme, con successivo annullamento del tour.
  
Passando a Maison Musique… c’è ancora benzina per andare avanti? 
Quando c’è la bicicletta e non si pedala, dopo un po’ si cade… Per cui noi continuiamo, e abbiamo da poco annunciato la programmazione per la seconda metà della stagione, ma aspettiamo ancora i fondi dell’anno scorso e purtroppo non sappiamo in che condizioni arriveremo a giugno. Sicuramente dovremo riprendere i contatti con le amministrazioni e capire se intendono sostenere il progetto per il 2013; negli ultimi anni siamo stati bravi e abbiamo limitato i contributi degli enti pubblici ad un terzo del bilancio del C.R.E.L.: di più non possiamo fare, altrimenti non saremmo più un’associazione culturale. Prima venivano comunque tutelati progetti dai contenuti culturali indiscutibili, che non possono produrre utile – è il caso del C.R.E.L. Attualmente l’atteggiamento della Regione è: se una realtà culturale non produce utili è inutile, e va tagliata. Vanno sostenute quelle che producono utile perché sono “virtuose”… Inoltre, si avvicina la scadenza della convenzione con il Comune di Rivoli, proprietario dei muri.Vedremo se qualcuno ha intenzione di mantenere insieme a noi questo livello di qualità, o se vogliono prendere questa struttura e farci un centro commerciale. 

Le residenze creative, fiore all’occhiello di Maison Musique, possono essere un modo di sostenere le attività? 
Sono una delle possibili vie di fuga, sfruttano al massimo la struttura e creano un bel rapporto con il gruppo… A breve, ad esempio, la Banda Osiris monterà a Maison Musique il prossimo spettacolo. Ma non si può pensare che tengano su la baracca da sole, bisognerebbe farne una ogni settimana.

Per maggiori info:
www.folkclub.it  www.maisonmusique.it



Jacopo Tomatis
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