La Zampogna. Festival Di Musica E Cultura Tradizionale, Maranola, Campodimele, Itri, Formia, 18-20 gennaio 2013

Nemmeno la pioggia ha scoraggiato il popolo zampognaro che nei tre giorni della ventesima edizione del Festival La Zampogna ha accompagnato la manifestazione, accolta come consuetudine da diverse località pontine. Il raduno è uno dei punti di riferimento per quanto riguardo gli aerofoni a sacco, ma non solo. Stand di liutai, concerti, seminari, showcase, presentazioni di pubblicazioni, jam session costellano l’iniziativa, che culmina alla domenica nel borgo posto alle pendici degli Aurunci. E festa è stata anche quest’anno, perché, come ci ricorda La Gazzetta dello Zampognaro, la testata-programma che annualmente è pubblicata in occasione della manifestazione, il numero 20 nella smorfia napoletana corrisponde proprio alla festa. Tutto ciò, nonostante l’imperversante maltempo, la crisi, i tagli alla cultura, le terribili difficoltà che affrontiamo quotidianamente, fattori che hanno portato a qualche defezione tra i liutai invitati. La novità del 2013 è stata la…riconquista di Formia: il festival ha fatto tappa nuovamente nella cittadina rivierasca, con una bella serata al teatro Remigio Paone che ha visto di scena i prodi alfieri della Zampognorchestra e il funambolico, inventivo artista siberiano Vladiswar Nadishana, quest’ultimo alle prese con uno strumentario composito: dagli scacciapensieri siberiani al kou xiang, strumento cinese costituito da lamelle metalliche, simile anch’esso ad uno scacciapensieri, che produce un suono simile a quello di un synth, dal flauto armonico ad un vaso da fiori percussione, da una sansa ibrida al… cellulare. 
Del quartetto Zampognorchestra (Aldo Iezza, Giuseppe Moffa, Antonello Di Matteo, Massimiliano Mezzadonna), che a Maranola la domenica pomeriggio ha presentato il loro spumeggiante disco nuovo di zecca Bag to the Future, si deve dire che rappresentano una nuova generazione di zampognari. Tra l’altro, che Giuseppe Spedino Moffa sia uno zampognaro lo attesta anche la sua carta d’identità su cui è scritto proprio “professione: zampognaro”. I quattro musicisti hanno alle spalle studi di conservatorio e ascolti a tutto campo, ma soprattutto la determinazione di voler sfatare gli stereotipi sulla zampogna, guardando a ciò che è avvenuto con le cornamuse in Scozia o in Galizia, senza per questo negarne il ruolo di icona della natività e di altri rituali devozionali. In tal senso, il loro groove, il piglio rock (la zampogna gigante laziale usata come un basso, gli altri aerofoni usati in veste melodica ed armonica), la rilettura di classici di Rolling Stones e Beatles ma anche del cavallo di battaglia dei Blues Brothers, non è certo un divertissement, piuttosto rivela l’abilità di elaborare una nuova scrittura per uno strumento antico che – con alcuni accorgimenti organologici, come i fori applicati del bordone che ampliano lo spettro armonico – può parlare le lingue musicali di oggi. 
Accanto a “(I Can’t Get No) Satisfaction”, “With a Little Help from My Friends” e “Gimme Some Lovin’”, pagine compositive che uniscono pastorale e brit pop, funky e tarantella. Va detto che in fin dei conti lo spirito dell’ensemble abruzzese-molisano è riconducibile a quello dello stesso festival laziale, che ha sempre considerato la tradizione come un processo, dando spazio e visibilità agli anziani maestri degli aerofoni popolari, depositari di sapienza e portatori di letizia nei piccoli e grandi centri urbani, ma anche ai nuovi suonatori e innovatori degli strumenti. Anche quest’anno ne abbiamo incontrati parecchi: da quelli di Cava de’ Tirreni ai cilentani, e naturalmente i suonatori locali. Ritornando al programma del Festival, dopo le serate di Campodimele (18 gennaio), protagonisti gli organetti di Sparagna e il versatile artista siberiano, a Itri (il 19 gennaio), al Museo del Brigantaggio, c’è stata la presentazione del ”buco buco”, un canto di questua in uso l’ultimo giorno dell’anno a Sessa Aurunca, nel casertano, e un set di canti di Sicilia interpretati dalla brava Eleonora Bordonaro, accompagnata all’organetto da Ambrogio Sparagna che, con il suo pard Erasmo Treglia, è l’ideatore e promotore della manifestazione. 
Detto del concerto sul palcoscenico del teatro formiano, va aggiunto che la stessa sera nella frazione di Maranola si è svolta una cena a base di prodotti locali (deliziose cicerchie, salcicce e polenta e vin brulè) e musica per zampogne: una novità gustosa del festival, dalle buone potenzialità, vista la discreta affluenza di pubblico che ha sfidato l’umidità e il freddo della notte. Così, si arriva alla domenica mattina (20 gennaio), quando sotto la pioggia si è svolta l’ormai rituale processione di suonatori all’edicola votiva della Madonna degli Zampognari. Dopo il momento di raccoglimento affidato alle parole del parroco Don Antonio De Meo, imprescindibile figura che dà il via alla mattinata maranolese, la zampogna di Gianluca Zammarelli e la dolce voce di Lavinia Mancusi hanno eseguito i canti votivi per la Madonna. Da subito è arrivata la sorpresa: Enzo Avitabile, al quale è andato quest’anno il Premio La Zampogna, ha voluto intonare anche lui delle devozioni del XXI secolo per voce e tamburo. 
Che inizio! L’informalità, la spontaneità, la flessibilità dominano un festival come La Zampogna: così succede che la voce tenorile di Nando Citarella – presente in sala – si unisca ai cilentani Kiepò, tra i quali primeggiano la zampogna di Tommaso Sollazzo e la ciaramella di Antonio Cortazzo, ad accompagnare la presentazione del bel libro di Giandomenico Curi, Il tempo del Bambino e della Stella (edito da Kurumuny). Nel frattempo, tra un seminario e l’altro, sempre a Torre Cajetani al centro studi De Santis, sede dell’Archivio Aurunco, si poteva ammirare la mostra temporanea di flauti, colti e popolari, allestita dal collezionista Francesco Spada. Altro momento di riflessione e di musica al contempo, il meticoloso progetto di ricerca dell’ensemble Lapsus Calami che, partendo dallo studio organologico di zampogne e ciaramelle di oggi e dall’analisi delle notazioni dei manoscritti, non solo riformula la prassi costruttiva delle bombarde rinascimentali, ma rinterpreta anche alcuni repertori di musica antica ed etnica (dall’ars nova alla Turchia, dalla musica bretone alla lauda). La maggior parte degli artisti presenti al festival si è esibita dal pomeriggio al crepuscolo nella chiesa di San Luca Evangelista, dove abbiamo potuto ascoltare anche interventi di Raffaello Simeoni e del Coro Popolare dell’Auditorium Parco della Musica di Roma diretto da Annarita Colaianni. 
Nel continuum sonoro creatosi nella chiesa, un acclamatissimo e disponibilissimo Enzo Avitabile ha condiviso la scena con Nando Citarella, Ambrogio Sparagna e Gianni Dell’Aversana. Finale con il concerto “Il suono del vento, organi a zampogne”, protagonisti Alessandro Mazziotti, Orlando D’Achille e Luigina Parisi, nella splendida chiesa di Santa Maria ad Martyres, dove ha suonato un organo del 1761, da poco restaurato. Un concerto che ha riletto pagine storiche di compositori colti ispirati dal registro e dai suoni delle zampogne. Come sempre gli eventi ufficiali sono stati affiancati da session improvvisate tra gli stand dei liutai (purtroppo penalizzati dalla pioggia), nelle viuzze del paese. Venti anni sono un grande traguardo per il festival sud pontino che tanto fa per la valorizzazione della cultura popolare. Val la pena ricordare quanto osservato da Erasmo Treglia con la sua abituale verve ironica: “20 anni fa dare dello zampognaro a qualcuno suonava come un’offesa. Oggi, anche grazie ad un festival come La Zampogna, non lo è più”. In venti anni alle zampogne e agli zampognari è stata data una nuova dignità. Una moltitudine di appassionati, cultori, musicisti e costruttori anima un movimento culturale in continua crescita. 


Ciro De Rosa
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