Gioia e Rivoluzione: Il Ritorno degli Area

A quartant’anni dalla pubblicazione del loro primo album “Arbeit Macht Frei”, Patrizio Fariselli, Paolo Tofani e Ares Tavolazzi, ovvero tre dei componenti storici degli Area hanno incrociato di nuovo le loro strade. Sebbene nel gruppo manchino due figure importanti come Demetrio Stratos e Giulio Capiozzo, il nuovo corso del gruppo, partendo dalle radici del passato guarda verso il futuro, senza nostalgia o rimpianto ma piuttosto con una rinnovata curiosità nell’esplorare nuovi suoni e strutture musicali. In occasione della pubblicazione di Live 2012 che documenta il tour della reunion, abbiamo intervistato Patrizio Fariselli e con lui abbiamo approfondito il nuovo corso della band, il nuovo album, senza perdere di vista la sperimentazione sonora e la ricerca. 

Come è nato Live 2012, disco che nasce da due anni di tour di Reunion con i membri storici degli Area? 
All’origine di tutto c’è il desiderio e il piacere di riprendere a fare musica assieme. La Reunion è cominciata due anni fa, estemporaneamente, con un concerto a Siena in memoria di Demetrio Stratos, organizzato da Mauro Pagani e nel quale eravamo invitati singolarmente a portare il nostro lavoro. Io mi esibii in piano solo e con una danzatrice, mia sorella Loretta Fariselli, Ares Tavolazzi suonò con il suo trio, e Paolo Tofani si presentò con il suo set elettronico. Ognuno eseguì il suo repertorio e alla fine facemmo una jam session, breve, ma intensa; e lì, di fronte a quel bellissimo pubblico, è nata la scintilla che ci ha fatto tornare assieme . E mi sono detto, ma guarda un po’, non ci si può distrarre una trentina d’anni che si trovano i vecchi compagni, non solo ancora vivi e vegeti, ma che fanno anche cose molto interessanti, per quanto formalmente lontane l’uno dall’altra. La diversità di vedute musicali, contrariamente a quel che si può pensare, è un elemento formidabile per la coesione di un gruppo come gli Area. Tramite l’interscambio, produrre qualcosa di nuovo, stimolare la fantasia degli altri, questo è sempre stato il nostro modo di procedere. A Siena ci siamo lasciati con la promessa di rivederci, e poi, qualche mese dopo, ci siamo ritrovati a Bologna per due concerti, una sera dietro l’altra. Il primo in trio, senza percussioni, e l’altro con un amico, U.T. Gandhi, un grande batterista con il quale ogni tanto suoniamo, anche se il batterista ufficiale della formazione è Walter Paoli. Queste due occasioni furono talmente divertenti che decidemmo senza dubbio di proseguire l’attività. Nei successivi concerti utilizzammo una formula particolare, che è documentata sul disco. Inizia Paolo Tofani, da solo, e suona quanto gli pare, a volte anche un quarto d’ora, o venti minuti (ride). A lui poi mi aggiungo io, e insieme facciamo un duetto; dopo di che, Paolo se ne va e io suono un pezzo di piano solo; poi sale sul palco Tavolazzi e suoniamo in due, poi io me ne vado e lascio solo Ares, e così via. Uno dei due cd documenta questa parte. Praticamente iniziamo a suonare tutti assieme, in quartetto, dopo almeno tre quarti d’ora. Questa esigenza di iniziare gradualmente e arrivare senza fretta alla musica d’insieme, ha due scopi fondamentali: il primo è quello di fare il punto della situazione, di mostrare qual è stato il percorso di questi trent’anni, quali sono le cose che ci interessano in questo momento; e il secondo è un modo di riprendere confidenza, di annusarsi, piano piano, senza fretta; e questo non aver fretta innesca un altro gioco, questa volta nei confronti del pubblico, mi riferisco soprattutto a quelli della mia età, quelli che chiamo i “combattenti e reduci” (ride) che molto spesso vengono a sentire gli Area per rivivere momenti della loro giovinezza e hanno fretta di sentire i pezzi che conoscono, invece si trovano di fronte a un sacco di musica nuova, per un bel po’. E’ anche un modo per dire: se vuoi ascoltare gli Area stai lì e ascolta chi sono gli Area adesso, senti perché hanno deciso di sfoderare la vecchia bandiera. Questa prima parte è dunque fondamentale. Dopodiché inizia l’esibizione in gruppo e si va avanti ad abundantiam. I concerti possono durare anche due ore e mezza e c’è modo di saziarsi. 
Si attacca a fare musica d’insieme, con una rivisitazione del repertorio storico del gruppo, guai a non farlo, ci sono pezzi che sono monumenti nazionali (ride). Noi però li affrontiamo con grande disinvoltura, sia chiaro. Innanzitutto evitando di fare il verso a noi stessi, non potremmo sopportarlo. Introduciamo tutta una serie di elementi, negli arrangiamenti e nello sviluppo delle parti, completamente nuovi, e molto diversi da come li facevamo negli anni settanta. Abbiamo scelto di eseguire musica strumentale, senza cantante, a parte l’ospitata di qualche amico, ogni tanto, come Maria Pia De Vito che sul disco canta Cometa Rossa; però sostanzialmente è musica strumentale, che va ad esplorare potenzialità che i brani avevano al loro interno, ma che forse allora non sono state espresse compiutamente. In quest’ottica andiamo a ripescare brani meno famosi come “Nervi Scoperti”, che negli anni settanta abbiamo inciso e praticamente mai suonato dal vivo. Ciò succedeva perché cominciavamo ad accumulare tanto materiale musicale, e alcuni pezzi nati in studio sono finiti lì, senza avere un seguito nei concerti, senza una successiva elaborazione. Un altro brano che vogliamo rimettere in pista sarà “Megalopoli”, dal tema meraviglioso, che allora affrontammo in una certa maniera e che, guardandolo adesso, vediamo sviluppato in maniera insufficiente (ride). Quel pezzo ha ancora molte cose da dire… e le diremo. O un altro pezzo potrebbe essere “ZYG - Zero Year Growth”, che probabilmente andrà sul prossimo disco. Questo per dirti che a noi interessa il work in progress, non a caso questo è un disco live, che documenta questo tipo di interesse. 

Sono passati trent’anni dal vertice della vostra esperienza come gruppo, è passato un grande personaggio come Demetrio Stratos, Giulio Capiozzo… 
Certo, la maggior parte del pubblico conosce gli Area come quintetto, con la formazione con cui abbiamo registrato la maggior parte dei dischi, ma nel nostro gruppo sono passati altri grandi talenti che non hanno lasciato molti segni nella storia discografica, ma che nell’attività performativa, in concerto, sono stati determinanti: parlo di Eddy Busnello, grandissimo sassofonista che suona nel primo disco, Massimo Urbani, che è stato con noi tra il 1973-1974, e Larry Nocella, tutti grandissimi artisti prematuramente scomparsi… Poi ovvio che si parli soprattutto di Demetrio Stratos e Giulio Capiozzo, elementi fondamentali del gruppo, che ci mancano tanto. 

Nella storia recente c’è stato anche un ottimo chitarrista jazz come Pietro Condorelli… 
Sì, il Condor, anche lui ha suonato con noi, abbiamo fatto molti concerti insieme. E poi c’è stato anche Paolino Dalla Porta, al contrabbasso, tra il 1996 e il 1997, con me e Giulio Capiozzo. Il fare musica, così come lo intendiamo noi, è una cosa molto viva e fluida; gli Area intendono definire una progettualità, un percorso... Area è il cappello dove coesistono delle tensioni, naturalmente ci sono delle costanti, che rimangono tali, ma è una dimensione variabile, anche se poi i dischi storici, chiamiamoli così, anche se mi fa un po’ ridere, sono stati fatti dal quintetto. 

In Live 2012 siete riusciti a non far sentire la mancanza di Demetrio Stratos. Nei vari brani c’è una liricità che evoca la sua voce… 
Questa è una cosa che, da un lato, mi fa piacere. Se ci pensi, la musica degli Area è sostanzialmente strumentale, con ogni tanto interventi vocali. In fondo non abbiamo mai fatto canzoni, se non in un paio di occasioni, quindi non è che la musica del gruppo si appoggiasse sul cantante, come nel 99% dei gruppi; anche Stratos era un musicista che usava la voce, era un pianista; suonava l’organo con me, eravamo due tastiere, una particolarità non indifferente, anche di una certa difficoltà. Era anche compositore, un progettista di musica, come tutti noi, e poi aveva questa voce pazzesca che nel gruppo usava in quel modo, in modo a volte parco, rispetto alla parola, ma esuberante per quello che riguarda il suono. Ecco perché, a chi conosce i nostri dischi e la nostra storia, pare quasi di sentire Demetrio che viene fuori, anche nelle cose che facciamo adesso. Se fosse vivo, sarebbe qui con noi a farsi delle risate… 

La struttura del disco inverte quello che è l’ordine della vostra esibizione in concerto… 
Abbiamo dovuto dividere la mole di musica in due oggetti differenti, due dischi. Non è una cosa cercata. Per noi, sul palco, è un fluire unico, si va dal minimo al massimo, dal rarefatto ad una massa imponente di suoni. Su disco abbiamo solo invertito i numerini (ride) perché è una comunicazione di tipo differente. E poi non è la scaletta esatta dei concerti, abbiamo voluto cominciare con “La Mela di Odessa” perché è un pezzo nel quale il gioco ha la predominanza; Paolo si permette delle licenze rispetto al testo originario, improvvisando, perché è un burlone (ride) molto serio… 

Hai accennato a Maria Pia De Vito, così mi piacerebbe soffermarmi su Cometa Rossa.. 
Come ti dicevo prima, rimane un po’ l’atteggiamento di gruppo aperto inaugurato nel 1975 nel disco "Maledetti". Gli Area decisero che avevano bisogno di aprirsi: volevamo rompere la logica dell’ensemble chiuso, anche se il rapporto costruito nel tempo, tra noi musicisti “titolari”, era molto intenso; il gruppo doveva aprirsi. Abbiamo cominciato ad accogliere degli ospiti e continuiamo anche oggi: due anni fa, con Mauro Pagani, siamo stati a suonare a New York. In passato, negli Stati Uniti, avevamo sempre trovato le porte chiuse, per motivi politici, ma finalmente ce n’è stata data la possibilità. Là si sono aggiunti altri musicisti, il batterista J.T. Lewis e Marco Cappelli, un chitarrista italiano che è venuto a trovarci. Anche con U.T. Gandhi, batterista e percussionista, come dicevo prima, ci piace trovarci a suonare. E, naturalmente, con Maria Pia, che ha molte analogie con il lavoro di Demetrio; parlo di analogie di principio: anche lei è una musicista che usa la voce. Maria Pia è una punta di diamante della musica vocale italiana, proprio per il fatto di essere prima di tutto musicista, e di un professionismo pazzesco. Ha avuto la grande intelligenza di ispirarsi alla vocalità di Demetrio senza scimmiottarlo. E’ arrivata a suonare con noi quasi senza prove, ma durante il primo concerto che abbiamo fatto, sembrava che avessimo suonato insieme da sempre. Ci ha restituito le parti strutturali in cui era determinante la voce, aggiungendovi la sua personalità, regalandoci il suo lavoro e il suo talento; in modo molto coerente con il tipo di ricerca che sta portando avanti il gruppo. “Cometa Rossa” documenta questo tipo di percorso e di atteggiamento. Nel duetto che facciamo come introduzione, lei porta agli estremi le sue possibilità vocali, giocando fino a confondere il confine tra la voce naturale e quella del sintetizzatore. E’ una cosa che ci ha molto divertito, ed è stata estemporanea, improvvisata. Noi siamo tutti improvvisatori e diamo grande importanza alla performance, alla musica fatta in quel momento, con quella gente, in quel posto. Questo è l’altro motivo per cui abbiamo scelto di fare un live, rubando qua e là alcuni momenti di vita vissuta. Comunque, tornando a “Cometa Rossa”, sono certo che Demetrio stesso sarebbe contento di sentire quel pezzo cantato in questo modo. 

Un altro brano che mi ha colpito molto nella nuova versione è la storica “Luglio, Agosto, Settembre (nero)”. Quanto è attuale ancora questo brano? 
Purtroppo, moltissimo. Nonostante sia uno dei brani più vecchi che abbiamo fatto. Parliamo di quarant’anni fa… il prossimo anno c’è il quarantennale del gruppo! Allora, parlammo del problema del popolo palestinese cercando, in qualche modo, di mettere sul piatto le loro istanze, invitando a risolverle. E’, non solo triste, ma vergognoso, che a quarant’anni di distanza non sia cambiato nulla! Quindi un po’ mi disturba che questo pezzo sia di così tragica attualità… Per questo è importante continuare a farlo, affinché se ne parli… Dal vivo facciamo un’azione, prima di questo pezzo, che non è venuta documentata nel disco perché è stata scelta una versione in cui non c’era: prima della voce araba invitiamo il pubblico a frugarsi nelle tasche e tintinnare le loro chiavi per un lungo momento, insieme a noi. Questo in omaggio ai cittadini palestinesi, che si tramandano di padre in figlio le chiavi delle loro vecchie case, chiuse e sequestrate dagli israeliani. Molte di quelle case furono abbattute e ciò che resta è solo quella chiave, un simbolo di ciò che, legalmente, dovrebbe essere la loro casa, la loro terra . Trovo questa cosa davvero terribile, ancorché piena di poesia. Così prima di “Luglio, Agosto, Settembre (nero)” facciamo un attimo di silenzio e facciamo risuonare questo suono fievole, ma dalla grande potenza evocativa. 

Il medley “Gerontocrazia/L’Elefante Bianco” apre il vostro suono verso la world music. La ricerca in questo ambito ha da sempre caratterizzato il vostro suono… 
Noi facevamo world music ante-litteram, siamo sempre stati curiosi. La curiosità e la ricerca sono le molle di tutti i musicisti che hanno fatto parte del gruppo. In particolare fu Demetrio che intraprese un percorso di ricerca delle sue radici levantine, lui era greco, ma di nazionalità cipriota e nato ad Alessandria D’Egitto. Il suo percorso musicale si era sviluppato in un’ottica occidentale, non a caso, aveva fatto le scuole inglesi in Egitto; cantava in inglese come fosse madrelingua, la sua cultura era quella del grande rock e del Rytmn and Blues americano, che suonava in modo incredibile. Ci fu però un momento in cui volse lo sguardo a oriente, verso la cultura dei suoi antenati, e cominciò un percorso di studio sulla musica balcanica e quella greca, e naturalmente, anche tutti noi rimanemmo affascinati da questo mondo. Conoscemmo questa musica partendo da un musicista americano che si chiamava Don Ellis, direttore d’orchestra ormai scomparso, che in un suo disco fece un pezzo che si chiamava “Bulgarian Bulge”: era un pezzo bulgaro a tutti gli effetti, con tempi dispari, suonato dall’orchestra a velocità pazzesca, nel quale ognuno improvvisava. Da questo interesse per la musica balcanica, per quel tipo di modalità melodica, e soprattutto per i tempi dispari, è cominciata la vena compositiva dei nostri pezzi. 

Live 2012 è dunque un disco di musica contemporanea a tutto tondo… 
Se un artista vuole essere degno di questo nome, non può non portare ai limiti la sua ricerca di conoscenza. Noi abbiamo cercato di onorarla fino in fondo questa cosa. La musica contemporanea sta diventando un’etichetta, in cui si fa riferimento a certa musica colta, a certi compositori ed elaborazioni sonore storiche, che abbiamo cercato di conoscere il più possibile. La nostra etichetta, la Cramps di Gianni Sassi, dedicò intere collane, documentando le punte di diamante della ricerca compositiva, a musicisti straordinari, come John Cage, Walter Marchetti, Juan Hidalgo… ed anche alla ricerca strumentale sui singoli strumenti. Vivendo a Milano, in quel periodo, siamo venuti in contatto con queste persone e abbiamo avuto modo di imparare tantissimo. 

In questo Gianni Sassi era il massimo dell’eclettismo… 
Gianni era una persona illuminata, di profonda cultura. Diventò discografico per pubblicare la musica degli Area di cui era il paroliere, e poi di tanti altri musicisti, come gli Skiantos, Finardi, Arti e mestieri, Battiato… Le sue collane di musica contemporanea e di ricerca continuano ad essere delle vere perle.

Facendo un salto indietro nel tempo. Tu nasci in una famiglia di musicisti, quanto ha pesato nella tua carriera questa cosa? 
Mio nonno suonava il clarinetto nelle feste campestri della Romagna e questa sua passione per la musica lo indusse a far studiare i suoi due figli, mio padre e mio zio, che frequentarono il conservatorio di Cesena. Mio padre studiò contrabbasso e poi si ritrovò a suonare il trombone; negli anni cinquanta passò diverso tempo nell’orchestra di Henghel Gualdi, uno dei più grandi musicisti che abbiamo avuto in Italia, e con lui si trovò a suonare anche jazz. Mio zio invece era un violinista, la sua passione era il grande repertorio ungherese, aveva un senso della melodia impressionante. Quindi immagina la tecnica ungherese applicata all’espressione melodica romagnola. Poi c’è mio fratello, che è un sassofonista valente e mia sorella che è danzatrice… La musica per noi è cosa naturale... 

Come ha inciso nella tua vita da musicista tutto questo… 
In termini di affetto moltissimo, ricordo gli anni della mia adolescenza con grande tenerezza. Ho suonato per diversi mesi con l’orchestra di mio padre, quando lui ha avuto bisogno. Mi sono fatto una bella carica di valzer, polke e mazurche. Sono cose che formano, ma le odiavo all’epoca. Poi con il tempo ho cominciato a rispettarle e ho riscoperto la musica di mio nonno, quella delle campagne dominate dal Passatore… Mio padre ha sempre supportato la mia passione per il jazz, per la musica improvvisata e mi ha sempre aiutato e sostenuto in qualsiasi scelta. Quando sono entrato negli Area, all’epoca avevo vent’anni, appena finito il militare, ero il più giovane di tutti e lui era un nostro fan accanito; è sempre venuto ad ascoltarci, mi ha sempre dato consigli e gliene sono molto grato, perché era una persona saggia, oltre che un musicista autentico. Al conservatorio, ho avuto la fortuna di studiare con Sergio Cafaro, un maestro di grandissimo livello che mi ha aperto la mente. Per chi volesse saperne di più, ho scritto anche un libro che si chiama “Storie Elettriche” dove c’è un po’ della storia mia e degli Area, e una quantità di aneddoti personali. 



Area – Live 2012 (Up Art Records) 
A quante reunion nostalgiche di storiche band abbiamo assistito in questi anni? Difficile contarle, quel che è vero è che nessuna di queste è riuscita a dare una risposta degna del loro passato. L’eccezione che conferma la regola sono gli Area, ovvero Patrizio Fariselli (pianoforte e tastiere), Paolo Tofani (chitarra, live electronics, voce) e Ares Tavolazzi (contrabbasso e basso elettrico), che complice un concerto organizzato dall’ex PFM, Mauro Pagani nel corso della rassegna Siena Città Aromatica, si sono ritrovati a suonare insieme dopo tanti anni. Da lì è partito il progetto di rispolverare il vecchio marchio di fabbrica, proponendo non una semplice rilettura nostalgica del loro repertorio ma piuttosto aggiornandolo ed impreziosendolo alla luce delle rispettive esperienze musicali accumulate in questi anni, e senza perdere di vista la curiosità nella ricerca e nella sperimentazione di nuove sonorità. Il risultato è stato un lungo ed applauditissimo tour durato ben due anni, e che adesso trova la sua più giusta testimonianza in Live 2012, doppio disco che raccoglie tredici brani registrati dal vivo con la partecipazione del batterista Walter Paoli e della straordinaria Maria Pia de Vito. Ad aprire le danze è un classico, “La Mela di Odessa” con Paolo Tofani che racconta la storia del dadaista Appel che nel 1920 dirottò per la prima volta una nave verso il porto di Odessa. La splendida voce di Maria Pia de Vito regala poi una superba interpretazione di “Cometa Rossa” dapprima omaggiando Demetrio Stratos poi aggiungedovi il proprio tocco di originalità. Il primo vertice del disco arriva però con la ancora attualissima “”Luglio, Agosto, Settembre (Nero) che fa il paio con la sorprendente “Nervi Scoperti”, mai suonata in passato e qui impreziosita da un potente lavoro di improvvisazione in cui spicca l’assolo di batteria di Walter Paoli. Il medley “Gerontocrazia/L’Elefante Bianco” ci porta in territori world con il grande Patrizio Fariselli che giganteggia al piano. Chiudono il primo disco “Arbeit Macht Frei” e il divertissement “Sedimentazioni” costruito sovrapponendo le parti più significative di tutti i brani incisi dagli Area dal 1973 a oggi, anzi, a ieri, perché ora dovremo aggiornarlo aggiungendo anche i pezzi di questo doppio CD. Il secondo disco “Geometrie” invece documenta quella che è la prima parte dei concerti degli Area, il primo tempo che funge da preludio ai brani storici nei quali i componenti del gruppo si esibiscono dapprima in solitario poi in duetto. Si tratta di brani inediti, che documentano lo stato dell’evoluzione individuale dei singoli musicisti. Si parte con “Encounter 1” uno splendido dialogo-battibecco basato su una scala orientale tra Tofani e Fariselli nel quale esplorano le inflessioni della voce umana applicate al sintetizzatore. “Encounter 2 (Skindapsos)” è invece un elegante dialogo a metà strada tra jazz e musica contemporanea con protagonisti il piano di Fariselli e il contrabbasso di Tavolazzi. “Trikanta Veena Suite” vede protagonista il solo Tofani che fa letteralmente magie armato della sua Trikanta Veena, una chitarra con tre manici progettata da lui stesso e costruita da un liutaio cremonese in un unico esemlare. Il suono evocativo e profondo del santoor suonato da Tofani è protagonista del duetto con Tavolazzi in “Encounter 3” altra esplorazione sonora di grande pregio. “Canzone di Seikilos”, è una rielaborazione per piano e live electronics di Patrizio Fariselli, di una melodia del II° secolo A.C. conosciuta come L’epitaffio di Seikilos, uno dei brani più antichi della musica occitentale ad essere giunto integro sino a noi. Chiude il disco Aten, bella riscrittura per solo contrabbasso di “Nefertiti” di Wayne Shorter con Ares Tavolazzi in assoluto spolvero. Live 2012 è dunque un disco ricco di sorprese non solo perché vede gli Area riattualizzare, riscrive e reinventare alcuni brani storici del loro repertorio, ma soprattutto perché ci regala una fotografia perfetta dalle genialità di Tofani, Fariselli e Tavolazzi, tre tra i più grandi musicisti italiani di tutti i tempi. 


Salvatore Esposito
Foto di Paolo Soriani per gentile concessione di Art Up Records
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