Eccoli di nuovo Adrian Younge e Ali Shaheed Muhammad a dialogare con musica che già sa di leggenda: la loro ventiduesima puntata, registrata nei Linear Labs di Younge a Los Angeles è dedicata al pioniere dell'highlife ghanese Ebo Taylor, amico e coetaneo del nigeriano Fela Kuti, primi concerti internazionali a Londra col suo gruppo Black Star Highlife Band già nel 1962. Purtroppo, l’ictus che l’ha colpito nel 2018 non gli permette più di suonare la chitarra e ha trasformato la sua voce, ma la musicalità del suo canto, soprattutto in akan, e delle sue intuizioni ritmico-armoniche sono sempre vive e fertili: suono suoi tutti i testi e le melodie vocali dei sette brani inclusi nell’album (tutti fra i tre e i cinque minuti, per complessivi quasi trenta). In studio, si è affidato al figlio Henry, e al suo Fender Rhodes, per interagire con Younge e Muhammad che hanno provveduto agli arrangiamenti e alla consueta overdose di riff chitarristici e fiati possenti con un occhio al tour che vedrà il quasi novantenne Taylor protagonista di almeno una ventina di date fra Brasile, Messico e Stati Uniti.
Si comincia con l’organo e la sezione fiati incalzante di “Get Up”, con voce, sax e flauto che si alternano nel surf sulle maestose onde sonore sospinte da trombe e tromboni: una miscela decisamente ballabile cui contribuiscono anche tastiere, sintetizzatori guizzanti e implacabili tappeti percussivi.
Proprio dalle percussioni si riparte con il successivo “Obra Akyedzi” (Dono di Vita), con le bacchette che cominciano a far parlare il charleston e a chiamare una l’intera sezione su cui la voce e il flauto si lanciano in chiamate cui risponde un robusto coro, a consegnarci un bel flashback negli anni Settanta.
“Kusi Na Sibo” continua a giocare con l’andirivieni fra coro e flauto, sax e voce solista, mettendo in evidenza i timbri più profondi e gutturali del canto di Taylor, punteggiati da ritmi e interventi dei fiati sincopati e spazio per far emergere in primo piano il bel fraseggio del sax baritono.
Paradigmatico di questa contagiosa modalità call-and-response è “Obi Do Wa” (If Someone Loves You) con la voce di Taylor che, più che in altri brani, emerge nel suo ruolo guida del gruppo, con la sua capacità di spingere e prolungare le vocali finali mentre sopra e sotto si stratificano fiati, cori di sottofondo, rulli percussivi e di batteria. In questi momenti non ci si può sbagliare: è Taylor a guidare la band.
Con la più dilatata e rilassata “Nsa a W'oanye Edwuma, Ondzidzi” cambia il paesaggio sonoro, ma resta immutato il carisma vocale al centro di un mandala tessuto fra coro femminile, e tutta la paletta di suoni a disposizioni ben spazializzata e articolata in interventi “staccati” che fanno apprezzare un cambio di passo capace di alternare l’attenzione per l’incedere ritmico con quella per linee melodiche “piene”.
Avviandosi verso il finale, “Beye Bu Beye Ba” assume un tono narrativo intimo e rilassato, abbinato a ottoni scoppiettanti e festosi, mentre l’ultimo brano vede Taylor cantare anche in inglese (guardati introno, dimmi cosa vedi) offrendo domande cui rispondono soprattutto i fiati, ma anche il coro che mette in chiaro il punto focale del lavoro musicale collettivo: “Feeling”. ebotaylor.bandcamp.com/album/ebo-taylor-jid022
Alessio Surian