Il lungo ed articolato percorso artistico di Arlo Bigazzi racconta di un bassista dalla visione aperta che non conosce steccati, ma anche di un musicista curioso, animato dalla costante tensione verso la ricerca, come dimostra la sua produzione discografica che lo ha visto spaziare dall’art rock al post progressive, passando per il jazz-rock e la canzone d’autore, il tutto senza contare la sua grande attenzione all’aspetto concettuale alla base delle sue opere. Difficile stargli dietro, ma ogni suo disco è l’occasione per scoprirne un lato nuovo, una passione sconosciuta, un gusto particolare verso questo o quello stile. Complice la partecipazione al progetto discografico “Collettivoinconscio vol. 1” di Luca Giuoco, è nato l’incontro con la visual artist e bassista Elena M. Rosa Lavita, un’artista dal peculiare background artistico che, dopo aver lavorato nell’ambito delle istallazioni d’ambiente e della grafica, si è dedicata alla manipolazione dei suoni, utilizzandoli come una trama di colori, attraverso strutture ambient, ripetizioni minimal, soundscapes, registrazioni low-fi, per approdare ad ambiti concettuali simbolici, ermetici e alchemici. Incuriosito dal visionario approccio musicale di quest’ultima, il bassista toscano ha voluto dar vita ad una nuova avventura musicale, confrontandosi con un artista, più giovane, ma non meno irrequieta. Sebbene i due strumentisti abbiano alle spalle esperienze musicali differenti, hanno trovato nella comune passione per le atmosfere gotiche, la base di partenza per le loro esplorazioni musicali. È nato, così, “D'altronde sono sempre gli altri” album – la cui pubblicazione è
è stata anticipata dall’Ep “Manrovesci” - nel quale hanno raccolto otto brani, nei quali l’immaginario sonoro di Elena M. Rosa Lavita popolato da stridori, increspature, rumori sinistri e lontani rintocchi, si interseca alla perfezione con le soluzioni sonore ideate da Bigazzi che ha aggiunto atmosfere che si reggono sospese tra l’onirico e il claustrofobico, tra redenzione e dannazione, inferno e paradiso. L’ascolto ci conduce attraverso paesaggi rumoristici nei quali si mescolano elaborati quadri sonori in cui si incontrano, loop iterativi, attraversamenti tra suoni analogici e digitali, echi di musica ambient, spaccati introspettivi, e serrati scambi strumentali. In questo senso, il titolo racchiude perfettamente il concept del disco e allo stesso modo i titoli dei brani rimandano alle suggestioni di cui sono pervasi. Si parte con le atmosfere noir di “Bruit secret”, nella cui struttura frastagliata si inseriscono dissonanze, loop e feedback, a cui segue la tessitura di beat elettronici di “Manrovesci”. Se “11° giorno colpo apoplettico spirituale” si caratterizza per la particolare architettura sonora nel cui segmento centrale spicca il crescendo del basso, la successiva “Indipendenti dagli avvenimenti esterni” è selvaggia e al tempo stesso affasciante con il climax strumentale che sembra affievolirsi verso il finale per poi riesplodere. Proseguiamo con “The Great Enemy of Art Is Good Taste” pervasa da significati misteriosi che sembrano rimandare agli scalpellini nei cantieri delle Cattedrali Gotiche, mentre “Ahi serva Italia di dolore ostello” ascoltata con attenzione si coglie come non sia altro che la colonna sonora di una nazione desolata, decadente ed involuta. Le peculiari strutture ritmiche “Élevage de poussière” ci conducono al finale con le ardite sperimentazioni di “D'altronde sono sempre gli altri a morire” in cui viene evocato l’epitaffio dell’artista dadaista Marcel Duchamp. “D’altronde sono sempre gli altri” è, dunque, un disco intrigante, per quanto non semplice ed immediato, ma ricchissimo di grandi idee per il futuro. Il disco è stato pubblicato anche in formato musicassetta dalla Industrial Ölocaust.
Salvatore Esposito
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Contemporanea